ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 23, comma  4,
 del  decreto  legislativo  31  ottobre 1990, n. 346 (Approvazione del
 testo  unico   delle   disposizioni   concernenti   l'imposta   sulle
 successioni  e  donazioni)  e 16, quarto comma, del d.P.R. 26 ottobre
 1972, n. 637 (Disciplina dell'imposta sulle successioni e donazioni),
 promosso con ordinanza emessa il 7 settembre 1994  dalla  Commissione
 tributaria  di  primo grado di Milano sui ricorsi riuniti proposti da
 F. e L. Merzagora, nonche' da A. e L. Veronesi (rappresentati  da  R.
 Curatolo  ed altra) contro l'Ufficio del registro di Milano, iscritta
 al n. 728 del registro ordinanze 1994  e  pubblicata  nella  Gazzetta
 Ufficiale  della  Repubblica  n.  50, prima serie speciale, dell'anno
 1994;
    Visto l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del  3 maggio 1995 il Giudice
 relatore Riccardo Chieppa.
                           Ritenuto in fatto
    1. - Nel corso di un giudizio sui ricorsi riuniti proposti da F. e
 L. Merzagora, nonche' da  A.  e  L.  Veronesi  (rappresentati  da  R.
 Curatolo  ed  altra) avverso gli avvisi di liquidazione delle imposte
 di successione relativi alle eredita' di R. Veronesi ed E. Merzagora,
 la Commissione tributaria di primo grado di Milano, con  ordinanza  7
 settembre  1994,  ha  sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 53
 della Costituzione, questione di  legittimita'  costituzionale  degli
 artt. 23, comma 4, del decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346, e
 16, quarto comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637.
    Preliminarmente  il  giudice  a  quo  rileva  che l'art. 23 appena
 citato - disponendo che "l'esistenza di debiti deducibili,  ancorche'
 non   indicati   nella  dichiarazione  di  successione,  puo'  essere
 dimostrata .. entro  il  termine  di  tre  anni  dall'apertura  della
 successione,  prorogato,  per  i  debiti  risultanti da provvedimenti
 giurisdizionali e per i debiti verso pubbliche amministrazioni,  fino
 a   sei   mesi   dalla   data   in   cui  il  relativo  provvedimento
 giurisdizionale o amministrativo e' divenuto definitivo" -  riproduce
 "sostanzialmente"  la  disposizione  dell'art.  16, quarto comma, del
 d.P.R. n. 637 del 1972.
    Cio'  premesso,  ad  avviso  del  remittente  le  norme  censurate
 violerebbero  gli  artt. 3, 24 e 53 della Costituzione nella parte in
 cui dispongono che il termine triennale per  la  presentazione  della
 documentazione  delle  passivita'  gravanti l'asse ereditario decorre
 dall'apertura della successione anche nel  caso  in  cui  i  predetti
 obbligati  siano  giuridicamente  impossibilitati  per  essere  stati
 chiamati all'eredita' - come nel caso dei ricorrenti nel  giudizio  a
 quo  - solo a seguito di procedura giudiziaria accertante la falsita'
 di un atto testamentario.
    In particolare sarebbe violato l'art. 3 della Costituzione laddove
 irrazionalmente il termine  per  la  presentazione  delle  passivita'
 decorrerebbe dall'apertura della successione e non dal momento in cui
 gli  obbligati  alla presentazione della dichiarazione di successione
 sono chiamati all'eredita'; l'art. 24 della Costituzione  in  quanto,
 cosi'  disponendo,  si  impedirebbe  -  nel  caso  di  impossibilita'
 giuridica - la presentazione della predetta dichiarazione,  e  l'art.
 53  della  Costituzione in quanto, precludendo la deducibilita' delle
 passivita' gravanti l'asse ereditario, si verrebbe a  determinare  il
 conseguente aggravamento dell'imposta.
    2.  - Nel giudizio davanti alla Corte e' intervenuto il Presidente
 del Consiglio dei ministri,  rappresentato  dall'Avvocatura  generale
 dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.
    Secondo   l'Avvocatura   dello   Stato   le  norme  in  esame  non
 pregiudicherebbero  "seriamente"  il  diritto  alla  deduzione  delle
 passivita'  ereditarie,  in  quanto  detto  diritto  sarebbe comunque
 esercitabile "a condizione che la parte provveda alla  documentazione
 delle  passivita' ereditarie contestualmente alla presentazione della
 dichiarazione di successione, sulla base dei  principi  generali  che
 regolano  la  materia". Sicche' la preclusione concernerebbe una mera
 facolta' (ovvero "la facolta' di integrare la documentazione inerente
 le passivita' ereditarie")  e  non  si  estenderebbe  al  diritto  di
 deducibilita' della passivita' di cui si discute.
    Aggiunge, altresi', l'Avvocatura generale dello Stato che la ratio
 dell'art.   23   del  d.lgs.  n.  346  del  1990  sarebbe  quella  di
 "incentivare la tempestivita' della dichiarazione, sanzionando quelle
 presentate oltre il triennio, con l'impossibilita' di integrarle, per
 quanto riguarda le eventuali passivita' ereditarie".
                        Considerato in diritto
    1. - La Commissione tributaria di primo  grado  di  Milano  dubita
 della  legittimita'  costituzionale  degli  artt.  23,  comma  4, del
 decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346, e 16, quarto comma,  del
 d.P.R.  26  ottobre 1972, n. 637, nella parte in cui stabiliscono che
 il termine di tre anni  per  la  presentazione  della  documentazione
 delle  passivita'  deducibili,  gravanti  l'asse  ereditario, decorre
 dall'apertura della successione.  In  particolare,  ad  avviso  della
 Commissione  remittente,  le  norme  censurate, non prevedendo che il
 suddetto termine decorra  dal  momento  in  cui  gli  obbligati  alla
 presentazione  della  dichiarazione di successione sono chiamati alla
 eredita' - e cio' avuto  particolare  riguardo  al  caso  in  cui  la
 chiamata all'eredita' non coincida con l'apertura della successione e
 avvenga,  come nel giudizio a quo, a seguito di procedura giudiziaria
 accertante la falsita' di un atto testamentario  -  violerebbero  gli
 artt. 3, 24 e 53 della Costituzione.
    2. - La questione non e' fondata.
    Essa   presuppone   implicitamente,  infatti,  una  lettura  delle
 disposizioni  censurate  che  questa  Corte  ritiene  di  non   poter
 condividere.
    Al  riguardo  giova  precisare  che  nella legislazione previgente
 (art. 50 del regio decreto 30 dicembre 1923, n.  3270:  "Approvazione
 del  testo di legge tributaria sulle successioni"), il termine per la
 deduzione delle passivita' deducibili dall'attivo ereditario  era  di
 due  anni  e decorreva, non dalla data di apertura della successione,
 bensi' dalla presentazione della relativa denuncia. L'art. 23,  comma
 4,  del d.lgs. n. 346 del 1990 che riproduce integralmente l'art. 16,
 quarto comma, del d.P.R. n.  637  del  1972  e'  innovativo  rispetto
 all'art.  50 previgente, in quanto stabilisce la decorrenza del detto
 termine dalla data di apertura  della  successione  e  cio'  viene  a
 connotarsi   come   elemento   sanzionatorio   nei   riguardi   delle
 dichiarazioni presentate tardivamente.
    3. - Cio' premesso,  occorre  considerare  che  la  fattispecie  -
 oggetto  del giudizio a quo - e' espressamente disciplinata dall'art.
 28, comma 6, del d.lgs. n. 346 del 1990, il  quale  dispone  che  "se
 dopo   la   presentazione   della   dichiarazione  della  successione
 sopravviene un evento .. che da' luogo a mutamento della  devoluzione
 dell'eredita',  i  soggetti  obbligati,  anche se per effetto di tale
 evento, devono presentare dichiarazione sostitutiva o integrativa".
    In virtu' di  siffatto  mutamento  devolutivo  il  modulo  normale
 tributario  del  trasferimento  ereditario si arricchisce di elementi
 ulteriori, che incidono sul rapporto giuridico di imposta.
    Da un lato, il nuovo destinatario della devoluzione ereditaria  e'
 obbligato  a  comunicare  al fisco l'evento sopravvenuto, presentando
 dichiarazione sostitutiva o integrativa, alla quale si  applicano  le
 stesse  regole  formali  di  quella  principale  (art.  28,  comma 6,
 citato); dall'altro, ad essa consegue, da parte del fisco,  l'obbligo
 di  provvedere  alla  riliquidazione  dell'imposta  che  deve  essere
 notificata, mediante avviso, entro il termine  di  decadenza  di  tre
 anni  dalla  data  di presentazione della dichiarazione sostitutiva o
 integrativa stessa (art. 27, comma 2, del d.lgs. n. 346 del 1990).
   Coerentemente con le succitate previsioni normative, il termine per
 la  presentazione  della  dichiarazione  sostitutiva  o   integrativa
 decorre  non  gia'  dalla  data di apertura della successione, bensi'
 dalla (diversa) data dell'evento di cui all'art. 28, comma 6,  ovvero
 dell'evento che ha comportato il mutamento di devoluzione ereditaria,
 come  esplicitamente  previsto dall'art. 31, comma 2, lettera e), del
 d.lgs. n. 346 del 1990 (che riproduce  l'art.  39,  lettera  d),  del
 d.P.R. n. 637 del 1972).
    Naturalmente  devono  essere soddisfatte le condizioni sostanziali
 di deducibilita' dei debiti: in altri termini e'  necessario  che  il
 debito  esista  alla  data  in  cui  si e' aperta la successione, nel
 duplice senso che la sua causa giuridica sia anteriore alla  apertura
 della successione e non sia stato soddisfatto prima di questo evento,
 giacche',  in  caso  contrario, intuitivamente l'attivo ereditario ha
 gia' subito una conseguente diminuzione.
    4.  -  Avuto  riguardo  alle suesposte condizioni, nell'ipotesi di
 sopravvenienza dell'evento di cui all'art. 28, comma  6,  il  termine
 per  la  deducibilita'  dei  debiti  - aventi i requisiti succitati e
 stabiliti dagli artt. 20 e ss. del d.lgs. n. 346 del 1990 - non  puo'
 che decorrere - al pari di quanto previsto per la presentazione della
 dichiarazione  sostitutiva  o  integrativa  - dalla data in cui si e'
 verificato l'evento di cui all'art. 28, comma 6, ovvero l'evento  che
 ha  dato  luogo  al  mutamento di devoluzione ereditaria. I documenti
 concernenti le passivita' ai sensi dell'art. 30, comma 1, lettera i),
 del d.lgs  n.  346  del  1990,  altro  non  sono  che  allegati  alla
 dichiarazione,  della quale seguono, in quanto privi di autonomia, la
 disciplina.
    Cio' e' conseguenziale  ad  una  ricostruzione  logico-sistematica
 della  normativa  censurata  e  appare volto ad evidenziarne la ratio
 ispiratrice. Difatti, e come gia' si e' detto, il termine di tre anni
 dall'apertura  della  successione,   per   la   deducibilita'   delle
 passivita'  previsto  dall'art.  23  del  d.lgs.  n. 346 del 1990, e'
 preordinato a sanzionare le dichiarazioni tardive. Nel caso in esame,
 cioe' nell'ipotesi di dichiarazioni sostitutive o integrative, non vi
 e' alcun ritardo da sanzionare, ma semplicemente la sopravvenienza di
 un evento (non imputabile al soggetto passivo  della  dichiarazione),
 che   trova   adeguata  ed  esaustiva  considerazione  da  parte  del
 legislatore.
    5. - Le suesposte considerazioni conducono  ad  affermare  che  le
 norme  impugnate  non  sono  viziate  dalle censure di illegittimita'
 costituzionale prospettate dalla Commissione  remittente,  dovendosi,
 attraverso   la  ricostruzione  del  sistema  come  sopra  delineato,
 escludere il prospettato  contrasto  con  gli  artt.  3  e  53  della
 Costituzione,  mentre l'indicato art. 24 attiene alla tutela e difesa
 in fase processuale giurisdizionale, campo del  tutto  estraneo  alle
 norme  in esame, che riguardano, invece, la procedura di adempimenti,
 di dichiarazioni e documentazioni in sede  tributaria-amministrativa,
 semplicemente   conseguenti  nei  termini  temporali  a  procedimento
 giurisdizionale  definito.  La  relativa  questione   va,   pertanto,
 dichiarata non fondata.