IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
    Ha pronunciato la seguente ordinanza.
    A seguito di atti di querela sporti in data 10  novembre  1993  da
 Vagaggini Luigi, Del Tredici Franco e Mazzani Gabriele si incardinava
 davanti  alla  procura  della  Repubblica di Roma procedimento penale
 contro Neri Giovanna in ordine al reato p. e p. dagli  artt.  81  del
 c.p.v.,  595  del  c.p.,  13, 21 della legge n. 47/1948 (diffamazione
 continuata a mezzo della stampa) in relazione  all'articolo  a  firma
 della  stessa  pubblicato  sull'Unita'  del  23  settembre 1993 nella
 cronaca "Firenze-Toscana".
    In data 10 febbraio 1994 pervenivano all'ufficio del  giudice  per
 le  indagini  preliminari  la richiesta di archiviazione del pubblico
 ministero, nonche' gli atti di opposizione dei querelanti.  L'ufficio
 del  giudice disattendeva la richiesta di archiviazione e fissava con
 decreto l'udienze camerale nella quale le parti concludevano come  da
 separato verbale del 15 novembre 1994.
    Agli  esiti  della stessa udienza l'ufficio pronunciava in data 18
 novembre 1994 ordinanza ex art. 409,  secondo  e  quinto  comma,  del
 c.p.p.   disponendo   che   il   p.m.  procedesse  alla  formulazione
 dell'imputazione,  determinando  cosi'  l'incardinarsi   dell'udienza
 preliminare  in  data  10  marzo  1995. In tale contesto nonche' agli
 esiti  delle  conclusioni  rappresentate  dalle  parti   il   giudice
 pronunciava ordinanza ex artt. 23, primo e secondo comma, della legge
 11  marzo  1953,  n.  87,  ritenendo  rilevante  e non manifestamente
 infondata la questione di  incostituzionalita'dell'art.  34,  secondo
 comma,  del  c.p.p.  in relazione agli artt. 3, 24, 25, 76 e 77 della
 Costituzione in violazione della direttiva n. 67 legge  delega  nuovo
 codice  16  febbraio  1986,  n.  81  (principio  della  divisione tra
 requirente   e   giudicante   o   della  terzieta'  del  giudice),  e
 conseguentemente  dichiarava  sospesa  la  trattazione   dell'udienza
 preliminare  subordinando  ogni  decisione agli esiti della pronuncia
 della Corte costituzionale ritualmente adita.
    La problematica introdotta  dall'applicazione  dell'art.  409  del
 c.p.p.  con  specifico riguardo al quinto comma, della stessa norma e
 quindi all'udienza preliminare incardinata a seguito  di  imputazione
 ordinata  all'ufficio  del pubblico ministero e' questione piu' volte
 affrontata e valutata  dalla  Corte  costituzionale.  In  particolare
 nelle  sentenze 12 novembre 1991, n. 401, e 30 dicembre 1991, n. 502,
 la Corte dichiarava la  manifesta  infondatezza  della  questione  di
 legittimita'  costituzionale  dell'art. 34, secondo comma, del c.p.p.
 nella parte in cui non prevedeva l'incompatibilita' del  giudice  per
 le  indagini  preliminari  che  aveva pronunciato l'ordinanza ex art.
 409, quinto comma, del c.p.p., a partecipare all'udienza preliminare,
 in tal modo respingendo i dubbi di incostituzionalita' peraltro  piu'
 volte riproposti anche successivamente alle prefate sentenze.
    L'attuale  reiterazione del quesito costituzionale trae certamente
 spunto dalla novella introdotta con legge  8  aprile  1993,  n.  105,
 abrogatrice  del  noto criterio dell'evidenza che in passato limitava
 l'apprezzamento del g.u.p.  alla  legittimita'  e  correttezza  delle
 fonti  di  prova  prodotte  dall'accusa, restando esclusa di fatto la
 prospettiva  di  qualsiasi  pronuncia  liberatoria  a  meno  che  non
 risultasse    evidente,    appunto,    l'estraneita'    dell'imputato
 all'addebito  contestato,  e  quindi  insostenibile   ogni   sviluppo
 accusatorio.
    L'esclusione  del criterio dell'evidenza ha certamente raffinato i
 poteri di  cognizione  del  g.u.p.  che  e'  chiamato  a  valutare  i
 contenuti  delle  indagini preliminari ponendo in essere un'attivita'
 di conoscenza critica propria del giudizio di merito in quanto avente
 ad oggetto il raffronto dialettico fra la  prospettazione  probatoria
 dell'accusa  e  quella  che  la difesa introduce appunto nell'udienza
 preliminare. In tale contesto tende a perdersi la  portata  meramente
 rituale  della pronuncia del g.u.p. che l'attuale sistema processuale
 disciplina strumentalmente al dibattimento, riconducendo  il  decreto
 ex  art.  429 del c.p.p. a necessario impulso per l'ulteriore fase, e
 la sentenza ex art. 425 del  c.p.p.  a  statuizione  suscettibile  di
 revoca  (artt.  434  e segg. del c.p.p.) in caso di sopravvenienza di
 nuove fonti di prova.
    Ed invero l'udienza  preliminare  ha  progressivamente  assunto  i
 connotati  del  giudizio  di merito, e cio' probabilmente anche sulla
 spinta delle piu' volte ricordate  esigenze  deflattive  di  tal  che
 fortissima si profila l'aspettativa dell'imputato a che il giudicante
 compia  in  modo approfondito la piu' ampia valutazione della propria
 posizione al punto che spesso ove trattasi di accuse  consolidate  su
 fonti documentali, o comunque fondate su circostanze non suscettibili
 di  ulteriori sviluppi, la cognizione del g.u.p. nel caso di sentenza
 di non luogo  a  procedere  ex  art.  42  del  c.p.p.  e'  del  tutto
 assimilata  a  quella  del  giudizio  abbreviato,  rito  questo quasi
 esclusivamente introdotto  ormai  ove  si  abbia  la  certezza  della
 condanna e quindi il vantaggio della connessa riduzione di pena.
    Le  circostanze  fin  qui  rappresentate  evidenziano pertanto che
 l'identita' fisica del g.u.p. con quella del g.i.p. che  ha  ordinato
 la  formulazione  della  imputazione  ex  art. 409, quinto comma, del
 c.p.p. determina una insuperabile incompatibilita' del giudicante per
 l'udienza preliminare ex art. 34, secondo comma, del c.p.p.
    Ed infatti il principio affermato dalla giurisprudenza della Corte
 per   cui   "ogni  valutazione  di  merito  circa  l'idoneita'  delle
 risultanze probatorie a fondare un giudizio di responsabilita'" e' il
 presupposto  sistematico  su  cui  fondare   l'incompatibilita'   del
 giudicante,  non  puo'  non essere considerato e applicato al caso di
 specie. Si osserva infatti che  l'dienza  preliminare  e'  introdotta
 dopo  l'udienza  camerale  ex  art. 409, secondo comma, del c.p.p., e
 quindi depo che le parti hanno potuto  esprimere  ciascuna  ulteriori
 argomentazioni  in  guisa  che  l'apprezzamento del g.u.p. si traduce
 nella completa valutazione di  quegli  stessi  elementi  che  saranno
 reiterati  nel  corso dell'udienza preliminare. Durante quest'udienza
 l'imputato viene a trovarsi al cospetto di un giudicante che ha  gia'
 manifestato   il   proprio   orientamento   imponendo   al   p.m.  la
 contestazione del fatto-reato, mentre l'ufficio requirente, ancorche'
 rappresentato da diversa persona fisica,  e'  relegato  alla  formale
 reiterazione di un pregresso convincimento.
    Il  contraddittorio  dell'udienza  preliminare  si  svuota cosi di
 significato, risultando ogni soggetto, giudicante  incluso,  ispirato
 ad una dialettica che si e' gia' sviluppata aliunde e che viene messa
 in  scena  al  solo  scopo  di  rendere  possibile  l'ulteriore  fase
 processuale.
    In  tale  contesto  non  e'  dato  cogliere   allo   stato   alcun
 significativo  discrimine tra l'affermata incompatibilita' del g.u.p.
 nel  giudizio  abbreviato  (nel  caso  il  medesimo   giudice   abbia
 pronunciato  ordinanza  ex  art.  409, quinto comma, del c.p.p., cfr.
 Corte costituzionale 12 novembre 1991,  n.  401),  e  la  prospettata
 medesima  potenziale  incompatibilita'  dello stesso giudice rispetto
 all'udienza preliminare ordinaria, posto che trattasi in  entrambi  i
 casi  di  giudizi di merito. E' opportuno sottolineare infatti che il
 pregiudizio in ordine alla responsabilita'  si  traduce  nell'ipotesi
 all'esame  in un vero e proprio pregiudizio in ordine all'estraneita'
 dell'imputato al fatto dedotto in contestazione, avendo il giudicante
 gia' valutato i risultati delle indagini preliminari a seguito  della
 richiesta   di   archiviazione   disattesa,   nonche'  gli  argomenti
 dialettici delle parti nell'udienza  di  cui  all'art.  409,  secondo
 comma, del c.p.p.
    La norma di cui all'art. 34, secondo comma, del c.p.p. nella parte
 in  cui  non prevede l'incompatibilita' del g.i.p. che ha pronunciato
 ordinanza ex art. 409, quinto comma, del c.p.p.  a  partecipare  alla
 successiva  udienza  preliminare,  e' raggiunta dunque, ad avviso del
 remittente ufficio, da profili di  incostituzionalita'  con  riguardo
 agli  artt.  3,  24,  25,  76  e  77 della Costituzione. Ed invero la
 mancata previsione di incompatibilita' sembra  incidere  direttamente
 sulla  sancita uguaglianza dei cittadini davanti alla legge ex art. 3
 della Costituzione nonche' sulla tutela del principio  costituzionale
 dell'inviolabilita'  della  difesa  ex  art.  24  della Costituzione,
 prospettandosi  nel  caso  all'esame   un'evidente   disparita'   tra
 l'imputato  tratto davanti al g.u.p. a seguito di richiesta di rinvio
 a giudizio del pubblico ministero, e  quello  nei  cui  confronti  e'
 incardinata  udienza  preliminare  ex  officio,  e  cioe'  su impulso
 pervenuto al p.m. che  redige  l'imputazione  da  parte  del  giudice
 competente  ex  art.  409,  quinto comma, del c.p.p. Nella constatata
 disparita'  di  trattamento  e'  insita  la  deminutio del diritto di
 difesa: sul punto si osserva infatti che le argomentazioni  difensive
 dell'udienza  preliminare  assumono  nel  caso  di specie una valenza
 ridotta in quanto le stesse sono gia'  state  valutate  dal  medesimo
 giudice  nell'udienza  camerale  disposta ex art. 409, secondo comma,
 del c.p.p., e ritenuta insufficiente a  suffragare  la  richiesta  di
 archiviazione  che e' stata superata dall'ordine impartito al p.m. di
 formulare l'imputazione: in tale  contesto  e'  difficile  ipotizzare
 nella  successiva  udienza preliminare novita' difensive suscettibili
 di modificare la precedente  valutazione,  specialmente  considerando
 che  nell'udienza  preliminare  introdotta ex officio l'apprezzamento
 del   giudicante   non   riguarda   un   supplemento   dell'attivita'
 investigativa, peraltro previsto nel caso di cui all'art. 402, quarto
 comma,  del  c.p.p.,  ma i medesimi risultati delle indagini ritenuti
 dal p.m. inidonei a fondare la richiesta di rinvio a giudizio.
    La  medesima  mancata  previsione  di   incompatibilita'   attinge
 altresi'   l'osservanza  del  principio  di  cui  all'art.  25  della
 Costituzione, in quanto l'imputato e' tratto a  giudizio  davanti  al
 giudice che ha gia' espresso una valutazione fortemente significativa
 e  che ha quindi perduto la sua qualita' di giudice naturale, e cioe'
 precostituito per legge, laddove si intenda con cio' l'individuazione
 preventiva dell'organo giudicante, e quindi per casi generali: e'  di
 palmare evidenza infatti la peculiarita' della posizione di colui che
 assume  la qualita' di imputato su iniziativa dell'ufficio giudicante
 che e'  chiamato  a  valutare  nell'udienza  preliminare  gli  stessi
 contenuti   di   indagine  che  hanno  determinato  un  convincimento
 contrario all'archiviazione.
    L'ultimo  profilo  di  incostituzionalita'  riflette   infine   la
 violazione della direttiva n. 67 della legge delega 16 febbraio 1987,
 n.  81, in relazione agli artt. 76 e 77 della Costituzione, posto che
 la mancata previsione di incompatibilita' di cui all'art. 34, secondo
 comma, del c.p.p. incide altresi' sul principio della  divisione  tra
 parte   requirente   ed   organo   giudicante,   e   per  conseguenza
 sull'affermata terzieta' del giudice.
    Quest'ultimo requisito appare infatti, per tutte le considerazioni
 fin  qui  svolte   irreparabilmente   compromesso   dal   sovrapporsi
 dell'identita'  fisica  del  giudice  che dispone ex art. 409, quinto
 comma, del c.p.p. con quello della successiva udienza preliminare.