IL MAGISTRATO DI SORVEGLIANZA DEL TRIBUNALE PER I MINORENNI Letti gli atti del proc. n. 137/1993 r.c.p., rileva che poiche' con separato provvedimento emesso in data odierna, C.P. nato a Catania il 22 novembre 1975, e' stato dichiarato insolvibile, devesi a questo punto procedere alla indicazione della misura della pena convertita, e tale indicazione va effettuata ancor prima della udienza destinata alla applicazione di tale pena convertita, per le ragioni che si vanno ad esporre. 1. - L'evolversi della legislazione in materia di pena pecuniaria richiede una interpretazione sistematica dell'attuale legislazione e, in particolare, tale interpretazione sistematica va rivolta al modo di connettere l'art.107 legge n. 689/1981 e l'art. 660 c.p.p.p. Il contenuto di tale connessione puo' definirsi tenendo conto della natura giuridica degli atti procedurali previsti dalla normativa dettata con le citate disposizioni e dei principii indicati nelle sentenze della Corte costituzionale che hanno dato impulso alla evoluzione della disciplina. In questa prospettiva, si ritiene che l'atto di conversione della pena pecuniaria abbia come unico presupposto l'accertamento della effettiva insolvibilita' del condannato. Puo' osservarsi, infatti, che per la sua natura giuridica tale atto, sostitutivo dell'ordinanza di conversione di competenza del p.m., secondo l'art. 586 del codice di procedura penale del 1930 (e anche dopo le modifiche imposte dalla dichiarazione ex art. 27 legge n. 87/1953 e dall'art. 106 n. 689/1981) si colloca nella sfera del giudizio d'esecuzione (sebbene oggi l'art. 660/2 c.p.p. lo attribuisca, ma per mera opportunita' pragmatica, alla competenza del Magistrato di Sorveglianza, cioe' a colui che emana l'ordinanza ex art. 660.4 c.p.p.). Nel procedimento per la conversione della pena pecuniaria il suddetto atto appartiene allo stadio della determinazione del contenuto del provvedimento costitutivo dell'effetto finale (art. 660/4 c.p.p.) e produce un effetto solo parziale per il condannato (la fissazione della quantita' della pena convertita, che postula l'accertamento della sua insolvibilita'). In questa sua parte, tuttavia, tale atto definitivo (com'e' argomentabile sulla base della sentenza n. 108/1987 della Corte costituzionale) e percio' integra un presupposto giustificativo della legittimazione ad opporvisi (o ad eliminarne la causa tramite il pagamento della pena pecuniaria). Questo assetto procedurale fu definito dalla sentenza n. 108/1987 della Corte costituzionale, la quale (sulla scia della precedente n. 131/1979) pose i cardini della attuale disciplina e defini' il procedimento che si va seguendo la "corretta attuazione del bilanciamento dei valori costituzionali in gioco" (perfezionata, oggi, dalla sostituzione del giudice al pubblico ministero). Del resto, notificare tale atto al condannato unitamente alla dichiarazione della sua insolvibilita' e alla fissazione dell'udienza ex art. 660.4 c.p.p. (nella quale, comunque, deve essere sentito prima che gli si applichi concretamente la misura) accresce le garanzie accordate al condannato, giacche' consente a costui di conoscere, ancor prima dell'udienza, la misura della conversione e di opporsi, tra l'altro, ad eventuali errori. Ma anche se si ritenesse preferibile una interpretazione del combinato disposto dall'art.107 legge n. 689/1981 e dell'art. 660 c.p.p.p. in base alla quale (senza distinguersi fra determinazione della durata della misura e disposizione concretamente applicativa della stessa) la determinazione della durata della misura debba avvenire, in concomitanza della determinazione delle modalita' della stessa (art. 660.4 c.p.p.) non pare che verrebbe sostanzialmente meno la rilevanza della questione di costituzionalita' della quale si va adesso a valutare la non manifesta infondatezza. Questo perche', in ogni caso, dichiaratasi la insolvibilita' del condannato e non avendo egli effettuato il pagamento, la successiva tappa decisionale che il Magistrato di sorveglianza incontra lungo l'iter procedurale e' proprio quella della determinazione della misura della conversione, determinazione che, se consolidatasi renderebbe, nell'eventualita' prevista dall'art. 108.1 legge n. 689/1981, certi gli effetti normativi oggetto della questione di costituzionalita'. 2. - In questa prospettiva, va considerato che l'art. 1 della legge n. 402/1993 ha modificato l'art. 135 del codice penale stabilendo che il "ragguaglio fra pene pecuniarie e pene detentive" va computato calcolando L. 75.000 di pena pecuniaria (o frazione di L. 75.000 per un giorno di pena detentiva). La predetta disposizione, invece, non si e' espressamente occupata della misura della conversione delle pene pecuniarie in liberta' controllata. Di conseguenza, certamente manca una modifica espressa dell'art. 102.3 della legge n. 689/1981, che stabilisce che la misura della conversione della pena pecuniaria non eseguita per insolvibilita' del condannato e' di L. 25.000, o frazione di L. 25.000, per un giorno di liberta' controllata. Arduo, per altro verso, risulterebbe elaborare una "reinterpretazione" della disposizione ora menzionata alla luce del nuovo contenuto dell'art. 135 c.p . Sia perche' siffatta "reinterpretazione" del significato letterale della disposizione espressa con l'art. 102 della legge n. 689/1981 riguarderebbe dati numerici, per loro natura meno facilmente "reinterpretabili" rispetto ai dati linguistici. Sia perche', deve presumersi che siano ben presenti al Legislatore le raccomandazioni dal Legislatore stesso formulate nel d.P.R. n. 1092/1985 e nel d.P.R. n. 217/1986 volte a scoraggiare le modifiche o le abrogazioni solo implicite degli atti legislativi vigenti. (tantopiu' quando tali eventuali modifiche riguarderebbero, come nel caso in esame, settori normativi fra loro affini). In definitiva: deve ritenersi che il Legislatore non abbia inteso modificare il criterio di conversione delle pene pecuniarie posto dall'art. 102.3 legge n. 689/1981. Alla medesima conclusione e' giunta, sulla scorta di una analisi della natura degli istituti, la Corte di cassazione. Infatti la Corte di cassazione - confermando un suo consolidato indirizzo - ha ribadito che la conversione delle pene della multa e dell'ammenda, non eseguite per insolvibilita' del condannato, in liberta' controllata o in lavoro sostitutivo, non e' disciplinata dall'art. 135 c.p. ma dagli artt. 136 c.p. e 102 della legge n. 689/1981 e ha ritenuto che la conversione in discorso deve continuare ad essere effettuata sulla base del criterio di ragguaglio tuttora indicato nell'art. 102 sopra citato. In altri termini, la Corte di cassazione ha giudicato che la identita', precedente all'intervento della legge n. 402/1993 fra i criterii quantitativi di ragguaglio stabiliti dall'art. 135 c.p. e quelli stabiliti dall'art. 102 della legge n. 689/1981 non implica che la modifica normativa dei primi debba estendersi anche ai secondi (come confermerebbe anche il fatto che la modifica non prende in esame il ragguaglio ai fini del lavoro sostitutivo). 3. - Puo' valutarsi, invece, se l'art. 1 della legge n. 402/1993 sia affetto da un qualche vizio di costituzionalita' nella parte in cui non modifica il criterio di ragguaglio di cui all'art. 102.3 della legge n. 689/1981, relativo alla conversione di pene pecuniarie per i soggetti insolvibili, in ragione di un giorno di liberta' controllata per ogni 25.000 lire di multa o ammenda (e, se l'art. 102.3 legge 689/1981 non sia affetto da conseguente, sopravvenuta illegittimita' costituzionale). A sostegno di una conclusione affermativa potrebbe osservarsi quanto segue. La sentenza n. 131/1979 della Corte costituzionale dichiaro' la illegittimita' costituzionale dell'art. 136 del codice penale nella formulazione allora vigente, nella quale si prevedeva che le pene pecuniarie non eseguite per insolvibilta' del condannato venivano convertite, entro un certo tetto massimo, in pena detentiva. Tale norma fu giudicata in contrasto con gli artt. 3 e 27 Cost. in considerazione della disparita' di trattamento fra il condannato solvibile e il condannato insolvibile, disparita' ritenuta ingiustificabile perche' originata da una situazione - la insolvibilita' del condannato - non imputabile al condannato sotto il profilo soggettivo. In quella occasione la Corte auspico' un intervento legislativo che instaurasse un piu' corretto equilibrio fra il principio della inderogabilita' della pena e la funzione rieducativa della sanzione penale. Il Legislatore intervenne (con la legge n. 699/1981) prevedendo che la pena pecuniaria fosse - a seguito della insolvibilita' del condannato - convertita nella misura della liberta' controllata (meno afflitiva della pena detentiva). Sussisteva allora una identita' fra il criterio per il ragguaglio dettato dall'art. 135 c.p. e il parametro dettato dall'art. 102 della legge n. 689/1981 per la conversione della pena pecuniaria. Tale identita' garantiva che il condannato a pena pecuniaria rivelatosi insolvibile subisse un carico di afflittivita' minore (venendo equiparato un giorno di pena detentiva a un giorno di liberta' controllata) rispetto a quello che sarebbe derivato dalla conversione della pena pecuniaria in quella detentiva (secondo il criterio di ragguaglio fissato nell'art. 135 c.p. (nella formulazione previgente). Ma per chi, pur avendo beneficiato di tale trattamento "equitativo", avesse violato le prescrizioni impostegli in sede di liberta' controllata, il Legislatore prevedeva un criterio di riconversione della liberta' controllata nella pena detentiva volto a ristabilire l'ordinario ragguaglio fra pena pecuniaria e pena detentiva. La ratio del sistema originario era incentrata sul seguente ragionamento: a seguito di una condotta riconducibile alla volonta' del condannato (l'inosservanza delle prescrizioni) e non piu' ad una condizione oggettiva (la insolvibilita' viene meno la giustificazione del favor per il condannato insolvibile. Su questo fondamento al condannato insolvibile veniva applicata la pena detentiva determinata secondo il criterio di ragguaglio fra pene pecuniarie e pene detentive costituito da "L. 25.000 di pena pecuniaria" uguale "1 giorno di pena detentiva". Ma l'attuale art. 135 c.p. stima che "1 giorno di pena detentiva" abbia un carico di afflittivita' uguale a "L. 75.000 di pena pecuniaria". Se questo e' vero, mantenere, col combinato disposto degli artt. 102 e 108 legge n. 689/1981, un algoritmo di conversione da "L. 25.000" in "1 giorno di liberta' controllata" e da "1 giorno di liberta' controllata" a "1 giorno di pena detentiva" significherebbe aggravare pesantemente le conseguenze dell'inosservanza delle prescrizioni dettate al condannato dichiarato insolvibile, alterando l'equilibrio costruito sulla scorta della sentenza n. 131/1979 della Corte costituzionale. Infatti, in questo modo, il condannato inadempiente alle prescrizioni non viene semplicemente sottoposto alla pena detentiva equivalente (secondo la attuale valutazione del Legislatore) a quella pecuniaria inflittagli, ma viene "punito" con una pena detentiva che (secondo i criterii espressi dal Legislatore attuale) non si risolve in una mera conversione della pena pecuniaria nella equivalente pena detentiva, bensi', nella conversione della pena pecuniaria addirittura nel triplo della pena detentiva corrispondente. In conclusione: non sembra manifestamente infondato il dubbio che il venir meno della identita' fra il criterio di ragguaglio indicato nell'art. 135 c.p. e il parametro di conversione stabilito dall'art. 102 della legge n. 689/1981 elimini il favor per il condannato a pena pecuniaria che risulti insolvibile, favor inteso a determinare il giusto equilibrio fra il principio della inderogabilita' della pena e la funzione rieducativa della sanzione penale (connessa al carattere "personale" della pena). secondo i canoni indicati nella gia' citata sentenza n. 131 della Corte costituzionale. L'ampio (il triplo) divario fra l'ordinario ragguaglio ( ex art. 135 c.p.) fra pene detentive e pene pecuniarie cosi' prodottesi fa dubitare che vi sia proporzione fra la condotta sanzionata (la violazione delle prescrizioni imposte con la liberta' controllata) e le conseguenze afflittive, cosi' da prodursi una irragionevole (poiche' sproporzionata) discriminazione fra condannati, da leggersi alla luce del principio del carattere personale della pena e della finalita' anche rieducativa della stessa. Questo perche' il sistema della riconversione della liberta' controllata, le cui prescrizioni siano state violate, in pena detentiva pone a carico del condannato a pena pecuniaria inadempiente un carico afflittivo superiore (il triplo) ai criterii che lo stesso Legislatore (art. 135 c.p.) valuta equi. Tale discriminazione potrebbe contrastare (come piu' diffusamente argomentato nella ordinanza di rinvio alla Corte costituzionale adottata dall'altro magistrato di sorveglianza presso questo Tribunale per i minorenni) con gli artt. 3.1, 27.1, 23.3 Cost . In questa prospettiva potrebbe profilarsi una schizonomia normativa, costituente un vizio logico e, sotto questo profilo, un eccesso di potere legislativo. A meno di non ritenere (ma lo valutera' la Corte costituzionale) che la scelta di una cosi' intensa sanzione della violazione delle prescrizioni imposte in sede di conversione della pena pecuniaria inadempiuta non rientri nelle valutazioni discrezionali del legislatore. 4. - Il ragionamento sinora svolto individua nella previsione normativa di due differenti criterii di equiparazione (di "ragguaglio" quello indicato nell'art. 135 c.p., di "conversione" quello indicato nell'art. 102 legge n. 689/1981 ) fra pene detentive e pene pecuniarie la situazione normativa della quale e' sospettabile il contrasto con le sopracitate disposizioni della costituzione. Quanto alla precisa individuazione delle disposizioni che sarebbero affette da vizio di costiituzionalita', puo' osservarsi quanto segue. E' l'art. 1 legge n. 402/1993 a determinare un contrasto con i dati costituzionali nella parte in cui non modifica il criterio di ragguaglio di cui all'art. 102.3 legge n. 689/1981. Anche di questa seconda disposizione-norma potrebbe predicarsi la conseguente, sopravvenuta, incostituzionalita'. Non pare, invece, che meriterebbe diretta censura l'art. 108.1 legge n. 689/1981 nella parte in cui prevede che in caso di violazione delle prescrizioni imposte con la liberta' controllata la parte di questa non ancora eseguita si converte in "un uguale periodo di reclusione o di arresto". Questo perche' gli effetti sospettati di incostituzionalita' non sono prodotti da tale principio normativo ma dal criterio numerico di conversione che precede la sua applicazione.