IL PRETORE
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza nel proc. pen. n. 4626/95,
 imputato: Leone Marco Luciano.
   All'attuale   imputato   e'  stata  contestata  la  contravvenzione
 all'art.   707 c.p.,  perche',  essendo  stato  gia'  condannato  per
 delitti  determinati  da fini di lucro, veniva colto in possesso, non
 giustificato, di attrezzi atti a forzare serrature.
   Preso atto che del fatto materiale riportato in imputazione  vi  e'
 stata  conferma  in sede di istruttoria dibattimentale, in diritto e'
 ben  noto  quali  e  quanti  problemi  sia  interpretativi   sia   di
 costituzionalita'  abbia dato luogo la norma in questione, sottoposta
 a  fortissime  critiche  dottrinali  (che  hanno  trovato  larga  eco
 soprattutto nella giurisprudenza di merito) per la natura di reato di
 "sospetto";  per  il  correlativo preponderante e anomalo rilievo che
 assume lo status di pregiudicato; per l'inversione  dell'onere  della
 prova; per la sproporzione della pena.
   Proprio sotto quest'ultimo profilo conformemente all'eccezione oggi
 fatta  dalla  difesa,  pare  al  giudicante  che  il  minimo edittale
 dell'art. 707  determini  conseguenze  paradossali  e  contraddizioni
 talmente  stridenti  da  determinare  nella  persistente  inerzia del
 legislatore dubbi di compatibilita' con la Costituzione non eludibili
 con interpretazioni  "adeguatrici",  dal  momento  che  se  anche  il
 giudice ha una discrezionalita' - fortemente esaltata con riferimento
 al  reato  de  quo  sin  dal 1975 della Corte costituzionale - che si
 estende "previamente al giudizio sull'esistenza stessa del  reato"  e
 cosi'  "essendo  a lui attribuito il piu' largo potere in ordine alle
 cause generali di giustificazione (i cosiddetti elementi negativi del
 reato) ... non puo' negarsi che rientri nel sistema la sussunzione ad
 elemento  oppure  a  condizione  della  mancata  giustificazione  del
 possesso  di  determinati  oggetti"  (cosi'  si esprimeva la sent. n.
 236/75 della Corte costituzionale), nessuna discrezionalita' possiede
 invero, il giudice di fronte al limite  edittale  della  pena  (fatta
 salva la sola applicazione delle attenuanti generiche, che non sposta
 comunque  i  termini  della  questione),  che  nel  minimo l'art. 707
 stabilisce in mesi sei di arresto.
   Trattasi di una "soglia" particolarmente alta,  se  rapportata  sia
 alla previsione generale dell'art.  25 c.p. ("La pena dell'arresto si
 estende   da  cinque  giorni..."),  sia  alle  altre  contravvenzioni
 concernenti la prevenzione di delitti contro il patrimonio (cfr.   ad
 es.  il minimo edittale di tre mesi dell'art. 708 c.p., che ha comune
 presupposto soggettivo), sia  ancora  al  piu'  generale  trattamento
 sanzionatorio  dei  delitti  contro  il  patrimonio,  dove  il  furto
 semplice e' punito con mimimo di giorni quindici di pena detentiva  e
 la stessa pena, per effetto di intervento del  legislatore ormai piu'
 che  ultraventennale  (legge  n.  220 del 1974) e' possibile irrogare
 attraverso  l'equivalenza  tra  attenuanti  generiche  e   aggravanti
 dell'art. 625 anche quando ricorrano tali aggravanti.
   Se il sistema poteva avere una sua coerenza (opinabile dal punto di
 vista  delle  scelte  di  politica  criminale,  di  pura  e  drastica
 repressione) prima della riforma del 1974, non altrettanto puo' dirsi
 per la situazione vigente, in cui un semplice atto  preparatorio,  in
 se'  non  punibile, viene sottoposto a sanzione detentiva decisamente
 pesante,  spesso  molto  maggiore  di  quella  che  in  concreto   e'
 normalmente  irrogata  nel caso di inizio di esecuzione del furto: si
 pensi, ad es. (per fare un caso di cui si e' occupata la Corte  sotto
 il  profilo processuale della legittimita' dell'arresto in flagranza)
 alla sottrazione di capo di abbigliamento  in  grande  magazzino  con
 l'aggravante  della violenza sulle cose consistita nella asportazione
 della  "piastra"  magnetica  antifurto mediante piccole pinze o altri
 strumenti  analoghi,  il  cui  possesso,  ricorrendo  le   condizioni
 soggettive  ivi previste, e non essendovi un principio di esecuzione,
 comporta l'assoggettamento alla pena dell'art. 707.
   Essendo arresto  e  detenzione  species  di  un  unico  genus  pena
 (detentiva)   con  effetti  sostanzialmente  identici,  senza  volere
 inutilmente dilungarsi in problematiche ben note, pare al  giudicante
 che punire con pena cosi' eccessiva come quella dell'art. 707 c.p. il
 possesso  anche  di un unico attrezzo (ad es., un cacciavite, un paio
 di forbici, una  chiave  inglese,  ecc.  ),  in  se'  non  indice  di
 particolare  pericolosita'  del  soggetto, e non tale da agevolare in
 modo rilevante il compimento di atti delittuosi contro il patrimonio,
 comporti una situazione di disagio in chi e' demandato  ad  applicare
 la norma del tutto affine a quella di cui si e' recentemente occupata
 la  Corte costituzionale in materia di oltraggio a pubblico ufficiale
 (sent. n. 341/94), decisione cui questo giudice si richiama anche  ai
 fini  del  rinvenimento  nel  sistema  del  trattamento sanzionatorio
 minimo (nella specie: art.  25 c.p.), senza interferenza nella  sfera
 di discrezionalita' legislativa.
   Anche  in  materia di art. 707 c.p., a buon diritto si puo' infatti
 parlare di vanificazione  del  fine  rieducativo  della  pena,  e  di
 sanzione   penale  manifestamente  eccessiva  rispetto  al  disvalore
 dell'illecito essendo stato dalla Corte costituzionale  affermato  in
 via  generale che la finalita' rieducativa della pena non e' limitata
 alla sola fase della esecuzione ma costituisce  "una  delle  qualita'
 essenziali  e  generali  che caratterizzano la pena nel suo contenuto
 ontologico e l'accompagnano da quando nasce, nell'astratta previsione
 normativa, fino a quando in concreto si estingue", e d'altro lato che
 "il principio  di  proporzionalita'  nel  campo  del  diritto  penale
 equivale  a  negare  legittimita'  alle  incriminazioni che, anche se
 presumibilmente  idonee   a   raggiungere   finalita'   statuali   di
 prevenzione,  producono,  attraverso la pena, danni all'individuo (ai
 suoi  diritti  fondamentali)  ed  alla  societa'  sproporzionatamente
 maggiori dei vantaggi ottenuti (o da ottenere) da quest'ultima con la
 tutela dei beni o valori offesi dalle predette incriminazioni".