IL TRIBUNALE
    Ha  pronunciato la seguente ordinanza: letta la domanda presentata
 il 17 giugno 1995 dal curatore del fallimento Picariello;
    Considerato  che  con  separato  decreto  sono  state  decise   le
 questioni  relative  alla  possibilita'  di liquidare il compenso del
 curatore, all'individuazione del soggetto  obbligato  all'adempimento
 per  le  spese  della procedura, nonche' alla destinazione del denaro
 residuato sul libretto aperto dal curatore;
    Considerato che il fallimento del signor Paolo Picariello e' stato
 revocato con sentenza di questo tribunale in data 30 settembre  1994,
 che  ha  disatteso  la  domanda  dell'opponente  per  la condanna del
 credito  istante  ai  sensi  dell'art.   21,   terzo   comma,   legge
 fallimentare;
    Considerato  poi  che  il  giudice dell'opposizione ha statuito in
 punto spese del giudizio, condannando  il  signor  Guido  Casagrande,
 creditore  istante  e la curatela del fallimento al pagamento del 50%
 delle spese processuali sostenute  dal  Picariello,  compensando  nel
 resto gli oneri del giudizio;
    Considerato  pertanto  che  e'  necessario  decidere  in ordine al
 soggetto obbligato al pagamento  delle  spese  legali  tutte  facenti
 carico  alla  curatela  per  la  causa  di  opposizione, e per quelle
 relativa alla  causa  sostenuta  nei  confronti  del  signor  Massimo
 Drosera.
    Si  tratta della questione relativa alla possibilita' di accollare
 all'erario  le  spese   di   un   fallimento,   che   fu   dichiarato
 indebitamente, stando ad una sentenza ormai in giudicato.
    Il problema e' sorto, dopo che il d.l.c.p.s. 23 agosto 1946 n. 153
 abrogo'  il ruolo ed il fondo speciale previsti dalla legge 10 luglio
 1930 n. 995.
    La    Corte    costituzionale    per    parte    sua     dichiaro'
 l'incostituzionalita'  (sent. 6 marzo 1975 n. 46) della norma dettata
 dall'art. 21 legge fallimentare, nella parte  in  cui  ammetteva  che
 potessero  far carico al debitore le spese sostenute per la procedura
 ed  il  compenso  del  curatore,  dopo  il  vittorioso   espertimento
 dell'opposizione alla dichiarazione di fallimento.
    La  cassazione  noto'  in  seguito  (sentenza 25 settembre 1978 n.
 4276) che il problema non era  stato  risolto  dalla  sentenza  della
 Corte  costituzionale,  poiche'  restava  esclusa  da ogni previsione
 l'ipotesi oggi in esame.
    Si  tratta  del  caso  in  cui   la   sentenza   di   accoglimento
 dell'opposizione  non  ha  pronunciato in ordine alla responsabilita'
 processuale del creditore.
    Piu'  recentemente  la  corte  di   cassazione   ha   seguito   un
 orientamento  che  prevede quasi sempre la condanna del creditore, in
 caso di accoglimento dell'opposizione (ad es. sent. 9 aprile 1984  n.
 2266),   ritenendosi   che  l'indebita  presentazione  di  un'istanza
 costituisca di per se' una circostanza rilevante ai sensi degli artt.
 21, legge fall. o 96 c.p.c.
    Questo non e' il caso di specie, posto che il creditore istante e'
 stato ritenuto obbligato al pagamento solo di una parte  delle  spese
 del  giudizio  di  opposizione  che  sono  state sostenute dal signor
 Picariello.
    Si deve pertanto stabilire chi sia tenuto al pagamento delle spese
 tutte sopra indicate, posto che non e' possibile accollarle al signor
 Picariello   in   forza   della   citata   pronuncia   della    Corte
 costituzionale.
    Le ricordate norme di legge abrogatrici di precedenti disposizioni
 impediscono  poi  di applicare l'art. 91 legge fall., facendo gravare
 sull'erario dello Stato le spese di cui si tratta.
    Tale asserzione  si  pone  in  consapevole  contrasto  con  talune
 pronunzie  di  merito (ad es. Trib. Catania, 26 gennaio 1989, in dir.
 fall. 1989, II, 1203 segg. Ma si veda anche la piu'  risalente  Cass.
 27   novembre   1979   n.  6204),  che  hanno  considerato  possibile
 l'applicazione in via  analogica  del  disposto  dell'art.  91  legge
 fall.,   al  fine  di  ricomprendere  gli  oneri  di  cui  si  tratta
 nell'ambito delle spese che l'erario sostiene in caso di  revoca  del
 fallimento.
    Sembra  invece che la norma in esame contenga una previsione assai
 piu' ristretta, come la dottrina ha rilevato piu' volte.
    L'art. 91 legge fall. regola il caso in  cui  non  vi  sia  denaro
 liquido  nella  disponibilita'  della curatela, per cui un preminente
 interesse  pubblico  impone  l'anticipazione  delle  somme  da  parte
 dell'erario.
    Non  e' ben chiaro se la formulazione "atti richiesti dalla legge"
 che compare nella norma in esame si riferisca solo agli atti  interni
 alla procedura, oppure anche a quelli ritenuti necessari dagli organi
 del fallimento.
    La   dottrina  si  e'  da  tempo  espressa  per  l'interpretazione
 restrittiva  adducendo  penetranti  argomenti,  non  ostante   alcune
 pronunzie giurisprudenziali in senso contrario.
    Quanto  poi  alle  "spese  giudiziali"  e'  controverso se possano
 essere ricompresi in  tale  ambito  gli  onorari  od  i  compensi  di
 qualsiasi specie.
    L'opinione  negativa  si  basa  sulla  analogia istituibile con le
 norme sul gratuito patrocinio, che non  sono  tuttavia  in  grado  di
 disciplinare delle situazioni simili a quella in esame.
    Le decisioni sopra citate che divergono dalla tesi dottrinaria non
 sembrano  condivisibili perche' tendono a far ritenere normale quello
 che la legge sembra invece considerare eccezionale.
    La giurisprudenza della Corte costituzionale  ha  esaminato  sotto
 altri   profili  l'utilita'  anche  economica  per  l'ordinamento  di
 procedere a dichiarazioni di fallimento, in ipotesi in  cui  si  puo'
 fondatamente  prevedere  che  l'esito  della macchinosa attivita' non
 sortira' alcuna utilita' per i creditori.
    La Corte si  e'  piu'  volte  soffermata  (nel  caso  del  piccolo
 imprenditore,  dell'artigiano,  della  piccola  societa' artigiana e,
 facendo un parziale passo in senso opposto, nel  caso  della  piccola
 societa'  commerciale)  a  valutare  l'economicita' per l'ordinamento
 dell'apertura di fallimenti, che si puo' ben  prevedere  destinati  a
 produrre solo dei costi per la collettivita'.
    Questo  genere  di  argomentazioni  va  condiviso,  posto  che  il
 principio desumibile dall'art. 97 della Costituzione impone anche  al
 giudice,  per  quanto  di  sua competenza, di valutare se l'interesse
 pubblico sotteso ad una determinata fattispecie sia di tale pregnanza
 da giustificare un diretto sacrificio per l'erario.
    La lettura che va data all'art.  91  legge  fall.  si  conforma  a
 questi principi, per quel che il giudice puo' determinare nell'ambito
 della sua cognizione.
    In  tale  ottica il caso di specie appare irrisolvibile, atteso lo
 stato della legislazione vigente.
    Gli  oneri  che  il  (revocato)  fallimento  deve  sostenere  sono
 relativi alle prestazioni rese da professionisti che hanno lavorato a
 favore  della  massa, oppure per conto di soggetti che hanno esperito
 una vittoriosa azione nel corso di liti  in  cui  il  fallimento  era
 parte.
    Ad  ogni  buon  conto  non  puo'  essere dubbio che alla procedura
 devono far carico le spese di cui alle domande  rivolte  al  curatore
 dagli avv.ti Marco Ferrari ed Alberto Raiteri di Alessandria, nonche'
 dall'avv. Federico Gavino di Genova.
    I   titoli   di   cui   alle   obbligazioni   vantate  dai  citati
 professionisti sono incontestati od incontestabili dalla massa.
    Tali poste non possono essere considerate alla stregua dei criteri
 adottati dalla  Corte  costituzionale  19  novembre  1985  n.  302  a
 proposito della qualificazione giuridica del compenso del curatore.
    La domanda del curatore rag. Elio Gatti sottopone alla valutazione
 del  giudice  delle  prestazioni  di  servizio che non hanno nulla di
 onorario, e che vanno pertanto retribuite come accade in tutti i casi
 in cui  un  soggetto  presta  a  favore  di  altri  una  qualsivoglia
 attivita' lavorativa.
    Il  legislatore stesso ha voluto considerare il diritto dei liberi
 professionisti ad ottenere l'adempimento delle obbligazioni, anche  a
 fronte  di  fallimenti  (art.  2751-bis  n.  2  c.c.), per cui non e'
 istituibile il raffronto tra l'attivita' del curatore  e  quella  del
 professionista  che vanta ragioni di credito verso la massa, in forza
 di  sentenze  passate  in  giudicato  o  di pretazioni effettivamente
 richieste e svolte.
    La norma che impedisce la liquidazione delle richieste di cui alla
 domanda del rag. Gatti e' pertanto  l'art.  91,  legge  fall.,  nella
 interpretazione  che  se  ne  e'  data  in precedenza, ormai non piu'
 integrabile sistematicamente con le disposizioni dell'abrogata  legge
 1930 n. 995.
    La   questione   e'  rilevante,  perche'  nel  descritto  contesto
 legislativo non e' possibile decidere sull'istanza del  curatore,  se
 non in senso negativo.
    La   reiezione   della  domanda  dei  professionisti  che  vantano
 legittime ragioni creditorie  nei  confronti  del  fallimento  appare
 tuttavia in contrasto con gli artt. 3, 35 e 36 della Costituzione.
    Sussiste   infatti   un'evidente   disparita'  di  trattamento  di
 situazioni  per  altro   equiparabili,   se   si   ha   riguardo   al
 professionista  che  fornisce  prestazioni ad un fallimento capiente,
 rispetto a quel che si profila per i nominati avvocati.
    Ne consegue una  ingiustificata  minore  tutela  per  un'attivita'
 lavorativa,  ancorche'  autonoma, che la Corte costituzionale ha piu'
 volte ritenuto meritevole della tutela (per  esempio  nel  noto  caso
 dell'Ilor) che la Costituzione riconosce al lavoro.