LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza sul ricorso proposto da La
 Sala Rocco, nato a Vaglio Basilicata il 30 ottobre 1956;  avverso  la
 sentenza in data 3-28 giugno 1994 della Corte di appello di Torino;
   Visti gli atti, la sentenza denunziata ed il ricorso;
   Udita  in pubblica udienza la relazione fatta dal consigliere dott.
 Bruno Oliva;
   Udito il pubblico ministero in persona  del  sostituto  procuratore
 generale dott. Vincenzo Verderosa, che ha concluso per l'annullamento
 con  rinvio  della  sentenza impugnata a seguito della sentenza della
 Corte costituzionale n. 34 del 25 luglio 1994.
                    Osserva in fatto ed in diritto
   Rocco La Sala ricorre  per  cassazione  avverso  la  sentenza  3-28
 giugno  1994 con la quale la Corte di appello di Torino ha confermato
 la statuizione in data 15 gennaio 1993 del pretore di Asti recante la
 sua condanna alla pena di mesi 6 e giorni 15 di reclusione, in quanto
 responsabile dei reati di cui agli art. 81  e  344  c.p.,  per  avere
 offeso   l'onore  e  il  prestigio  di  quattro  dipendenti  comunali
 nell'esercizio delle loro funzioni, e di cui all'art.  635  c.p.  per
 avere  nelle  stesse  circostanze  di tempo e di luogo danneggiato la
 porta di ingresso di un ufficio del comune di Asti.
   A sostegno del ricorso La Sala deduce la violazione dell'art.  606,
 comma  1,  lett. b), del codice di procedura penale in relazione agli
 artt. 344, 635, 62/bis e 133 c.p.  e  quindi  l'erronea  applicazione
 della legge penale in ordine ai criteri di determinazione della pena,
 che  i  giudici di merito avrebbero dovuto in ogni caso contenere con
 una diversa valutazione degli anzidetti parametri.
   Va  permesso  che  i  giudici  di  merito,  negate  le   attenuanti
 generiche, sono pervenuti alla concreta determinazione della sanzione
 irrogando  la pena di 5 mesi di reclusione per il piu' grave reato di
 oltraggio a pubblico impiegato (4 mesi, aumentati a 5 per la recidiva
 contestata) e, quindi, apportando gli ulteriori aumenti di 15  giorni
 per  il  delitto  di oltraggio per effetto della continuazione e di 1
 mese per il reato di danneggiamento, per un totale di  6  mesi  e  15
 giorni di reclusione.
   Osserva  il Collegio che, per quanto riguarda il reato di oltraggio
 a  pubblico  impiegato,  l'art.  344  c.p.  opera  un   rinvio   alle
 disposizioni  dell'art. 341 dello stesso codice (oltraggio a pubblico
 ufficiale), e nel contempo dispone che "le pene sono  ridotte  di  un
 terzo".
   Secondo  l'ormai  consolidata interpretazione giurisprudenziale, da
 cui anche questo Collegio non ha motivo di discostarsi, l'art.    344
 c.p.  prevede  una fattispecie di reato autonoma rispetto a quella di
 cui all'art. 341 c.p., e non gia' una semplice circostanza attenuante
 di quest'ultima; cio', sia per  la  diversa  collocazione  delle  due
 norme  nel  sistema  codicistico,  sia  perche'  e' diverso uno degli
 elementi  essenziali  dei  reati,  ovverosia  il   soggetto   passivo
 (pubblico ufficiale o pubblico impiegato).
   Conferma  tale  convincimento  il  fatto  che  il legislatore abbia
 disciplinato il trattamento sanzionatorio di uno dei due reati con un
 rinvio ricettizio alle disposizioni regolatrici dell'altro e  con  la
 fissazione di un criterio legale, e non rimesso all'apprezzamento del
 giudice,  della  riduzione  di  un  terzo  delle relative pene, cosi'
 individuando il disvalore oggettivo di fatti-reato  tipici,  il  loro
 diverso   grado  di  offensivita'  e  prefigurando  in  via  generale
 l'entita' della sanzione, in attuazione del  principio  di  legalita'
 della    pena   sancito   legislativamente   dall'art.   1   c.p.   e
 costituzionalmente garantito dagli artt.  13  e  25,  secondo  comma,
 della Costituzione.
   Con  sentenza  n.  341 del 19 luglio 1994, successiva alle pronunce
 dei  giudici  di  merito,  e'   stata   dichiarata   l'illegittimita'
 costituzionale  dell'art.  341  c.p. "nella parte in cui prevede come
 minimo edittale la reclusione per sei mesi"; nella motivazione si  e'
 precisato  che,  una volta venuto meno detto limite per effetto della
 pronuncia, e' comunque possibile rinvenire la misura del  trattamento
 sanzionatorio minimo per quel reato nello stesso sistema codicistico,
 in  virtu'  della  generale previsione dell'art. 23, primo comma c.p.
 che indica in 15 giorni il limite minimo della pena della reclusione.
   La statuizione della Corte costituzionale  concerne  esclusivamente
 l'art.  341  cit. e non puo' quindi estendere i suoi effetti ad altre
 fattispecie delittuose.
   Dovendosi ribadire che, nella specie, opera il  cennato  rinvio  di
 carattere  materiale  o  ricettizio, per il quale, com'e' noto, si ha
 una  novazione  della  fonte,  tale  che  il  contenuto  della  norma
 richiamata  (art.  341  c.p.) viene ad essere incorporato nella norma
 richiamante (art. 344 c.p.), con una tecnica  redazionale  usata  dal
 legislatore  al  fine  di  evitare  di riprodurre pedissequamente una
 norma gia' contenuta nell'ordinamento, per  effetto  della  pronuncia
 della    Corte    costituzionale   si   e'   venuta   a   determinare
 un'ingiustificata disparita' di trattamento  tra  i  due  reati,  nel
 senso  che  all'ipotesi  delittuosa  meno grave (oltraggio a pubblico
 impiegato), il cui  regime  sanzionatorio  non  e'  modificato  dalla
 decisione  del  giudice  delle  leggi, viene riservato un trattamento
 piu' grave nel minimo (6  mesi,  meno  un  terzo,  pari  a  4  mesi),
 rispetto  a  quello  previsto  per il delitto di oltraggio a pubblico
 ufficiale, come inciso dalla pronuncia della Corte costituzionale (15
 giorni), ritenuto piu' grave dal legislatore.
   Si  impone,  quindi,  con  carattere  di  priorita'  la verifica di
 legittimita' costituzionale dell'art. 344 c.p., nei limiti ovviamente
 della delibazione sommaria, cui  e'  tenuto  questo  Collegio,  quale
 giudice   a   quo,  ai  fini  della  proposizione  dell'incidente  di
 costituzionalita' ai sensi degli art. 134 Cost. e 23 della  legge  11
 marzo 1953 n. 87.
   Ad avviso di questa Corte, tale disciplina non si sottrae al dubbio
 di  costituzionalita'  in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma,
 della   Costituzione, non soltanto  per  le  ragioni  -  che  ben  si
 attagliano al caso per cui si procede - poste dal giudice delle leggi
 a fondamento della citata sentenza n. 341 del 1994, ma anche perche',
 a  seguito  della pronuncia, e' palese la sproporzione del sacrificio
 della  liberta'  personale  nell'ipotesi  del  delitto,   di   minore
 gravita',  di  oltraggio  a  pubblico  impiegato,  tale da vanificare
 altresi' il fine rieducativo della pena.
   Ne' e' possibile ovviare  a  tale  sproporzione  ritenendo  che  la
 sentenza  n.  341  del  1994  abbia  indirettamente prodotto anche un
 mutamento  nel  limite  minimo  del  quadro  sanzionatorio   previsto
 dall'art. 344 c.p.
   Innanzitutto  non e' consentita una interpretazione estensiva della
 citata pronuncia a fattispecie di reati diversi da  quelli  presi  in
 considerazione  dal  giudice delle leggi. Ma, ove si volesse ritenere
 ammissibile  tale  interpretazione,  si  perverrebbe  comunque   alla
 conclusione  di  un'ingiustificata  equiparazione,  quoad poenam, nel
 limite minimo di reati di diversa gravita'. Cio' in  quanto,  essendo
 per costante giurisprudenza irriducibile la misura di quindici giorni
 di reclusione di cui al citato art. 23 c.p. sia ai fini della pena da
 infliggere  che  a  quelli dei calcoli intermedi o di riferimento, il
 trattamento sanzionatorio minimo per il reato di oltraggio a pubblico
 impiegato - parametrato, come si e' detto, a quello  fissato  per  il
 reato  di  oltraggio a pubblico ufficiale - a seguito della pronuncia
 della Corte costituzionale non puo' piu' essere ridotto di  un  terzo
 secondo  la  previsione  del  legislatore,  pur permanendo la diversa
 gravita' dei reati.
   Le esposte considerazioni,  nella  misura  in  cui  autorizzano  il
 sospetto  di  violazione  degli  indicati  parametri  costituzionali,
 assolvono con cio' all'obbligo di  motivazione  sulla  non  manifesta
 infondatezza della questione che si intende sollevare.
   E',  altresi', innegabile la rilevanza della questione in relazione
 al presente giudizio, poiche',  ove in tesi fondata, la  censura  del
 ricorrente   avrebbe   portata   ed  effetti  innegabilmente  diversi
 nell'ipotesi  di  applicazione  della  norma  nel  testo   denunciato
 rispetto   a  quella  conseguente  all'eventuale  accoglimento  della
 questione di costituzionalita'.
   Sono  conseguenti   i   provvedimenti   ordinatori   attinenti   la
 sospensione  del  presente  giudizio, la trasmissione degli atti alla
 Corte  costituzionale,  la  notifica  della  presente  ordinanza   al
 Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  e  la sua comunicazione ai
 Presidente delle due Camere del Parlamento.