IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Ha pronunciato la seguente ordinanza udita l'eccezione di illegittimita' costituzionale sollevata nel procedimento n. 1037/95 r.g.n.r. mod. 21 e n. 333/95 r.g.g.i.p. a carico di Lama Michele e Sfoco Anna, all'udienza preliminare del 5 ottobre 1995; Premesso che: in data 21 febbraio 1995 il predetto giudice emetteva ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di Lama Michele per i reati di cui agli artt. 81 cpv. 110 c.p. e 73 d.P.R. 309/1990; in data 11 marzo 1995 il p.m. sede chiedeva il rinvio a giudizio degli imputati e, successivamente, in data 15 marzo 1995 la difesa avanzava richiesta di definizione del procedimento nelle forme di cui agli artt. 444 e ss. c.p.p.; negli atti introduttivi dell'udienza fissata ex art. 418 c.p.p., la difesa eccepiva l'illegittimita' costituzionale dell'art. 34, secondo comma, c.p.p. nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio di applicazione della pena su richiesta delle parti il giudice che ha disposto l'applicazione di misura cautelare. Tanto premesso, va rilevato che la Corte costituzionale con sentenza n. 432 del 1995 ha ritenuto che la decisione emessa dal g.i.p. ai sensi dell'art. 273 c.p.p., riguardando un giudizio di merito attinente la gravita' degli indizi di colpevolezza raccolti a carico dell'indagato, non puo' non riflettersi sulla serenita' ed imparzialita' del giudizio qualora il giudice sia chiamato a decidere nel merito del processo. La Corte costituzionale ha ritenuto sussistente il pericolo che "la valutazione complessiva sulla responsabilita' dell'imputato sia, o possa apparire condizionata dalla cosiddetta forza della prevenzione, e cioe' da quella naturale tendenza a mantenere un giudizio gia' espresso o un atteggiamento gia' assunto in altri momenti decisionali dello stesso procedimento". Quanto sostenuto dalla Corte, in relazione alla incompatibilita' per il giudice per le indagini preliminari, che abbia emesso misura cautelare personale, a partecipare al giudizio dibattimentale, impone la necessita' di sollevare la questione di illegittimita' costituzionale anche in relazione al caso in questione; il giudice, infatti, relativamente ai processi definibili ex artt. 444 e ss. c.p.p. deve valutare la sussistenza di elementi idonei a pervenire al proscioglimento dell'imputato a norma dell'art. 129 c.p.p., come espressamente statuito dall'art. 444 c.p.p.; tale valutazione si impone anche alla luce del costante orientamento della suprema Corte la quale ha, piu' volte, ribadito il principio secondo cui al giudice, nel procedimento di applicazione della pena su richiesta delle parti, non e' delegata una mera funzione "notarile" dell'accordo tra le parti dovendo, proprio in ossequio alla citata disposizione normativa, dar conto della "ratifica" dell'accordo. Pertanto, la questione di illegittimita' costituzionale sollevata dalla difesa appare ictu oculi rilevante e non manifestamente infondata e risulta attinente alla violazione della parita' di trattamento normativo di situazioni analoghe (art. 3 della Costituzione), alla inviolabilita' della difesa in ogni stato e grado del processo (art. 24, secondo comma, della Costituzione) nonche' alla stessa previsione di non colpevolezza dell'imputato fino alla condanna definitiva (art. 27, secondo comma, della Costituzione); ed invero, ove si concretizza l'identita' del giudice nell'analizzata situazione processuale, si determina una disparita' di trattamento rispetto al cittadino giudicato da giudice non "prevenuto" nonche' in pregiudizio arrecato al diritto alla difesa rispetto al suddetto giudice che al contempo non apparirebbe garantire adeguatamente all'imputato il suo diritto a non essere considerato colpevole fino alla sentenza di condanna; tali valutazioni impongono, quindi, a questo giudice di sollevare l'esaminata eccezione di incostituzionalita' con conseguente sospensione del presente processo e trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.