IL GIUDICE ISTRUTTORE A scioglimento della riserva, ha pronunciato la seguente ordinanza nel giudizio di opposizione ad ingiunzione fiscale vertente tra Cantone Vincenzo ed il Ministero delle finanze. Il ricorrente ha chiesto ex art. 700 c.p.c., nel corso del giudizio, la sospensione dell'esecuzione dell'ingiunzione fiscale emessa nei suoi confronti dall'ufficio doganale di Napoli, in data 18 gennaio 1995, per l'importo di L. 15.347.529.487, oltre interessi ed altre indennita'. Sotto il profilo del fumus boni iuris, va rilevato che, con l'istituzione ex d.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43 del servizio di riscossione dei tributi e di altre entrate dello Stato e degli enti pubblici, e' stata prevista, in sostituzione del procedimento di ingiuzione (tranne che per alcune ipotesi marginali), la riscossione coattiva dei crediti mediante ruoli affidata ai concessionari, scegliendo quindi la formazione del ruolo - reso esecutivo dall'autorita' finanziaria - come strumento unico di riscossione comune a quasi tutti i tributi (artt. 67 e segg.). Per effetto del comma secondo dell'art. 130 del citato d.P.R., sono state abrogate dal 1 gennaio 1989 (termine poi differito al 1 gennaio 1990 dal d.ÿ-ÿl. 12 dicembre 1988 convertito in legge 10 febbraio 1989, n. 44) le disposizioni che regolano, mediante rinvio al r.d. 14 aprile 1910, n. 639, la riscossione coattiva dei diritti doganali per cui, come rilevato pure dai primi commentatori di detta legge, anche l'ingiunzione doganale e' stata sostituita dalla riscossione dei tributi tramite ruolo affidata al nuovo servizio della riscossione. Ne consegue che l'ingiunzione oggetto dell'opposizione, che riproduce lo schema del previgente sistema normativo con la espressa "comminatoria dell'esecuzione a termine degli artt. 5 e seguenti del r.d. n. 639/1910" ed il visto di esecutorieta' del pretore, e' stata emessa in violazione di legge ed in mancanza di un fondamento normativo che attribuiva all'organo amministrativo il potere di emettere una simile intimazione di pagamento (e cio' a prescindere dalla dubbia fondatezza della pretesa tributaria nella misura accertata dalla Guardia di finanza). Ne' rileva in contrario la tesi seguita dal Ministero delle finanze nella circolare n. 255/1991, secondo cui l'ingiunzione potrebbe valere solo come atto di accertamento e come titolo esecutivo ma non anche come "prescelto prodromico all'esecuzione di cui al t.u. del 1910 oggi sostituita dalla riscossione tramite ruoli". Pur seguendo tale opinione, si finirebbe per riconoscere, in sostanza, la carenza di potere dell'ingiunzione nella parte che contiene l'espressa comminatoria dell'esecuzione ex r.d. n. 639/1910; ed in ogni caso, una simile interpretazione, per il solo fatto di essere contenuta in una circolare ministeriale e condivisa dall'Avvocatura, non vale comunque ad escludere - con effetti formalmente vincolanti versi i terzi - la possibilita' giuridica di dar immediata attuazione all'intimazione ad adempiere secondo i termini e le modalita' dell'iter procedurale non piu' legittimo, preannunciato espressamente nel titolo esecutivo impugnato. Conforta la tesi qui sostenuta anche la seconda parte dell'art. 130 citato che ha imposto la formazione del ruolo ex art. 67 pure a quelle procedure che, alla data di entrata in funzione del servizio, avevano avuto inizio ai sensi del r.d. n. 639/1910, cosi' lasciando intendere che anche le ingiunzioni legittimamente emesse secondo la previgente disciplina, purche' non sia stata operata la riscossione coattiva, sarebbero da considerarsi affette da invalidita' sopravvennuta e devono in ogni caso proseguire secondo il diverso sistema di riscossione ora previsto. Sussiste nel caso concreto anche il periculum in mora, in quanto l'esecuzione dell'ingiunzione, stante la rilevante entita' del credito (oltre 15 miliardi), produrrebbe notevoli effetti pregiudizievoli per l'opponente il quale si troverebbe ad affrontare immediatamente dei sacrifici, non suscettibili di completa restitutio in integrum, che finirebbero quindi per incidere non solo sul piano strettamente patrimoniale. Avuto riguardo anche all'attivita' imprenditoriale dell'istante e alle dimensioni della stessa, non vi e' dubbio che gli effetti dell'esecuzione determinerebbero l'impossibilita' o quanto meno una notevole difficolta' del predetto di proseguire la sua attivita' secondo i livelli raggiunti; il mero rimborso della somma con gli interessi non sarebbe quindi sufficiente a coprire interamente il grave danno sofferto dalla parte, che, pertanto, non puo' non assumere carattere prevalente anche nel giudizio di comparazione rispetto al contrapposto interesse pubblico alla sollecita riscossione dei tributi. L'accoglimento dell'istanza cautelare e' pero' impedita da un divieto normativo di carattere generale della cui legittimita' costituzionale deve fondatamente dubitarsi. Infatti, il provvedimento d'urgenza richiesto determinerebbe la momentanea impossibilita' dell'Amministrazione di riscuotere l'imposta e finirebbe quindi per incidere direttamente sull'azione amministrativa di prelievo della finanza, paralizzandola o limitandone gli effetti, in contrasto con il divieto previsto dagli artt. 4 e 5 legge 20 marzo 1865, n. 2248, giacche' la sospensione in un atto amministrativo - quale e' indubbiamente l'ingiunzione fiscale che contiene l'accertamento del tributo dovuto - si risolve nella modificazione sia pure mediata e temporanea dell'efficacia dell'atto stesso. Secondo il consolidato insegnamento giurisdizionale, infatti, dal citato art. 4 deriva la preclusione di un qualunque intervento del g.o. sull'atto amministrativo che incida sull'esercizio di potesta' pubbliche, e quindi inevitabilmente anche l'impossibilita' che il g.o. ne sospenda l'efficacia, a meno che il relativo potere non gli sia conferito nei singoli casi espressamente previsti dalla legge (pt. Corte cost. 1 aprile 1982, n. 63; Cass. s.u. 4 ottobre 1974, n. 2593). Ed il dubbio di costituzionalita' riguarda proprio la conformita' ai principi sanciti negli artt. 24 e 113 Cost. di tale divieto normativo, inteso secondo la suindicata interpretazione giurisprudenziale da considerarsi alla stregua del diritto vivente, e sicuramente rilevante nel caso concreto, stante l'accertata sussistenza di tutti gli altri presupposti della misura cautelare richiesta. Al riguardo, va osservato in primo luogo che non appare pertinente al caso di specie il richiamo all'ordinanza della Corte costituzionale dell'11 marzo 1991, n. 112 la quale, ricollegandosi ad altre analoghe pronunce, ha dichiarato infondata la questione di costituzionalita' esaminata, sul presupposto che il potere di sospensione dall'esazione dei tributi e' attribuito esclusivamente ex art. 39 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 all'Intendente di finanza e che tale potere e' a sua volta soggetto al sindacato del giudice amministrativo (v. anche Cass. s.u. 29 novembre 1993, n. 11812; 5 maggio 1982, n. 903). Deve infatti evidenziarsi che, anche in virtu' di quanto poi disposto dall'art. 11 d.-l. n. 151/1991 convertito in legge n. 202/1991, la sospensione attribuita in via amministrativa all'Intendente di finanza e' prevista solo con riferimento ai ruoli nell'ambito della riscossione delle imposte per le quali deve proporsi ricorso davanti alle commissioni tributarie e quindi, stante il preciso dettato normativo, non puo' ritenersi direttamente applicabile anche all'ingiunzione fiscale in tema di imposte doganali (cfr. Corte cost. n. 63ÿ/ÿ1982; Cass. n. 2594/1974). Inoltre, pur a voler considerare ricompreso il potere di sospensione dell'ingiunzione doganale in quello generale di autotutela dell'autorita' amministrativa e pur ammettendo l'esistenza di un dovere di pronuncia della p.a. sull'istanza del debitore, dovrebbe comunque rilevarsi che tale potere di sospensione sarebbe privo del carattere dell'esclusivita', in mancanza di una indispensabile previsione espressa in tal senso, e sarebbe inoltre inadeguato per le esigenze di tutela del contribuente, avuto riguardo sia alla mancanza di imparzialita' dell'organo amministrativo (chiamato istituzionalmente a privilegiare l'interesse pubblico ed a valutare la mera opportunita' dell'imposizione), sia alla durata della sospensione stessa che e' limitata temporalmente alla decisione di primo grado ed e' discrezionalmente revocabile "ove sopravvenga fondato pericolo per la riscossione". Sotto altro profilo, poi, non puo' condividersi l'opinione secondo cui, avverso l'atto amminsitrativo di rigetto o nel caso di silenzio-rifiuto della p.a., vi sarebbe la possibilita' di un controllo giurisdizionale davanti al giudice amminsitrativo, tale da assicurare una piena ed effettiva tutela cautelare per il contribuente. Invero, se puo' certamente condividersi la giusta preoccupazione di evitare al ricorrente un danno imminente ed irreperabile, non puo' pero' sottacersi che il g.a., prima ancora di verificare la sussistenza del periculum, e' chiamato a valutare il fumus dell'istanza cautelare proposta e quindi dovrebbe pur sempre rilevare il proprio difetto di giurisdizione, trattandosi di posizione soggettive per le quali e' prevista la giurisdizione esclusiva del g.o. (o delle commissioni tributarie); stante l'indefettibile nesso di strumentalita' che esiste tra il processo cautelare e quello di merito, il TAR non potrebbe estendere la sua indagine - neppure incidentalmente in via d'urgenza - su controversie la cui cognizione di merito e' devoluta ad altra autorita' giurisdizionale, violando in caso contrario gli inderogabili criteri di riparto della giurisdizione (cfr. TAR Veneto 15 settembre 1987, n. 826; TAR Toscana ord. 19 marzo 1986, n. 283; Pret. Roma 18 febbraio 1986). In altri termini, la domanda cautelare davanti al g.a. non puo' essere diretta ad anticipare gli effetti di una decisione che spetta alla competenza giurisdizionale di altro giudice, al quale soltanto dovrebbe naturalmente attribuirsi anche l'esercizio della relativa tutela cautelare (cosi' come e' previsto dalla riforma sul contenzioso tributario). Del resto, numerose decisioni che ammettono in proposito il sindacato del giudice amminstrativo limitano tale controllo ai vizi di legittimita' propri dell'atto amministrativo (difetto di motivazione, inadempimento dell'obbligo di provvedere, mancata acquisizione delle deduzioni dell'ufficio delle imposte ecc.) e ritengono comunque preclusa al g.a. un'indagine sui presupposti sostanziali dell'accertamento tributario, che comporterebbe una inammissibile duplicazione ed interferenza con la giurisdizione ordinaria o tributaria relativamente all'oggetto della cognizione a questa riservata (TAR Lombardia 15 settembre 1992, n. 1020; TAR Toscana 25 marzo 1991, n. 104; CdS. 18 novembre 1989, n. 792; TAR Lombardia 25 settembre 1989, nn. 374 e 375; TAR Campania 30 giugno 1987, n. 399). Pertanto, anche seguende tale impostazione secondo cui, in sostanza, si porrebbe solo una questione di ammissibilita' del singolo motivo di impugnazione e non dell'intero ricorso, la conclusione non sarebbe diversa ai fini che qui interessano, perche' in nessun caso potrebbero dedursi davanti al giudice amministrativo questioni di merito attinenti all'essenza del rapporto tributario o alla responsabilita' patrimoniale per il carico di imposta e mancherebbe quindi la possibilita' di ottenere un riesame da parte dell'autorita' giurisdizionale, in via cautelare e diretta, proprio in ordine ai vizi degli accertamenti tributari relativi alla sussistenza e all'entita' del credito di imposta. E cio' senza considerare che, dato il limitato potere di intervento ex art. 21 legge n. 1034/1971, il ricorso al g.a. potrebbe al piu' determinare l'annullamento del provvedimento di rifiuto e l'ordine all'Amministrazione di emettere una nuova pronuncia, senza incidere pero' immediatamente sull'attivita' di riscossione, con il rischio concreto di tempi assi lunghi - specie nell'potesi frequente di silenzio della p.a. - che potrebbero vanificare, sotto il profilo pratico, la legittima aspettativa dell'istante di ottenere tempestivamente un provvedimento inibitorio che neutralizzi il pregiudizio temuto. Una volta accertata nella fattispecie la mancanza di un rimedio cautelare adeguato, per superare i dubbi di costituzionalita' che sorgono dal difetto del potere di sospensione del g.o., potrebbe solo opporsi che la potesta' cautelare non costituisce una componente essenziale della tutela giurisdizionale ex art. 24 e 113 Cost., nel senso che l'effettivita' della tutela giurisdizionale non significa necessariamente l'anticipazione delle conseguenze della pronuncia, data che la soddisfazione della pretesa fatta valere in giudizio sarebbe asssicurata mediante la restituzionale della somma riscossa e non dovuta. La tradizionale affermazione della mancata copertura costituzionale della tutela cautelare non appare pero' sempre condivisa dalla stessa giurprudenza costituzionale (v. in particolare le sentenze nn. 284/1974, 190/1985 e 318/1995) ed e' stata ampiamente confutata dall'elaborazione dottrinale intervenuta in proposito; non puo' infatti fondatamente dubitarsi che la tutela cautelare - nella misura in cui serve a neutralizzare l'irreparabilita' del pregiudizio per la parte che ha ragione - sia anch'essa espressione del principio generale secondo cui la durata del processo non deve andare a danno dell'attore, e quindi, poiche' consente che la funzione giurisdizionale risulti in concreto utile per l'interessato, costituisce certamente un valore costituzionalmente protetto. La giustezza di tale conclusione emerge, con tutta evidenza, nel caso concreto dove risulta clamorosamente smentita la presunta equivalenza tra la restituzione della somma riscossa illegittimamente e la soddisfazione della pretesa fatta valere in giudizio. La mera restituzione della notevole somma ingiunta, all'esito del processo, non servirebbe certamente a rendere piena giustizia all'istante ne' a ripristinare integralmente la situazione iniziale, perche' non potrebbe comunque annullare i diversi e gravi effetti pregiudizievoli che l'esecuzione coattiva dell'ingiuzione determinerebbe medio tempore anche sui bisogni primari dell'opponente, con una loro irreversibile compromissione; in altri termini, i riflessi di un'eventuale esecuzione dell'ingiuzione esorbitano dal profilo strettamente monetario e renderebbero pertanto la pronunzia favorevole di merito non interamente satisfattiva di tutto quello che l'attore aveva diritto a conseguire. Ne' peraltro e' dato ravvisare una valida ragione giustificativa della netta disparita' di trattamento rispetto alla disciplina normativa delle altre imposte, non essendo prevista per quelle doganali una graduazione dell'eseguibilita' forzata in pendenza di contenzioso come per gli altri tributi, per i quali inoltre sara' possibile azionare direttamente il ben piu' incisivo potere di sospensione cautelare davanti alle commissioni tributarie ex artt. 47 e 71 d.-lgs. 31 dicembre 1993, n. 546. Sul punto, particolarmente significativa per le analogie che presente rispetto al caso concreto, risulta la recentissima sentenza della Corte costituzionale n. 318 del 28 giugno/13 luglio 1995 che ha dichiarato l'illegittimita' dell'art. 1 legge 13 dicembre 1928, n. 3233, per contrasto con gli artt. 3 e 24, nella parte in cui, richiamando le norme in vigore per la riscossione della imposte dirette, impediva all'autorita' giurisdizionale ordinaria di sospendere l'esecuzione dei ruoli esattoriali relativi ad entrate di natura non tributaria. La Corte ha ravvisato una disparita' di trattamento "dal punto di vista della difesa giurisdizionale alla cui maggiore intensita' concorre comunque anche la tutela cautelare", osservando che l'esclusione della sospensione cautelare, nell'ambito della tutela giurisdizionale, puo' considerarsi legittima solo se ispirata a motivi di ragionevolezza, che non stati ritenuti sussistenti nella fattispecie esaminata proprio per la mancanza di un sistema di graduazione della realizzazione del credito che avrebbe potuto "bilanciare la mancata previsione di misura cautelari giurisdizionali" (evidenziando altresi' che nella recente riforma del contenzioso tributario, sia pure non ancora operante, e' contemplato il potere del giudice tributario di sospendere l'esecuzione dell'atto, quando da questo possa derivare un danno grave ed irreparabile al contribuente). In conclusione, la preclusione per il g.o. di sospendere ex art. 700 c.p.c. l'ingiuzione in esame non deriva dalla disciplina normativa prevista per la riscossione delle imposte che non si occupa della tutela giurisdizionale ne' esclude specificatamente il potere di sospensione del g.o. dell'ingiuzione doganale, bensi' dal divieto generale previsto dall'art. 4 legge 20 marzo 1865, n. 2248 (in tal senso cfr. Cass. s.u. n. 2593/1974) ed e' appunto tale divieto che deve considerarsi, nella sua applicazione al caso concreto, in contrasto con i principi costituzionali previsti dagli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione. Del resto, tutti i profili di illegittimita' costituzionale sopra esposti sarebbero fondati anche se si ritenesse che il divieto di sospensione scaturisce dagli artt. 67 e segg. d.P.R. n. 43/1988, 39, 53 e 54 d.P.R. n. 602/1973 o dall'art. 11 d.-l. n. 151/1991, e se conseguentemente le questioni di costituzionalita' dovessero riferirsi a tali disposizioni normative. Va infine rilevato che non si ravvisa la necessita' di sospendere l'intero procedimento, posto che la risoluzione della questione di incostituzionalita' non e' destinata ad esercitare alcuna influenza sulla definizione del giudizio di merito ma riguarda esclusivamente il subprocedimento relativo all'istanza cautelare (proposta fuori udienza) e si esaurisce all'interno dello stesso; pertanto, anche al fine di evitare che dalla denuncia dei dubbi di legittimita' costituzionale sopra esposti derivino effetti sproporzionati e pregiudizievoli per l'interesse delle parti ad una sollecita definizione della lite, deve disporsi la sospensione soltanto del presente procedimento indicentale, potendo invece proseguire regolarmente quello principale di merito per il quale risulta gia' fissata la successiva udienza di trattazione.