LA COMMISSIONE TRIBUTARIA DI PRIMO GRADO Ha emesso la seguente decisione sul ricorso n. 2145/1985 presentato il 22 marzo 1985 (avverso: S/rif sui rimb. IRPEG - ILOR - ASSILOR 1982) dalla Cassa di risparmio di Trieste residente a Trieste in via Cassa di Risparmio 10 contro la D.R.E. Friuli - Venezia Giulia (Trieste). Alla pubblica udienza del 21 marzo 1995 ha pronunciato e pubblicato, mediante lettera del dispositivo, la seguente ordinanza. Considerato in fatto Con i due ricorsi nn. 3144/85 e 2145/85 la Cassa di risparmio di Trieste, a nome del suo presidente avv. Aldo Terpin, ai sensi dell'art. 17, settimo comma, del d.P.R. n. 636/1972, impugnava il silenzio - rifiuto dell'Amministrazione finanziaria, protrattosi oltre il termine di novanta giorni, in ordine alle istanze di rimborso dell'imposta sul reddito delle persone giuridiche per l'anno 1983 (pari a L. 681.518.000) e, rispettivamente, dell'impresa locale sul reddito relativo allo stesso anno d'imposta (L. 406.664.000) e Addizionale ILOR (L. 32.531.000). Con entrambi i ricorsi che vengono riuniti per essere trattati in un unico procedimento, in quanto evidentemente connessi, il predetto Istituto di credito, espone che nella dichiarazione dei redditi presentata per l'esercizio 1982 aveva erroneamente compreso fra i componenti positivi, ai fini dell'IRPEG e dell'ILOR, l'importo di L. 3.330.980.900, corrispondente all'ammontare degli interessi sui crediti d'imposta relativi ad anni precedenti, contemplati dall'art. 44 del d.P.R. n. 602/1973 e riconosciuti all'Istituto medesimo nello stesso esercizio, con cio' determinandosi in sede di autoliquidazione un'imposta superiore a quella effettivamente dovuta. Ed infatti, secondo la tesi del ricorrente, tali interessi, avendo natura compensativa - pur se compresi fra i ricavi del conto economico nel modello della dichiarazione dei redditi - avrebbero dovuto essere portati fra le "variazioni in diminuzione" dell'utile di bilancio. La Direzione regionale delle entrate per la regione Friuli - Venezia Giulia, Sezione Staccata di Trieste, con le proprie deduzioni del 17 marzo 1995, chiede il rigetto dei ricorsi, sulla base del parere negativo espresso dall'Ufficio Distrettuale delle Imposte Dirette di Trieste e trascritto di seguito: "La Cassa di risparmio di Trieste afferma di avere erroneamente compreso fra i componenti positivi l'ammontare degli interessi sui credditi di imposta relativi ad anni precedenti, contemplati dall'art. 44 del d.P.R. n. 602/1973 e riconosciuti all'Istituto istante nell'esercizio medesimo e chiede il rimborso dell'IRPEG e dell'ILOR pagate su dette somme. L'Ente istante ha operato correttamente facendo concorrere alla formazione del reddito gli interessi suddetti. Infatti, con la circolare ministeriale della Direzione Generale delle Imposte Dirette n. 56 del 20 dicembre 1983 e' stato esplicitamente stabilito che gli interessi sui crediti di imposta concorrono alla formazione dell'utile o della perdita di bilancio civilisticamente determinati e quindi vanno assunti quali componenti positivi di reddito, ai sensi del primo comma dell'art. 52 del d.P.R. 597/1973, nel rispetto del principio fondamentale della competenza sancito dall'art. 74 dello stesso decreto. Detto principio viene confermato dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 7091 del 19 febbraio 1990 e nel richiamare l'art. 56, terzo comma, del d.P.R. 917/1986, che include nel reddito d'impresa ogni tipo di interessi, pur riconoscendo agli interessi maturati sui crediti di imposta la natura compensativa se percepiti da soggetti tassati in base a bilancio, li fa concorrere alla formazione del reddito complessivo. Afferma ancora la Cassazione: questa nuova disciplina e' applicabile retroattivamente per il disposto dell'art. 36 del d.P.R. 4 febbraio 1988, n. 42, secondo cui le disposizioni del d.P.R. 917/1986, per le quali (come per l'art. 56, terzo comma), non e' dettata una specifica disciplina transitoria, si applicano anche per i periodi d'imposta precedenti alla loro entrata in vigore se le relative dichiarazioni risultano ad esse conformi. Visto che nella dichiarazione dei redditi mod. 760, anno 1982, l'ente distante ha operato includendo gli interessi di cui all'art. 44 del d.P.R. n. 602/1973 tra i componenti positivi, si rende applicabile la nuova norma con effetto retroattivo, la richiesta di rimborso, va respinta". Nel corso dell'udienza la rappresentante dell'Amministrazione finanziaria, signora Dorina Sossa, ribadisce gli argomenti addotti dall'Ufficio contro la pretesa del ricorrente, non comparso, e chiede il rigetto di entrambi i ricorsi. Ritenuto in diritto Ai sensi dell'art. 41 del d.P.R. 597/1973, costituiscono redditi di capitale, oltre agli altri interessi ivi indicati alle lettere b) e d), anche gli interessi moratori nonche' gli altri interessi non aventi natura compensativa ed ogni altra rendita o provento in misura definitiva derivante dall'impiego di capitale (lett. e ed i). A giudizio di questo Collegio, gli interessi maturati sui crediti di imposta hanno natura compensativa e quindi debbono essere esclusi dai redditi di capitale elencati nel citato art. 41. Infatti, tali interessi non sono dovuti a titolo moratorio (non essendovi mora dell'Amministrazione) ne' derivano dall'impiego di capitale, ma servono a compensare i contribuenti dell'esborso pecuniario che essi hanno effettuato in precedenza, versando all'Erario una somma di denaro che dev'essere loro restituita. L'interesse su tale somma serve a reintegrare la diminuzione patrimonale subita dal contribuente, che viene cosi' compensato del mancato godimento, del denaro in precedenza versato. Va ancora rilevato che gli interessi considerati come redditi dall'art. 41, lett. i, citato sono quelli derivanti dall'impiego di capitale come chiaramente disposto nell'ultima parte di tale disposizione, mentre il credito di imposta - da qualunque fatto esso derivi - non si ricollega ad un impiego di capitale. Ai sensi del successivo art. 44, non costituiscono reddito di capitale, in quanto componenti del reddito d'impresa, gli interessi e gli alri proventi di cui all'art. 41, non soggetti alla ritenuta alla fonte a titolo d'imposta, conseguiti nell'esercizio di imprese commerciali nel territorio dello Stato, ecc. Da cio' si desume che la disciplina dell'art. 41 e' applicabile anche nelle determinazione del reddito d'impresa, di cui entrano a fare parte di tutti (e solo) gli interessi costituenti reddito di capitale. Pertanto, anche in tema di reddito di impresa vale la conclusione formulata in merito all'interpretazione dell'art. 41 (nel senso che questa norma non comprende tra i redditi di capitale gli interessi sui crediti di imposta). Ne' varrebbe addurre in contrario il principio generale posto dal primo comma dell'art. 52 del predetto decreto legislativo, secondo il quale il reddito d'impresa comprende tutti gli elementi del conto profitti e perdite, redatto secondo le norme civilistiche e quindi tra i profitti gli interessi di ogni credito (art. 2425-bis del Codice civile). Infatti, deve ritenersi che, sul principio generale posto dal citato art. 52, prevalga la specifica disposizione dell'art. 44, che opera una distinzione tra gli interessi, includendone alcuni ed escludendone altri nella determinazione proprio del reddito di impresa. Invece, ai sensi del terzo comma dell'art. 56 del testo unico delle Imposte sui redditi, approvato con il d.P.R. n. 917/1986 ogni tipo di interesse, qualora venga conseguito da soggetti che producono reddito d'impresa, e' soggetto a tassazione. Secondo la sentenza n. 7091 del 5 luglio 1990, invocata dall'Amministrazione finanziaria, questa nuova disciplina e' applicabile retroattivamente per il disposto dell'art. 36 del d.P.R. 4 febbraio 1988, n. 42, secondo cui le disposizioni del testo unico n. 917/1986, per le quali (come per l'art. 56, terzo comma) non e' dettata una specifica disciplina transitoria, si applicano anche per i periodi d'imposta precedenti alla loro entrata in vigore, se le relative dichiarazioni risultano ad esse conformi e tale retroattivita' deve ritenersi operante anche in malam partem, cioe' anche in danno del contribuente. Ora, a giudizio di questa Commissione, la norma del citato art. 36, in quanto non prevede l'applicazione retroattiva delle sole disposizioni piu' favorevoli al contribuente, e' costituzionalmente illegittima, per violazione del principio di uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, sancito dall'art. 3 della Costituzione. La relativa questione di legittimita' costituzionale, che viene sollevata d'ufficio, appare rilevante e non manifestamente infondata: A) appare rilevante perche' la sua risoluzione influisce direttamente sulla decisione della controversia. Infatti, se si ritiene che la norma stabilita dal predetto art. 36 sia costituzionalmente legittima, anche se non limita la possibilita' della sua applicazione retroattiva alle sole disposizioni del testo unico delle Imposte sui redditi piu' favorevoli al contribuente, le istanze di rimborso debbono considerarsi infondate e quindi i ricorsi riuniti debbono essere rigettati. Se, invece, si ritiente - come ritiene questo Collegio, che la norma in questione, in quanto estende l'efficacia retroattiva anche alle disposizioni del predetto testo unico meno favorevoli al contribuente, non sia costituzionalmente legittima, le istanze di rimborso debbono considerarsi fondate e quindi i ricorsi debbono essere accolti; B) appare non manifestamente infondata perche' tale norma, nella misura in cui ha effetto retroattivo anche a danno del contribuente, viola il principio di uguaglianza previsto dal citato art. 3 della Costituzione. Infatti, nel caso concreto sottoposto al giudizio di questa Commissione, per effetto dell'applicazione retroattiva in malam partem delle disposizioni del testo unico 917/1986, disposta dall'art. 36 del d.P.R. 42/1988, gli interessi compensativi (quali quelli derivanti da crediti d'imposta) costituirebbero manifestazione di capacita' contributiva perche' (anche se per errore) esposti nella dichiarazione dei redditi del 1982; essi, invece, non costituirebbero manifestazione di capacita' contributiva per chi non li avesse esposti nelle predette dichiarazioni: la disparita' di trattamento rispetto a situazioni sostanzialmente eguali appare evidente. Ne', a questo proposito, va trascurato l'osservazione che la possibilita' per il contribuente di ottenere i rimborsi non sarebbe ancorata a criteri obiettivi, ma dipenderebbe dalla maggiore o minore sollecitudine con la quale l'Amministrazione si pronunciasse, sulle istanze di rimborso, rimanendo, cosi', anche sotto questo aspetto, violato il principio di uguaglianza. Questo Collegio non ignora che gia' la Corte costituzionale, con sentenza del 7 febbraio 1994, ha dichiarato non fondata la questione di legittimita' dell'art. 36 del d.P.R. n. 42/1988, sollevata in relazione agli articoli 3, 53, 76 e 77 della Costituzione, nella parte in cui la norma impugnata stabilisce la retroattiva applicazione delle disposizioni del testo unico ai periodi di imposta antecedenti alla sua entrata in vigore, a condizione che le relative dichiarazioni, validamente presentate, risultino ad essa conformi. Cio' in quanto, come si legge nel dispositivo della sentenza richiamata, la retroattivita' prevista dal citato art. 36 si giustifica in ragione dell'esigenza di coordinamento e razionale sistemazione delle innumerevoli disposizioni tributarie nel tempo succedutesi per dare attuazione alla delega per la riforma tributaria conferita al Governo con la legge n. 825/1971. Secondo la Corte, tale limitata retroattivita' non comporta la violazione de principio di capacita' cotributiva: essa, infatti, e' volta a conferire certezza a quelle situazioni pregresse nelle quali siano rinvenibili comportamenti che, nell'interpretazione di norme anteriori, si siano conformati alle soluzioni legislative adottate in seguito. Senonche', a giudizio di questa Commissione, la Corte nella riportata sentenza non ha approfondito la questione della legittimita' della norma impugnata in relazione al principio della parita' di trattamento, anzi sembra avere sorvolato su questo punto, limitandosi a richiamare l'esigenza di "conferire certezza ai comportamenti che avevano trovato formalizzazione nelle dichiarazioni dei redditi presentate dal contribuente sulla base di un'interpretazione delle norme all'epoca vigenti che lo stesso contribuente aveva reputato attendibile". Tali argomenti (teologico e fattuale), in verita' non appaiono convincenti. Ad avviso di questo Collegio, infatti, se e' vero che l'uguaglianza sostanziale si realizza assicurando a fattispecie identiche lo stesso trattamento giuridico - economico, non e' men vero che questa identita' dev'essere valutata sulla base della normativa vigente all'epoca in cui tali fattispecie si sono verificate e non in applicazione di disposizioni di legge entrate in vigore successivamente.