IL TRIBUNALE Ha pronunziato la seguente ordinanza, pronunziando sull'istanza di rinvio presentata dal difensore di Nati Ivano, nel procedimento di riesame della misura della custodia in carcere disposta del g.i.p. del tribunale di Roma per il reato p. e p. dagli artt. 73, 80, comma 2, d.P.R. n. 309/1990, per adesione alla astensione dalle udienze proclamata dal Consiglio Nazionale Forense fino al 24 giugno 1995. O S S E R V A Il 23 aprile 1994 il g.i.p. del tribunale di Roma emetteva ordinanza di custodia in carcere nei confronti del Nati ed altri, per il reato di acquisto e detenzione a fini di spaccio di kg 100 di hashish. Il Nati proponeva istanza di riesame, ed il tribunale, il 16 maggio 1994, accoglieva l'istanza, annullando la misura. Su ricorso del procuratore della Repubblica, la Corte di cassazione, con sentenza del 31 gennaio 1995 annullava con rinvio l'ordinanza del tribunale. Il procedimento era piu' volte rinviato per impedimento del Nati, infine all'udienza odierna la difesa ha chiesto rinvio per adesione all'astensione dalle udienze. Va rilevato che tale astensione e' stata piu' volte prorogata, ed eccettua solo i procedimenti con detenuti, ma non quelli come il presente o gli appelli del p.m. avverso la mancata emissione, che potrebbero portare all'emissione di una misura o al ripristino della custodia. Ma la legge 12 giugno 1995, n. 114, emanata in attuazione dell'art. 40 della Costituzione, all'art. 1, comma 2, lett. a) prevede come servizio pubblico essenziale, in quanto teso a garantire la liberta' e sicurezza della persona, l'amministrazione della giustizia, "con particolare riferimento ai provvedimenti restrittivi della liberta' personale, e a quelli cautelari ed urgenti, nonche' ai processi penali con imputati in stato di detenzione". Va, d'altra parte, osservato che per i procedimenti di riesame dei provvedimenti coercitivi, personali e reali, gli artt. 309, 322 e 324 c.p.p. prevedono la presenza non obbligatoria delle parti e dei difensori, ed un termine di dieci giorni per l'emanazione del provvedimento, pena la perdita di efficacia della misura. Ma non meno urgenti si possono considerare l'appello previsto dall'art. 310 c.p.p. in tema di misure cautelari personali (sia che a proporlo sia stato l'imputato, perche' in tal caso attiene alla tutela della sua liberta' personale, sia che provenga dal p.m., che puo' richiederlo quando ravvisa problemi di urgente tutela della genuinita' dell'acquisizione delle fonti di prova, o concreto pericolo di fuga, o pericoli all'incolumita' di terzi o alla tutela dell'ordinamento), ancorche' tali ipotesi non contemplino un termine perentorio. Analoghe considerazioni valgono per il giudizio di rinvio disposto dalla Corte di cassazione nelle materie predette, come gia' rilevato. In ogni caso, tutte le competenze del tribunale per il riesame, rientrando di volta in volta nei provvedimenti restrittivi o cautelari ed urgenti, rientrano nei servizi pubblici essenziali. Va inoltre rilevato che la non necessita' della presenza delle parti o del difensore (in ragione dell'indifferibilita' della decisione) attribuisce una duplice facolta' alle parti, di comparire e di avvalersi della difesa tecnica. Ma l'esercizio di tale facolta' e' insindacabile da parte del giudice, e garantito dall'obbligo di avviso della data dell'udienza alla parte e al difensore, e dal termine dilatorio di tre giorni. Il giudice non puo', quindi, di fronte alla parte che abbia deciso di avvalersi della difesa tecnica nel procedimento incidentale, e all'avvocato comparso per garantire l'esercizio di tale facolta', che tuttavia dichiari di astenersi dall'udienza per adesione all'agitazione proclamata, e chieda rinvio, considerare la presenza come non avvenuta, perche' priverebbe la parte del potere di esercitare una prerogativa riconosciutagli dall'ordinamento. Tale orientamento e' confermato dalla Cassazione, sezione I, 8 luglio 1991 Lo Iacono. E tuttavia, paradossalmente, il tribunale in tali circostanze non ha neppure il potere di nominare un difensore d'ufficio. L'agitazione proclamata dal Consiglio Nazionale Forense, e piu' volte prorogata, prevede la trattazione dei soli procedimenti con detenuti, e non anche di quelli relativi a "provvedimenti restrittivi della liberta' personale" o "cautelari ed urgenti". Rileva il tribunale che la legge 12 giugno 1990, n. 146 ha come destinatari subordinati o autonomi, enti o imprese erogatrici di pubblici servizi, ma non i liberi professionisti la cui funzione sia essenziale (come nel caso degli avvocati) per rendere possibile lo svolgimento di un servizio pubblico essenziale. La giurisprudenza della s.C. e' pacifica nel senso che gli avvocati possono considerarsi "esercenti un servizio di pubblica necessita'" (Cassazione, sezione III, sentenza n. 2682 del 3 gennaio 1966; Cassazione, sezione VI, sentenza n. 6513 del 7 ottobre 1972; Cassazione, sezione VI, sentenza n. 10973 del 15 ottobre 1986); la loro "astensione dal lavoro", non essendo direttamente qualificabile "sciopero" ai sensi della legge n. 146/1990, non puo', tuttavia, neppure qualificarsi "interruzione di pubblico servizio" ai sensi dell'art. 331 c.p., non solo perche' l'avvocato non e' esercente d'impresa, ma soprattutto perche' le finalita' dell'azione hanno una tutela costituzionale (liberta' di manifestazione del pensiero, di associazione, liberta' sindacali in senso lato il cui legittimo esercizio in tale forma e' stato riconosciuto per gli avvocati, da Cassazione 6, 5 luglio 1993 Montopoli, ferma restando la necessita' di contemperamento. Ancor piu' esplicita sulla legittimita' dell'astensione per finalita' di tutela dei diritti di liberta', Cassazione III, 14 settembre 1993, Capaci). Ma l'astenzione dalle udienze, protratta per lungo tempo e senza assicurare i servizi essenziali e' del tutto equiparabile, quanto agli effetti di compromissione di altri interessi costituzionalmente garantiti, allo sciopero dei dipendenti di imprese o enti che erogano servizi pubblici essenziali, per i quali la legge ha imposto l'obbligo di preavviso, la possibilita' di intervento autoritativo per garantire i servizi essenziali, e sanzioni per le violazioni (artt. 2, 4, 8, 9, 13). Pertanto, la mancata previsione, nella legge n. 146/1990, della estensione della normativa sullo sciopero a quei privati, esercenti un servizio di pubblica necessita', la cui collaborazione e' indispensabile per il funzionamento dei servizi pubblici essenziali, e' irragionevolmente discriminatoria. Come ha osservato la stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 144 del 1994 "se il legislatore ha avvertito la necessita' di dettare, proprio in funzione della salvaguardia di beni costituzionalmente tutelati, norme sul diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali, ricomprendendo tra questi anche l'amministrazione della giustizia, non v'e' ragione per cui debbano restare esenti da specifiche previsioni forme di protesta collettiva che, al pari dello sciopero, sono in grado di impedire il pieno esercizio di funzione che assumono, come quella giurisdizionale, un risalto primario nell'ordinamento dello Stato". D'altra parte, sembra al tribunale che la situazione, oltre che irragionevolmente discriminatoria nei confronti dei pubblici dipendenti, comporti la potenziale lesione della garanzia dei diritti della difesa per la parte che non puo' in alcun modo opporsi allo sciopero del suo difensore, quale che sia la situazione di urgenza, e comprometta il buon andamento della p.a. Si profila, quindi, un contrasto tra la legge n. 146/1990, in quanto non prevede la suddetta equiparazione, e gli artt. 3, capoverso, 24, secondo comma, e 97 della Costituzione. Situazione che non consente di adottare alcuna decisione sulla richiesta di rinvio del procedimento, senza il controllo della Corte.