IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
   Ha pronunciato la seguente ordinanza in sede di udienza camerale di
 convalida dell'arresto di Pietroluongo Antonio e Mei Riccardo;
   Premesso  che  e'  necessario  procedere  all'interrogatorio  degli
 arrestati con le modalita' di cui agli artt. 64 e seguenti c.p.p.;
   Considerato  che  l'art.  141-bis  c.p.p., introdotto dalla legge 8
 agosto 1995 n. 332, prevede che,  a  pena  d'inutilizzabilita',  ogni
 interrogatorio  di persona che si trovi, a qualsiasi titolo, in stato
 di  detenzione,  e  che  non  si  svolga  in  udienza,  deve   essere
 documentato  integralmente  con  mezzi  di riproduzione fonografica o
 audiovisiva;
   Considerato ancora che espressamente  il  legislatore  ha  limitato
 l'applicabilita'  della  norma  in  questione  alle  ipotesi  in  cui
 l'interrogatorio si svolga fuori di udienza. Cosicche', l'arresto  (o
 il fermato), pur rientrando nel novero dei soggetti posti in stato di
 detenzione  ("a qualsiasi titolo"), e pur dovendo essere sottoposto a
 un'audizione  che  in  nulla  differisce  dall'interrogatorio   della
 persona  in  stato  di  custodia  cautelare (art. 391, comma terzo in
 relazione all'art.  294 c.p.p.), non rientra tra i destinatari  della
 previsione  garantistica  di cui alla disposizione citata (posto che,
 appunto, il suo interrogatorio si svolge formalmente in un'udienza in
 camera di consiglio). Donde la conseguenza che andrebbe verbalizzato,
 l'interrogatorio degli attuale indagati, secondo la diversa regola di
 cui all'art. 127 c.p.p.;
   Tanto  premesso,  reputa  che  la  suddetta  disciplina  -  nel suo
 complesso  -  sia   generatrice   di   una   situazione   di   dubbia
 costituzionalita',  siccome determinante una irragionevole disparita'
 di trattamento  tra  posizioni  omogenee  nella  sostanza,  e  dunque
 rilevante ex art.  3 Cost.
   Giova sottolineare che, per quel che si comprende dalla lettura dei
 lavori  parlamentari,  l'introduzione  dell'art. 141-bis trova ragion
 d'essere  nell'esigenza  di  documentare   rigorosamente   gli   atti
 coinvolgenti  il detenuto, destinati ad assumere efficacia probatoria
 nel processo di merito (indicativa in tal senso  e'  la  sanzione  di
 inutilizzabilita'    dell'atto    per    il   caso   d'inosservanza),
 indipendentemente dalle scelte del giudice e dalle sue  capacita'  di
 vigilanza sulla genuina riproduzione delle dichiarazioni.
   Benche'  in  un  contesto  lessicale  nebuloso,  si  impone ad ogni
 intelligenza la correlazione posta  dalla  norma  tra  la  condizione
 personale  dell'interrogato  (detenuto  "a  qualsiasi  titolo")  e la
 natura   giuridica   dell'acquisizione    da    documentare    ("ogni
 interrogatorio").
   Sembra  chiara  altresi'  la  ratio.  In  un  sistema  in  cui  gli
 interrogatori  della  persona   in   stato   di   detenzione,   lungi
 dall'esaurire   la   propria  funzione  del  settore  delle  indagini
 preliminari, sono tali da proiettare i propri  effetti  nell'area  di
 elaborazione  della  prova,  tanto  da  resistere,  se  mediate dalle
 contestazioni dibattimentali, fino  alle  valutazioni  conclusive  in
 sede  di  giudizio; in un sistema siffatto, cioe', in cui la "memoria
 storica" delle prime  dichiarazioni  rimane  pressoche'  intatta,  il
 legislatore ha ritenuto di optare per una disciplina che, quanto agli
 interrogatori  della  persona  in stato detentivo, sottrae al giudice
 ogni valutazione discrezionale circa  l'eventualita'  di  documentare
 l'atto  in  forma  solo  riassuntiva (art.   134, comma secondo e 140
 c.p.p.).
   Con la conseguenza che, quello che per l'innanzi  era  in  facolta'
 del  giudice  (verbalizzare  integralmente l'atto, a' sensi dell'art.
 134, comma primo e  secondo,  c.p.p.),  diviene  oggi  dovuto  ("ogni
 interrogatorio  essre  documentato  ...")  in virtu' della condizione
 personale  del  dichiarante   ("detenuto",   a   qualsiasi   titolo),
 giustificatrice   della  volonta'  di  porre  fine  alle  inevitabili
 ambiguita' discendenti dalla previgente  disciplina.  Questa  infatti
 autorizzava  il giudice ad operare mediante redazione contestuale del
 verbale in forma solo riassuntiva, nei casi di  "limitata  rilevanza"
 (laconica espressione, che nulla in concreto significa) o in presenza
 di  contingente  indisponibilita'  di strumenti di riproduzione (art.
 140 c.p.p.).
   Rispetto ad un simile quadro, la situazione dell'arrestato  (o  del
 fermato),   seppure   identica   quanto   a  condizione  personale  e
 processuale (oltre allo stato detentivo, anche qui viene  in  rilievo
 la   polivalenza   funzionale   della   dichiarazione),   patisce  un
 trattamento  sicuramente  deteriore  discendente   dall'irragionevole
 (perdurante) assoggettamento alla pregressa disciplina.
   Invero,    l'interrogatorio   dell'arrestato   (o   del   fermato),
 svolgendosi  in  udienza,  rimane  potenzialmente  assoggettabile   a
 verbalizzazione   riassuntiva   senza  che  la  stessa  debba  essere
 necessariamente  accompagnata  dalla  riproduzione  fonografica.  Per
 effetto delle statuizioni di cui alla sentenza 3 dicembre 1990 n. 529
 della  Corte  costituzionale,  la  verbalizzazione in forma meramente
 riassuntiva,  nel  procedimento  camerale,  deve  anzi  avvenire  "di
 regola" da sola, valendo nell'udienza la disciplina dettata dall'art.
 127, comma dieci, c.p.p.
   Il   giudice,   quindi,  puo'  far  si'  che  alla  verbalizzazione
 riassuntiva si accompagni la  riproduzione  fonografica  (non  invece
 quella  audiovisiva),  ma  "di  regola" e' normativamente orientato a
 decidere che  cio'  non  avverra'.  Con  la  conseguenza,  del  tutto
 incongrua, che l'arrestato o il fermato si trova a scontare tutt'oggi
 quella  valutazione  legale di semplicita' dell'atto che e' implicita
 nel testo vigente degli artt. 125 e 391  c.p.p.,  diversamente  dalla
 persona  in  stato  di  custodia  cautelare  e  da qualsivoglia altro
 soggetto detenuto; e benche' la sua posizione di soggetto in stato di
 detenzione precautelare, assoggettato al suddetto regime senza ancora
 l'intervento giurisdizionale, sia  tale  da  giustificare  semmai  un
 aumento  (non  certo  una diminuzione) delle garanzie di verita' e di
 non ambiguita'.
   Tutto cio' - ad avviso del giudice  -  travalica  i  confini  della
 logica  piu'  elementare  e viola il principio di ragionevolezza. Ne'
 infatti  la  differenziazione  del   trattamento   giuridico   sembra
 giustificabile   per   il   fatto   di   svolgersi   l'interrogatorio
 dell'arrestato appunto in udienza. La scansione procedimentale di cui
 agli artt. 391 e 127 c.p.p. in nulla diversifica, nella sostanza,  lo
 stato  di  fatto  in cui si trova l'arrestato, e non toglie validita'
 alla considerazione di doversi ritenere inaccettabile  la  potenziale
 sottoposizione del soggetto in stato precautelare ad una modalita' di
 verbalizzazione  delle  sue difese che il legislatore - in situazioni
 omogenee - ha reputato tanto inaffidabile.
   Sia l'art. 127, comma dieci, c.p.p., allora,  nella  parte  in  cui
 comunque  consente,  "di regola", per l'arrestato, la verbalizzazione
 solo riassuntiva  dell'interrogatorio,  che  l'art.  141-bis  c.p.p.,
 relativamente all'inciso "e che non si svolga in udienza", nella pare
 in  cui  non  contempla l'interrogatorio dell'arrestato o del fermato
 tra le ipotesi obbligatorie di  verbalizzazione  integrale,  lasciano
 fondatamente  il  dubbio  di una lesione del principio cardine di cui
 all'art. 3 Cost.
   Quanto riferito in premessa rende la presente  questione  rilevante
 nel  caso  di  specie,  con la cosenguente necessita' dell'intervento
 della Corte costituzionale.