LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto da Mortini Giovanni, titolare dell'omonima impresa di costruzioni, elettivamente domiciliato in Roma, via Carlo Mirabello n. 34, c/o l'avvocato Franco Garcea che lo rappresenta e difende giusta delega in calce al ricorso; ricorrente, contro il comune di Allerona, in persona del sindaco pro-tempore, elettivamente domiciliato in Roma, via Maria Cristina n. 8 c/o lo studio Gobbi, rappresentato e difeso dall'avvocato Alarico Mariani Marini giusta delega a margine del controricorso; controricorrente per regolamento di competenza avverso la sentenza non definitiva n. 94/1994 del tribunale di Orvieto depositata il 21 aprile 1994; Udita la relazione svolta dal consigliere Altieri; Lette le conclusioni scritte dal dr. Raffaele Palmieri, sostituto procuratore generale c/o la Cassazione con le quali si chiede che la Corte di cassazione, in camera di consiglio, voglia in via principale, rigettare il ricorso, confermando la competenza del tribunale di Orvieto, con i provvedimenti seguenti per legge; in via del tutto subordinata, solleva questione di legittimita' costituzionale, rimettendo gli atti al giudice delle leggi, dell'art. 47, primo comma, d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, come sostituto dall'art. 16 legge 10 dicembre 1981, n. 741, per violazione degli artt. 25, primo comma, e 102, primo comma, Cost. Con citazione notificata il 23 ottobre 1993 il comune di Allerona, premesso di aver affidato in appalto all'impresa di Mortini Giovanni, in data 14 ottobre 1988, i lavori di sistemazione esterna della scuola media di Allerona Scalo e che, a seguito del collaudo, approvato dalla giunta municipale e notificato all'appaltatore, era stato accertato un credito dell'amministrazione di L. 87.714.654, risultante dalla compensazione tra il corrispettivo dovuto all'impresa e le penali a carico della stessa, convenivano dinanzi al tribunale di Orvieto il Mortini, chiedendone la condanna al pagamento di detta somma. Costituitosi in giudizio, il convenuto eccepiva, preliminarmente, l'incompetenza del giudice adito, essendo competente un collegio arbitrale, cosi' come previsto dal capitolato generale sulle opere pubbliche di competenza del Ministero dei lavori pubblici (d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063), richiamato dal capitolato speciale; esponeva, in proposito, di aver notificato in data 21 aprile 1992 al comune domanda di arbitrato, notifica che avrebbe determinato la pendenza del giudizio arbitrale, ai sensi dell'art. 39 cod. proc. civ. Nel merito contestava la fondatezza della pretesa e svolgeva domanda riconvenzionale, affermando di vantare un maggior credito nei confronti dell'amministrazione. Con sentenza non definitiva 13-21 aprile 1994 il tribunale dichiarava la propria competenza, rilevando che, secondo i principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza 14 luglio 1977, n. 127, occorre che sussista una comune ed espressa volonta' delle parti per derogare alla competenza giudiziaria: nella specie, pur richiamando il capitolato speciale quello generale n. 1063/1962, vi era silenzio in punto di competenza arbitrale, e quindi non sussisteva applicabilita' delle norme statali in materia. Il Mortini ha, quindi, proposto ricorso per regolamento di competenza, sostenendo che nella specie sussiste quella arbitrale, per i seguenti motivi: 1) erroneamente il tribunale aveva fatto riferimento al divieto di arbitrato obbligatorio, affermato dalla sentenza n. 127/1977 della Corte costituzionale. La disciplina dettata dagli artt. 43 e seguenti del capitolato generale non introduce, infatti, un arbitrato obbligatorio, essendo pacifico che, stante la facolta' accordata alle parti da tali norme di declinare tale competenza, si tratterebbe di arbitrato volontario. Tale natura volontaria del ricorso agli arbitri, secondo il ricorrente, permane anche a seguito della legge 10 dicembre 1981, n. 741, la quale attribuisce alla parte che prende l'iniziativa del contratto la facolta' di sottrarsi all'arbitrato; per quanto, poi, attiene alle modalita' di espressione della volonta' delle parti di devolvere alla cognizione degli arbitri le controversie tra loro insorte, sussistendo un richiamo globale al capitolato generale, erroneamente il tribunale non aveva considerato il silenzio delle parti in punto di competenza arbitrale come volonta' di aderire alle norme generali sulla competenza; 2) il tribunale aveva, inoltre, trascurato che la normativa statale in materia di appalti era applicabile ex proprio vigore per effetto del disposto dell'art. 294, terzo comma, del r.d. 3 marzo 1934, n. 383, trattandosi di lavori eseguiti con mutuo statale (a carico della cassa dd.pp.). Le parti, quindi, non potevano contrattualmente disciplinare i loro rapporti in deroga alla normativa statale. Nelle sue richieste scritte presentate del 4 ottobre 1994 il procuratore generale, richiamata la sentenza della Corte costituzionale 14 luglio 1977, n. 127, nonche' quella delle sezioni unite di questa Corte 10 febbraio 1992, n. 1458, rileva che la deroga alla competenza dell'autorita' giudiziaria in materia di diritti soggettivi - assicurata dagli artt. 24 e 102 Costituzione - puo' essere conseguita soltanto attraverso uno specifico e concorde atto volontario delle parti, per cui, mentre non e' sufficiente il generico richiamo ad un complesso di norme contenenti, fra l'altro, disposizioni in materia di arbitrato, deve comunque ritenersi che la norma specifica contenuta nel d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, stante la sua natura regolamentare, debba essere disapplicata. Rileva, inoltre, il procuratore generale che la disciplina dell'arbitrato in materia di appalto di opere pubbliche regolate dal d.P.R. n. 1063/1962 non e' piu' soggetta alle disposizioni di detto d.P.R., essendo state le norme di quest'ultimo sostituite dall'art. 16 della legge 10 dicembre 1981, n. 741, il quale dispone testualmente: "In deroga alle disposizioni degli artt. 43 e seguenti .. la competenza arbitrale puo' essere esclusa solo con apposita clausola inserita nel bando o invito di gara, oppure nel contratto in caso di trattativa privata". Ove tale norma venga interpretata nel senso di prevedere una fonte della competenza arbitrale diversa dalla concorde volonta' delle parti non resterebbe, secondo il procuratore generale, che sollevare questione di legittimita' costituzionale, in relazione agli artt. 24 e 102, primo comma, Costituzione. Nel controricorso del comune si rileva, fra l'altro: che l'art. 294 r.d. n. 383/1934 e' stato espressamente abrogato dall'art. 64 della legge 8 giugno 1990, n. 142; che il requisito della forma scritta, previsto per la clausola compromissoria o compromesso, richiede un'esplicita stipulazione per iscritto, non potendo esser soddisfatto in una stipulazione o in un'accettazione per via di relazione generica ad altro documento. MOTIVI DELLA DECISIONE Deve, innanzitutto, essere risolto il problema dell'individuazione della fonte della disciplina della competenza arbitrale sulle controversie derivanti dal rapporto dedotto in giudizio. Trattandosi, pacificamente, di opera finanziata con mutuo a carico dello Stato, l'applicabilita' della normativa statale in materia di opere pubbliche - e quindi, per quanto attiene al ricorso alla procedura arbitrale, dell'art. 16 della legge 10 dicembre 1981, il quale ha espressamente modificato gli artt. 43 e seguenti del d.P.R. n. 1063 del 1962, consegue dall'art. 294, terzo comma, del r.d. 3 marzo 1934, n. 383. In relazione a tale ultima norma occorre, pero', porre il problema della sua abrogazione, conseguente all'art. 64, primo comma, lett. c), della legge n. 142 del 1990 sulle autonomie locali, il quale ha abrogato le disposizioni contenute del r.d. 3 marzo 1934, n. 383, facendo salve alcune norme, oltre a quelle relative alle materie oggetto di potesta' statutaria fino all'approvazione dello statuto, norme tra le quali non e' compreso l'art. 294. Orbene, non appare che tale abrogazione comporti il venir meno - per il caso di specie - dell'applicabilita' dell'art. 16 della legge n. 741 del 1981, in quanto il contratto d'appalto era stato stipulato anteriormente all'entrata in vigore della legge n. 142/1990. Il mutamento della disciplina in materia non si esaurisce, infatti, in una nuova regolamentazione della competenza e non ha, quindi, un mero valore processuale, con conseguente spostamento della competenza a favore degli arbitri anche per le controversie insorte in relazione a rapporti costituiti in precedenza. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (fra le altre, sez. I, 12 marzo 1897, n. 2561; 29 aprile 1991, n. 4723; 5 gennaio 1994, n. 73), l'art. 16 non puo' essere considerato una norma processuale sulla competenza, ma ha natura sostanziale, in quanto contiene la disciplina delle modalita' negoziali con le quali la volonta' di deroga alla competenza arbitrale deve essere espressa. Lo stesso ragionamento, ad avviso della Corte, deve essere fatto in relazione al nuovo regime giuridico instaurato attraverso l'abrogazione, da parte dell'art. 64 della legge n. 142/1990, dell'art. 294 del r.d. 3 marzo 1934, n. 383 e, quindi, del richiamo in tale norma contenuto: anche in tal caso, infatti, l'innovazione normativa incide, anzitutto, sulla disciplina dei limiti ed effetti di una fattispecie sostanziale (un atto amministrativo o una clausola contrattuale, a seconda che la scelta del contraente avvenga con procedura pubblica o mediante trattativa privata), e solo come ulteriore conseguenza sulla competenza. Deve, pertanto, concludersi nel senso che il rapporto dedotto in giudizio e' sottoposto, almeno per quanto attiene alla competenza arbitrale, all'art. 16 della legge 10 dicembre 1981, n. 741. Si pone, a quanto punto, il problema sollevato dal procuratore generale, e se cioe' la norma in questione debba essere interpretata nel senso di consentire liberamente, a ciascuna delle parti, il ricorso al giudice ordinario, ovvero se tale libero concorso sia in qualche misura limitato o escluso; in altre parole, se si tratti - secondo l'alternativa posta dalla citata sentenza delle sezioni unite 10 febbraio 1992, n. 1458 - di arbitrato libero o obbligatorio perche', in tale seconda alternativa, si pone la questione della sua compatibilita' coi principi costituzionali indicati dalla sentenza della Corte costituzionale 14 luglio 1977, n. 127, con la quale e' stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art. 25, primo comma, del r.d. 29 giugno 1939, n. 1127, nella parte in cui non riconosce la facolta' di adire l'autorita' giudiziaria ordinaria. In tale sentenza, previo richiamo delle precedenti pronunzie n. 35 del 1958 e n. 2 del 1963, e' stato affermato che, in forza del congiunto disposto degli artt. 24, primo comma, Cost. (diritto di azione in giudizio e correlativo esercizio, costituzionalmente garantiti) e 102, primo comma, Cost. (riserva della funzione giurisdizionale ai giudici ordinari, salve le eccezioni di cui all'articolo seguente), il fondamento di qualsiasi arbitrato e' da rinvenirsi esclusivamente nella libera scelta delle parti. In forza di tale principio, applicato dalle sezioni unite di questa Corte nella sentenza 10 febbraio 1992, n. 1458, la competenza giudiziaria puo' essere derogata soltanto in forza di apposito accordo tra le parti del rapporto. Orbene, com'e' stato evidenziato nella predetta sentenza, per quanto riguarda le controversie nascenti dai contratti di appalto di opere pubbliche soggetti all'applicazione dell'art. 16 della legge n. 741 del 1981, la regola della competenza del giudice ordinario viene rovesciata, nel senso che la competenza ordinaria in tale materia e' quella arbitrale e non quella giudiziaria, e che tale regola puo' essere derogata soltanto in modi che non consentono alle parti - a seguito di unilaterale scelta - di adire il giudice. Infatti, nei casi di asta pubblica e licitazione privata la competenza del giudice e' subordinata all'unilaterale iniziativa dell'Amministrazione (la quale deve inserire una specifica disposizione nel bando di gara o nell'offerta a partecipare), iniziativa alla quale il contraente privato e' meramente soggetto; nel caso di trattativa privata la norma prevede l'inserimento nel contratto di apposita clausola derogatoria della competenza arbitrale, il che comporta che, in mancanza di accordo delle parti, tale competenza non puo' essere derogata. Si tratta com'e' evidente, di una limitazione che, ove stabilita con atti amministrativi, puo' essere rimossa attraverso l'esercizio del potere di disapplicazione previsto dall'art. 5 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E (come e' avvenuto nel caso deciso con la sentenza delle sezioni unite n. 1458/1992); ma, se introdotta da norme di legge, stante il fondato sospetto della sua compatibilita' coi principi costituzionali, non consente altra via se non quella della rimessione alla Corte costituzionale. Circa la rilevanza di tale questione rispetto all'oggetto della controversia, tale rilevanza non sussisterebbe se gli atti contrattuali o quelli che integrano il contratto (nella specie, il capitolato speciale) contenessero una valida deroga alla competenza giudiziaria, nel senso richiesto dai principi costituzionali. Occorrerebbe, inoltre, che vi sia stata scelta del contraente mediante trattativa privata perche', in caso di asta pubblica o di licitazione privata, l'unica possibilita' di derogare alla competenza arbitrale sarebbe quella dell'inserimento di apposita cluausola nel bando e nell'invito di gara. Ma, anche ammesso che l'inserimento nel capitolato speciale del rinvio alla normativa statale valga per qualunque modalita' di scelta del contraente, tale generico e globale rinvio alla normativa statale (e fra questa alla disciplina dei presupposti della competenza arbitrale) non risponde al requisito della forma scritta, la quale, invece, impone una esplicita menzione, anche se sintetica, dell'intenzione delle parti di rimettere le loro controversie al giudizio degli arbitri (in tal senso la sentenza delle sezioni unite n. 1458/1992). Poiche', quindi, contrariamente a quanto ritenuto dal tribunale, nella specie sussiste un caso di arbitrato reso obbligatorio dall'art. 16 della legge n. 741 del 1981, non resta che sospendere il giudizio e rimettere la questione di costituzionalita' di tale norma alla Corte costituzionale.