IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
    Rilevato  che  il  p.m.  ha chiesto pronunzia di questo giudice in
 ordine alla rilevanza e non manifesta infondatezza della questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 3  citato  in  epigrafe,  nella
 parte  in  cui,  modificando  l'art. 21, terzo comma, legge 316/1976,
 prevede una semplice sanzione amministrativa, e non piu  penale,  per
 l'ipotesi   di  superamento  dei  limiti  tabellari  da  parte  degli
 insediamenti  civili  e  delle  pubbliche  fognature,  deducendo,  in
 particolare,  la violazione degli artt. 3, 9, secondo comma, 32, 10 e
 77 della Costituzione;
    Esaminati gli atti del procedimento;
                             O S S E R V A
    La richiesta del p.m. e' fondata e, pertanto, va accolta.
    In primo luogo, va rilevato  che  oggetto  di  discussione  e'  la
 modifica  dell'art. 21 legge Merli, cosi' come introdotta dall'art. 3
 del d.-l. n.  79/1995,  convertito  nella  legge  n.  172/1995;  tale
 normativa  e'  intervnuta,  a  sua  volta,  a  parziale  modifica dei
 precedenti e reiterati decreti-legge succedutisi in  materia  e  gia'
 investiti   di  analoghe  questioni  di  constituzionalita',  benche'
 indubbiamente quella odierna presenti profili in parte peculiari.
    Il  citato  articolo  di  legge  sancisce,  in   particolare,   la
 depenalizzazione   dell'ipotesi   di   "inosservanza  dei  limiti  di
 accettabilita' stabiliti dalle regioni ai sensi dell'art. 14, secondo
 comma", fatte salve le disposizioni penali di cui al primo e  secondo
 comma  del  medesimo art. 21 legge Merli e ferma restando, invece, la
 rilevanza penale del superamento del limiti  tabellari  relativamente
 agli scarichi da insediamenti produttivi.
    Resta,   pertanto,   sfornita  di  qualsiasi  sanzione  penale  la
 violazione da parte degli scarichi da insediamenti civili o pubbliche
 fognature dei limiti specificamente  previsti  dalle  regioni  con  i
 rispettivi piani di risanamento, a norma dell'art. 14, secondo comma,
 legge   Merli,   cosi'  come  modificato  dall'art.  1  del  medesimo
 decreto-legge e relativa legge di conversione in argomento. Cio', pur
 ribadendo la nuova  disciplina  l'esigenza  di  definire  i  predetti
 limiti  tenendo  conto  di quelli fissati dalle tabelle allegate alla
 stessa legge Merli  e  conformandosi  ai  principi  e  criteri  della
 direttiva  del  Consiglio  91/271/CEE  del  21  maggio  1991  e  alle
 indicazioni di cui alla delibera del 30 dicembre  1980  dell'apposito
 Comitato   Interministeriale,   laddove  i  precedenti  decreti-legge
 avevano addirittura  previsto  la  possibilita'  per  le  regioni  di
 derogare   anche  in  senso  meno  restrittivo  ai  limiti  tabellari
 nazionali.
    Ne', d'altra parte, residuerebbero altri spazi di incriminabilita'
 penali per gli scarichi in questione, neanche sotto la  specie  della
 inosservanza   delle   prescrizioni  indicate  nel  provvedimento  di
 autorizzazione, ove si tratti di scarichi  nuovi  (non  preesistenti,
 cioe'  alla  legge  Merli),  essendo  stata  anche tale ipotesi, gia'
 prevista  dall'art.  22  legge  Merli,  depenalizzata  dal   medesimo
 provvedimento legislativo.
    Nella  fattispecie in esame, trattasi dello scarico della pubblica
 fognatura del comune  di  Duino  Aurisina  nella  baia  di  Sistiana,
 attivato nel 1984 o in epoca prossima a tale data, da parte del quale
 e'  stato  rilevato  l'obiettivo  superamento sia dei limiti previsti
 nella tabella A della legge n. 319/1976, sia di  quelli  dettati  dal
 Piano  Regionale  di  risanamento  delle acque della regione autonoma
 Friuli-Venezia Giulia, d.P.G.R. 384/Pres. del 1982.
    Tale  superamento,  puo'  imputarsi,  d'altra parte, a colpa degli
 indagati,  Giorgio  Depangher  e  Renzo  Zuliani,  nella   rispettiva
 qualita'  di  sindaco e capo dell'Ufficio tecnico comunale, apparendo
 imputabile  l'inconveniente   a   un   dimensionamento   sottostimato
 dell'impianto  di  depurazione,  non  risultando  effettuate scelte e
 vigilanza adeguate in proposito,  ne'  chiesto  mai  alcun  controllo
 all'U.S.L.  per  controllare l'efficienza depurativa degli impianti -
 pur essendo cio' previsto a carico dell'Ente appaltante  dall'art.  4
 punto  3  del  capitolato  d'appalto  in  atti - nonostante le schede
 d'analisi inviate dalla ditta appaltatrice segnalassero  il  continuo
 superamento dei limiti.
    La   sollevata   questione   di   costituzionalita'  e'  pertanto,
 senz'altro rilevante nel caso specifico,  dipendendo  dalla  relativa
 soluzione la decisione circa la sorte del procedimento, e cioe' se lo
 stesso vada o no archiviato per irrilevanza penale del fatto.
    La questione e' in effetti, ad avviso di questo giudice, fondata.
     A)  La  norma  impugnata  viola,  in  primo  luogo,  il principio
 fondamentale di eguaglianza di cui all'art. 3 Cost.
    Tale principio implica,  per  consolidata  giurisprudenza,  che  a
 situazioni    obiettivamente   analoghe   corrisponda   un   medesimo
 trattamento, laddove una disparita' di trattamento puo' giustificarsi
 solo per situazioni obiettivamente diverse,  in  base  a  criteri  di
 logica  e  ragionevolezza;  cosi'  sarebbe illegittimo un trattamento
 sanzionatorio  irrazionalmente  differenziato   rispetto   a   quello
 previsto da altre fattispecie.
    In   effetti,   ne'   dalla   lettura   della  legge-quadro  sugli
 inquinamenti idrici, ne' da altre fonti normative di base in materia,
 quali la legge 22 luglio  1994  n.  146  di  adeguamento  alla  legge
 comunitaria  1993 - la quale detta, all'art. 37, i principi e criteri
 di adeguamento alla citata direttiva 91/271/CEE in materia di  tutela
 della  acque  -  si  desume  alcun  concreto e convincente motivo per
 ritenere che vi debba essere una differenziazione di trattamento  per
 gli insediamenti civili (non scaricanti in pubbliche fognature) o per
 le pubbliche fognature, rispetto agli insediamenti produttivi, quando
 entrambi superino i limiti di accettabilita' rispettivamente previsti
 dai piani di risanamento regionali e dalle tabelle nazionali, gli uni
 e  gli  altri,  come  si  e' visto, pur sempre improntati ad analoghi
 criteri (cfr. citato art. 14, secondo comma, legge Merli nella  nuova
 formulazione).
    Ed  invero,  benche' potesse giustificarsi una certa diversita' di
 disciplina per le  due  categorie  di  insediamenti,  affidando  alle
 regioni  la  regolamentazione  inerente  agli insediamenti civili per
 adeguarla meglio alle esigenze locali, rinviando specificamente  alle
 stesse  la  definizione  dei  limiti  di  accettabilita' dei relativi
 scarichi (in ragione di una indubbia minore capacita'  inquinante  e,
 quindi,  di  una  minore  urgenza  di  intervenire), tuttavia, non si
 rinviene alcuna ragione per cui il superamento dei rispettivi  limiti
 -  pressoche'  corrispondenti,  si ripete - debba essere, in un caso,
 sanzionato  penalmente  e,  nell'altro,   solo   con   una   sanzione
 amministrativa  (peraltro  non  applicabile  nell'ipotesi  in  cui il
 pubblico amministratore disponga di "progetti esecutivi  cantierabili
 finalizzati  alla  depurazione  delle  acque",  come  previsto  - con
 formula, a dire il vero, di difficile interpretazione  -  dall'ultima
 parte del primo comma dell'art. 3 in argomento). In altre parole, non
 si  vede  perche',  a  parita' sostanziale di condizioni - immissione
 nell'ambiente  di sostanze in analogo modo inquinanti -, dei soggetti
 debbano essere puniti con sanzioni natura e gravita' cosi' diverse.
    Gia' la Corte di cassazione, del resto, con la sentenza a  sezioni
 unite  del  12  febbraio  1993,  aveva  esplicitamente  ritenuto: "da
 nessuna disposizione della legge in esame puo' trarsi la  convinzione
 che  il legislatore abbia voluto creare uno statuto specialissimo per
 i titolari degli scarichi civili ed equiparati, rinunziando per essi,
 e solo per essi, al regime sanzionatorio penale".
    Lo stesso principio, a prescindere dalla conclusione piu'  o  meno
 condivisibile  che  la S.C. ne ha tratto - circa la riferibilita' sic
 et simpliciter dei limiti tabellari nazionali e della fattispecie  di
 reato  di  cui  all'art.  21,  terzo  comma,  legge  n. 319/1976 agli
 insediamenti in questione - e' stato in piu'  occasioni  riconosciuto
 da  giurisprudenza  e  dottrina,  per  radicare  una  diversa area di
 incriminabilita' penale - ex artt. 21, secondo  comma,  e  25,  primo
 comma,    legge   Merli   -   ovvero   per   prospettare   dubbi   di
 costituzionalita' del testo normativo.
    D'altra parte, il principio fondamentale  di  eguaglianza  risulta
 leso  anche alla stregua dell'esame complessivo di tutta la normativa
 di tutela ambientale, che piu'  volte  prevede  sanzioni  penali  per
 fatti  anche  meramente formali, o comunque meno gravi di quello oggi
 in esame.
    Infine, il medesimo principio  appare  violato  sotto  l'ulteriore
 profilo  di  una eventuale disparita' di trattamento fra il cittadino
 della regione Friuli Venezia-Giulia, che ha gia' adottato il  proprio
 piano  di  risanamento,  e  quello  della regione che invece cio' non
 abbia ancora fatto, potendo  il  primo  cavarsela  con  una  semplice
 sanzione  amministrativa  e  il  secondo  incorrere,  invece,  in una
 sanzione penale, a norma dell'art. 21, secondo  comma,  legge  Merli,
 per  inosservanza  dell'obbligo  di  adottare le misure necessarie ad
 evitare un aumento anche temporaneo dell'inquinamento.
     B) La norma impugnata viola inoltre gli artt.  32  e  9,  secondo
 comma,  Cost., con riferimento ai beni della salute e del "paesaggio"
 o ambiente, i  quali  appaiono  troppo  blandamente  o  comunque  non
 adeguatamente  tutelati  con la nuova disciplina sanzionatoria, posto
 che, peraltro, trattasi di beni di primaria ed essenziale importanza,
 non sacrificabili neanche in nome di presunti interessi pubblici.
     C) Evidente e', infine, il contrasto con gli artt. 10 e 11  della
 Costituzione,   integranti  pure  principi  fondamentali  del  nostro
 ordinamento.
    In base a tali principi, sarebbero  stati  auspicabili  ben  altro
 rigore e congruita' del trattamento sanzionatorio
 delle  singole ipotesi di inquinamento, per renderlo piu' rispondente
 alle direttive comunitarie in materia, la  cui  violazione  da  parte
 dello  Stato  italiano  e'  stata gia' oggetto di diversi richiami da
 parte della Corte europea di giustizia
 (cfr. sentt. 21 settembre 1989, 28 febbraio 1991 e 13 dicembre 1990).
    In  particolare,  viene  in  considerazione  la  gia'   menzionata
 direttiva  del  Consiglio  91/271/CLL del 21 maggio 1991, che avrebbe
 dovuto essere attuata sin dal giugno 1993 e che, invece, non solo non
 e' stata ancora attuata, bensi' e' stata  seguita  dal  provvedimento
 legislativo in esame e, prima di questo, da altri decreti-legge ancor
 piu' miti in proposito.
    Vane   e   disattese  si  sono  rivelate,  invero,  le  intenzioni
 manifestate dal legislatore nella citata  legge  n.  146/1994,  circa
 l'adeguamento  alla  normativa  comunitaria.  In  particolare, appare
 inattuato il criterio o principio direttivo generale di cui  all'art.
 2,  lett.  d), secondo cui le sanzioni penali avrebbero dovuto essere
 previste "nei casi in cui le infrazioni ledano o espongano a pericolo
 interessi  generali  dell'ordinamento  interno  del  tipo  di  quelli
 tutelati  dagli  artt.  34  e  35 legge n. 689/1981", tra cui appunto
 quelli  ricollegabili  alla  legge   Merli;   invece,   la   sanzione
 amministrativa  "sara'  prevista  per  le  infrazioni  che  ledano  o
 espongano a pericolo interessi diversi da quelli suindicati".