IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI A seguito di richiesta del p.m., depositata in data 2 agosto 1995, di applicazione della misura coercitiva della custodia cautelare (art. 285 c.p.p.) a carico di Resse Giuseppe, nato il 27 ottobre 1951 a Taranto e ivi residente in via G. Messina n. 123/B, capo 1a classe della Marina Militare, indagato per il reato di concorso in truffa militare pluriaggravata (artt. 110 c.p., 234, c. I e II e 47 n. 2 c.p.m.p.), ha pronunciato la seguente ordinanza. FATTO E DIRITTO Il g.i.p. investito della richiesta del p.m. di applicazione della misura coercitiva della custodia cautelare in carcere a carico di Resse Giuseppe, maresciallo capo di 1a classe, deve preliminarmente verificare se il reato per cui si procede rientri nei limiti edittali di cui all'art. 280 c.p.p., fissati nella pena "dell'ergastolo o della reclusione superiore nel massimo di tre anni". La fattispecie criminosa contestata all'indagato e' di truffa militare ai danni dell'a.m. (art. 234 cc. I e II, prima ipotesi, c.p.m.p.), per la quale e' comminata la sanzione della reclusione militare da uno a cinque anni. Sia che la norma incriminatrice de qua costituisca figura autonoma di reato - come certa giurisprudenza di merito ritiene -, sia che essa sia circostanza aggravante ad effetto speciale rispetto alla figura base di cui al primo comma dell'art. 234 c.p.m.p., risulta certamente rispettato nel quantum il limite previsto dall'art. 280 c.p.p. Rileva, pero', il giudice che la specie di pena comminata per il reato in questione non e' la reclusione, ma la reclusione militare, disciplinata in via autonoma dall'art. 26 c.p.m.p. e connotata da modalita' proprie di esecuzione, tendenti alla finalita' di mantenimento e rieducazione del condannato militare nella compagine militare. Che le due pene detentive siano di specie diversa, appare, aldila' di ogni ragionevole dubbio, confermato dall'art. 22 c.p.m.p., che espressamente distingue la reclusione militare dalla reclusione, qualificandole pene militari. Inoltre, significativamente, l'art. 23 c.p.m.p. espressamente prevede che la reclusione militare e' ricomprendibile nella denominazione di "pene detentive o restrittive della liberta' personale" e quindi non anche in quella di "reclusione". Cio' posto, si impone il problema se l'art. 280 c.p.p. consenta l'emissione di misure coercitive, oltre che per i reati, comuni o militari, puniti con la "reclusione" superiore ai tre anni (o con l'ergastolo), anche per quelli puniti con la "reclusione militare" superiore a tale limite. Di fronte a tale quesito il giudice ritiene di dover propendere per la tesi negativa. Invero, l'art. 13, comma II, Cost., stabilisce che "non e' ammessa forma alcuna di detenzione .., se non .. nei soli casi e modi previsti dalla legge" e al riguardo, si osserva che l'art. 280 c.p.p. menziona la "reclusione" ma non la "reclusione militare". Un'interpretazione che allarghi l'ambito di applicazione della norma processuale alle fattispecie di reato punite con la reclusione militare, da un lato, non sarebbe conforme al citato art. 13 Cost., dall'altro comporterebbe il ricorso all'interpretazione analogica, non consentita per leggi che - come quelle in questione - fanno eccezione alla regola generale della liberta' personale (art. 14 preleggi). Ne' appare corretto, per affermare la riconducibilita' della reclusione militare nell'ambito della nozione di reclusione ai fini dell'art. 280 c.p.p., riferirsi al disposto dell'art. 261 c.p.m.p., comunemente citato per giustificare l'applicazione del codice di procedura penale anche ai procedimenti davanti ai tribunali militari, atteso che esso nulla dispone in ordine alla sostituibilita', a fini processuali, della reclusione con la reclusione militare. Sicche', nel campo che ci occupa, gli effetti del citato art. 261 rilevano nei soli casi in cui un reato militare sia punibile con la reclusione (superiore a tre anni). Ne consegue che, non essendo prevista la reclusione militare dall'art. 280 c.p.p., si dovrebbe respingere, nella specie, solo per tale preliminare ragione, la richiesta del p.m. Tuttavia, ritiene il Giudice che l'art. 280 c.p.p., - nella parte in cui non consente l'applicabilita' di misure coercitive anche ai reati militari puniti con la reclusione militare superiore ai tre anni - sia in contrasto con gli artt. 3 e 112 Cost. E' infatti del tutto irrazionale - e percio' lesivo del principio di uguaglianza - che fatti - quali quelli di truffa (art. 640 c.p.) e truffa militare (art. 234 c.p.m.p.) - ontologicamente uguali e quindi connotabili di eguale gravita', sottostiano ad un diverso trattamento, quanto all'applicabilita' di misure cautelari: queste, infatti, come detto, sono de iure condito, consentite solo per la fattispecie penale comune e non per la "parallela" fattispecie penale militare, i cui elementi costitutivi pure sono i medesimi della norma comune. Ne' si intravedono plausibili giustificazioni di tale differenziato trattamento sul piano cautelare, atteso che, anzi, la qualita' del soggetto attivo (militare), inserito in una compagine di diretto contatto con il soggetto passivo (altro militare o amministrazione militare) puo', in riferimento a talune fattispecie, rendere ancor piu' concrete e pressanti, rispetto all'ambito comune, le esigenze cautelari (ad esempio, per il pericolo d'inquinamento delle prove). In riferimento all'art. 112 Cost., e' evidente che l'obbligo del p.m. di promuovere l'azione penale, necessariamente comporta la predisposizione di mezzi processuali tali da assistere il potere d'azione accusatoria non solo all'atto del promovimento, ma anche nel suo sviluppo procedimentale e temporale. Privare il p.m. del potere di richiesta di misure cautelari implica un sostanziale indebolimento dell'azione penale che finisce col non essere piu' assistita dai mezzi e supporti necessari per un corretto esercizio. Si rimette pertanto la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 280 c.p.p. - in parte de qua -, con riferimento agli artt. 3 e 112 Cost., sospendendo il procedimento di applicazione della misura cautelare.