IL PRETORE Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento n. 146/1995 r.g. pretura a carico di Partisani Maria Teresa imputata del delitto di cui all'art. 1 della legge n. 386/1990 commesso in Bologna ed altre localita' dal 20 maggio 1991 al 2 marzo 1992. O S S E R V A Nel corso dell'odierna udienza dibattimentale il difensore di fiducia dell'imputata ha dichiarato di astenersi dall'udienza aderendo alla protesta indetta dagli organismi di categoria. Si pone, conseguentemente, al giudicante il problema di valutare se l'astensione del difensore determini o meno una situazione di assenza del medesimo, causata da legittimo impedimento a norma dell'art. 486, quinto comma, del c.p.p. con conseguente obbligo del giudice di sospendere o rinviare il dibattimento. Il diritto vivente, quale risulta dall'interpretazione prevalente della norma data sia dai giudici di merito che dalla suprema Corte di cassazione, ha, dopo alcune oscillazioni, ricondotto il fatto dell'astensione per protesta del difensore al "legittimo impedimento" del medesimo disciplinato dalla norma richiamata (cfr. Cass. sez. III sent. n. 8338 dep. 23 luglio 1994, Riccio). A sostegno di tale interpretazione militano anche le argomentazioni formulate dalla stessa Corte costituzionale con la sentenza n. 114 del 23-31 marzo 1994. In tale occasione la Corte ha rilevato l'opportunita' di un intervento legislativo per la disciplina della protesta dei difensori in modo che la stessa non possa pregiudicare "il pieno esercizio di funzioni che assumono, come quella giurisdizionale, un risalto primario nell'ordinamento dello Stato". Nel ragionamento della Corte, per arrivare alla formulazione dell'auspicio di un intervento legislativo, si muove dal riconoscimento almeno implicito, dell'astensione del difensore come fatto costituente "legittimo impedimento" a norma dell'art. 486 del c.p.p. Per affermare, poi, che l'astensione collettiva dalle udienze costituisce una forma di protesta diversa dallo sciopero ma comunque in grado, al pari di quello, di determinare la paralisi della funzione giurisdizionale. La norma processuale, nell'interpretazione prospettata che il giudicante condivide, si espone, tuttavia, a rilievi sotto il profilo della costituzionalita', alcuni dei quali gia' denunciati con ordinanza dibattimentale del pretore di Padova e che si intendono qui integralmente richiamati. Ad avviso del giudicante, infatti, il dubbio sulla costituzionalita' dell'art. 486, quinto comma, del c.p.p., nel significato assegnatogli secondo il diritto vivente, riguarda un piu' radicale profilo. La norma in esame, infatti, consente di attribuire il carattere di "legittimo impedimento" all'assenza del difensore causata da una sua volontaria astensione dall'attivita' difensiva per aderire ad una protesta proclamata dagli organismi di categoria. Con tale atto il difensore non solo si sottrae al doveroso esercizio della professione ma determina, anche, la paralisi dell'esercizio dell'azione penale che non puo' utilmente essere coltivata, dando impulso alle fasi processuali successive al suo esercizio, per tutta la durata della protesta. Prima ancora di valutare la compatibilita' della situazione descritta con i principi costituzionali di cui agli artt. 2, 24, 97, 101 e 112 della Costituzione (cosi' come richiesto dal pretore di Padova), sembra allora al giudicante assolutamente pregiudiziale accertare se il "diritto all'astensione" del difensore, quale risulta dall'interpretazione della norma processuale denunciata, possa esso stesso trovare un fondamento costituzionale o sia, comunque, compatibile con i valori costituzionali. Al riguardo si deve escludere che esso possa essere ricondotto al "diritto di sciopero" previsto dall'art. 40 della Costituzione. Con la citata sentenza n. 114 la Corte costituzionale ha, infatti, escluso la possibilita' di ricondurre l'astensione del difensore al diritto di sciopero, pur evidenziando l'identita' delle conseguenze che entrambe le astensioni (da un lato quelle dei liberi-professionisti, dall'altro quelle dei lavoratori dipendenti in sciopero) arrecano allo svolgimento di un servizio pubblico essenziale quale quello giurisdizionale. Del resto non sembra possano automaticamente applicarsi al professionista i principi affermati dalla Corte costituzionale con sentenza n. 222 del 17 luglio 1975, con cui legittimava la protesta degli esercenti di piccole aziende industriali o commerciali che non avessero lavoratori alle loro dipendenze, per la differenza esistente tra le due situazioni di fatto che dovrebbero essere confrontate ai fini dell'estensione analogica dei principi affermati. Se, dunque, il "diritto" di protesta del difensore non e' idoneo ad assumere le caratteristiche del "diritto di sciopero" e di costituire, pertanto, causa di giustificazione rispetto all'inadempimento dei doveri professionali, esso non puo' che configurarsi come espressione della liberta' di manifestazione del pensiero garantita dall'art. 21 della Costituzione. Tale liberta', tuttavia, non consente (a differenza di quanto invece permette l'esercizio del diritto di cui all'art. 40 della Costituzione) di adottare per la manifestazione del pensiero comportamenti che siano da un lato in contrasto con doveri normativamente imposti e, dall'altro, portino al sacrificio di altri valori adeguatamente protetti a livello costituzionale. In attesa che il legislatore intervenga in materia, operando quella regolamentazione auspicata dalla Corte costituzionale proprio per garantire un bilanciamento di interessi altrimenti non componibile in via interpretativa, il giudicante ritiene che ricorrano le condizioni che consentono l'intervento della Corte costituzionale la quale, con una sentenza interpretativa di accoglimento, puo' dichiarare l'incostituzionalita' dell'art. 486, quinto comma, del c.p.p. nella parte in cui, consentendo che l'astensione del difensore dalle udienze, in adesione a protesta collettiva, costituisca legittimo impedimento, attribuisce al difensore medesimo un "diritto di astensione" in contrasto con il contenuto ed i limiti di cui agli artt. 40 e 21 della Costituzione nonche' con il canone della ragionevolezza previsto dall'art. 3 della Costituzione. E' di tutta evidenza la rilevanza della questione prospettata dal momento che la decisione in ordine alla sussistenza del "legittimo impedimento" del difensore e' pregiudiziale rispetto a qualsiasi altra decisione in ordine alla celebrazione del dibattimento. Inoltre l'eventuale declaratoria di incostituzionalita' della norma consentirebbe al giudicante di nominare un difensore d'ufficio all'imputato, decisione allo stato preclusa dalla sussistenza del "legittimo impedimento" del difensore di fiducia. Da ultimo il giudicante osserva che, grazie alla sospensione del procedimento conseguente alla prospettazione della questione di costituzionalita', e' possibile evitare il decorso del termine di prescrizione dei reati, risolvendo cosi' le questioni che stavano alla base dell'ordinanza di rimessione del pretore di Potenza, dichiarate inamissibili con la citata sentenza n. 114 del 1994.