LA CORTE DI CASSAZIONE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto dall'I.N.P.S., in persona del legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliato in Roma, via della Frezza n. 17, presso gli avvocati Enrico Zicavo, Fabrizio Ausenda, che lo rappresentano e difendono giusta procura in calce al ricorso, ricorrente contro Selva Eugenia e Paoni Giampaolo, intimati, e sul secondo ricorso n. 8220/1992 r.g. proposto da Selva Eugenia e Paoni Giampaolo in qualita' di eredi di Paoni Salvatore, elettivamente domiciliati in Roma, via Cosseria n. 5, presso l'avv. Enrico Romanelli che li rappresenta e difende unitamente all'avv. Giuseppe Di Prima, come da delega a margine del controricorso e ricorso incidentale, controricorrenti e ricorrenti incidentali, contro l'I.N.P.S. - Istituto nazionale della previdenza sociale, in persona del legale rappresentante pro-tempore, intimato, per l'annullamento della sentenza del tribunale di Udine emessa il 21 febbraio 1992 depositata il 21 marzo 1992 r.g. n. 3744/1991; Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 7 aprile 1995 dal consigliere dott. Vigolo; Udito l'avvocato Barbuto per delega Zicavo; Udito l'avvocato Alu' per delega Romanelli; Udito il p.m. in persona del sostituto procuratore generale dott. Carlo Tondi che ha concluso per l'accoglimento del ricorso principale e l'assorbimento dell'incidentale. Ritenuto in fatto Con atto depositato il 4 gennaio 1985, il sig. Salvatore Paoni ricorreva al pretore, giudice del lavoro, di Pordenone nei confronti dell'I.N.P.S. chiedendo (tra l'altro che ora non interessa) di essere dichiarato non tenuto alla restituzione allo stesso Istituto della somma di complessive L. 7.278.390 indebitamente erogategli nel periodo 1 gennaio 1979-31 ottobre 1983, a titolo di incremento di scala mobile su seconda pensione (quando l'art. 19 della legge 21 dicembre 1978, n. 843, dispone che dal 1 gennaio 1979 detto incremento spetta su un solo trattamento pensionistico). Con sentenza in data 21 aprile 1986, il pretore dichiarava non ripetibili, a norma dell'art. 80 del r.d. 28 agosto 1924, n. 1422, gli importi indebitamente corrisposti dall'Istituto dopo la data di entrata in vigore della legge n. 843/1978 cit., dal momento che l'Istituto non aveva decurtato le "quote fisse" nell'anno dalla detta data. Il tribunale di Pordenone, sezione lavoro, con sentenza in data 12 febbraio 1987 (per quanto ora interessa) respingeva l'appello principale dell'I.N.P.S. Per la cassazione della sentenza ricorreva l'I.N.P.S.. e questa Corte, con sentenza 27 febbraio 1989-21 agosto 1990, n. 8504, accoglieva il ricorso, disponeva il rinvio della causa al tribunale di Udine enunciando il principio secondo cui l'art. 80, comma terzo, r.d. 28 agosto 1924, n. 1422, il quale prevede l'inefficacia, sui pagamenti pensionistici gia' effettuati dall'I.N.P.S., di rettifiche operate oltre l'anno, integra una norma eccezionale, in deroga alla regola della ripetibilita' dell'indebito oggettivo, che e' applicabile sia alla liquidazione originaria sia alle successive riliquidazioni, con esclusivo riferimento agli errori di calcolo o di determinazione del quantum della prestazione. La norma medesima, pertanto, non e' invocabile quando il provvedimento dell'Istituto, originario o successivo, sia inficiato da errori attinenti alla sussistenza del diritto alla prestazione, ovvero quando si accertino sopravvenute modificazioni della posizione dell'assistito implicanti automaticamente l'estinzione totale del trattamento pensionistico o la diminuzione del suo contenuto. Ne conseguiva che, avendo l'art. 19 della legge 21 dicembre 1978, n. 843 (sull'aumento dell'indennita' integrativa speciale) disposto che la quota aggiuntiva di cui al comma 3 dell'art. 10 della legge 3 giugno 1975, n. 160, era dovuta una sola volta in caso di titolarita' di piu' pensioni e, con decorrenza dal 1 gennaio 1979, erano ripetibili i pagamenti erroneamente effettuati in violazione di tale limite. Alla riassunzione della causa provvedeva l'I.N.P.S. insistendo perche' fosse affermata la ripetibilita' degli importi indebitamente erogati. Resistevano in giudizio i signori Eugenia Selva e Giampaolo Paoni, quali eredi di Paoni Salvatore. Con sentenza in data 21 febbraio-21 marzo 1992, il tribunale di Pordenone, in parziale riforma della sentenza del pretore, dichiarava la irrepitibilita' dell'importo di L. 10.216.400 ("quote fisse"). Riteneva il giudice di rinvio (per quanto ora interessa) che, rispetto al principio di diritto enunciato da questa Corte con la sentenza n. 8504 del 1990, dovesse prevalere lo ius superveniens, rappresentato dall'art. 52 della legge 9 marzo 1989, n. 88 che aveva tacitamente abrogato il piu' restrittivo art. 80 del r.d. 28 agosto 1924, n. 1422. Ricorre per cassazione in via principale l'I.N.P.S. con unico motivo articolato in due profili di annullamento. Resistono gli eredi Paoni con controricorso contenente altresi' ricorso incidentale affidato esso pure ad unico motivo. All'udienza di discussione gli eredi Paoni hanno sollevato questione di costituzionalita' dell'art. 52 della legge 9 marzo 1989, n. 88, come interpretato dalle sezioni unite di questa Corte con sentenza n. 1315 del 1995, in relazione agli artt. 3 e 38 della Costituzione, con riferimento altresi' alle sentenze della Corte costituzionale n. 418 del 1991 e n. 39 del 1993. Osserva in diritto I ricorsi, siccome proposti avverso la medesima sentenza, debbono essere riuniti a norma dell'art. 335 del c.p.c. Esaminando il ricorso principale al fine di valutare la rilevanza della questione di legittimita' costituzionale della quale sara' detto oltre, rileva la Corte che con l'unico motivo, il ricorrente principale deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 384 del c.p.c., 143 delle disp.att. del c.p.c., 52, comma secondo, legge 9 marzo 1989, n. 88, come autenticamente interpretato dall'art. 13 della legge 30 dicembre 1991, n. 412, 437 del c.p.c. e 16, sesto comma, della legge 30 dicembre 1991, n. 412; deduce altresi' contraddittoria motivazione su piu' punti decisivi della controversia (art. 360, nn. 3 e 5 del c.p.c.). Sotto un primo profilo, sostiene che il giudice di rinvio si e' discostato dal principio di diritto enunciato dalla sentenza di questa Corte n. 8504/1990, la quale aveva escluso che il provvedimento dell'I.N.P.S. fosse modificato della posizione pensionistica, siccome emanato ope legis e quindi esente da qualsiasi errore per il quale si potesse invocare sanatoria: si trattava, infatti di provvedimento legittimo, indipendentemente dal ritardo col quale era stato emesso. Ne' era applicabile l'art. 52 della legge 9 marzo 1989, n. 88, autenticamente interpretato dall'art. 13 della legge 30 dicembre 1991, n. 412, presupponendo quest'ultima norma un provvedimento formale affetto da errore, mentre non poteva considerarsi erroneo un provvedimento imposto da norme di legge (art. 19 della legge 21 dicembre 1978, n. 843 che vieta la duplice indicizzazione di diversi trattamenti pensionistici). Sotto altro profilo, il ricorrente principale si duole del riconoscimento in favore degli eredi dell'assicurato del diritto alla rivalutazione, malgrado l'appello incidentale fosse stato dichiarato inammissibile. In ordine al primo profilo di anullamento, rileva la Corte che esso non sembra decisivo laddove si denuncia l'erronea applicazione da parte del tribunale dell'art. 52, comma secondo, della legge 9 marzo 1989, n. 88, come autenticamente interpretato dall'art. 13 della legge 30 dicembre 1991, n. 412, dal momento che quest'ultima legge (non ancora in vigore al momento dei pagamenti illeciti e, nella parte in cui essa si prospetta come retroattiva, dichiarata costituzionalmente illegittima dalla Corte costituzionale con sentenza 10 febbraio 1993, n. 39) prevede ai fini delle irreperibilita' che l'indebito sia stato pagato in relazione a formale e definitivo provvedimento che risulti viziato, mentre nella specie l'indebito nasceva dal divieto di cui all'art. 19 della legge 21 dicembre 1978, n. 843. Per contro, l'applicazione da parte del tribunale dell'art. 52, comma secondo, della legge n. 88/1989 non e' conforme, per altro verso, alla giurisprudenza delle sezioni unite di questa Corte (e cio' il collegio, che ad essa aderisce, puo' rilevare di ufficio, nell'ambito del compito assegnato al giudice di interpretare le leggi). Con sentenza 3 febbraio 1995 n. 1315 (ricorso n. 620/1991 r.g., I.N.P.S. contro Tabellini) le sezioni unite hanno anzitutto richiamato il principio, costantemente ribadito dalla giurisprudenza di legittimita', secondo il quale, alla stregua della teoria del fatto compiuto, la legge nuova puo' essere applicata soltanto ai fatti, agli status ed alle situazioni esistenti o sopravvenute alla data della sua entrata in vigore, non anche al facta praeterita quando risultano introdotti ovvero siano soppressi o limitati dalla legge sopravvenuta presupposti, condizioni o facolta' per il riconoscimento del diritto od obblighi inerenti al relativo fatto costitutivo. Per tali facta invero l'applicazione della nuova legge finirebbe per sconvolgere le situazioni giuridiche sorte durante il periodo di vigenza della vecchia legge, sol perche' non esaurite al momento dell'entrata in vigore della nuova (in quanto beninteso svolgentisi nell'ambito di un rapporto di durata) o perche' tuttora oggetto di accertamento giudiziale. Solo quando, invece, si tratti non di fatto compiuto generatore del diritto, bensi' di meri effetti di esso, che trovano il loro normale svolgimento nel tempo, e' consentita l'applicazione retroattiva dello ius superveniens e cioe' l'attribuzione di effetti nuovi a fatti passati. In applicazione di tale principio, le sezioni unite hanno negato la correttezza della attribuzione del carattere di ius superveniens all'art. 52 cit., siccome frutto dell'erronea attribuzione all'indebito previdenziale, dal quale non nasce un rapporto di durata, di una connotazione di durata, questo carattere essendo, invece, proprio del rapporto previdenziale. Del pari inesatta era l'affermazione della incidenza dell'art. 52 cit. sui rapporti di assicurazione sociale non ancora estinti, vertendosi in materia di repetitio e di deroghe relative, non di rapporto previdenziale (di durata) in senso stretto. Conclusivamente, la citata sentenza delle sezioni unite afferma che e al momento dell'esecuzione del pagamento poi risultato indebito che occorre fare riferimento per stabilire quale delle norme succedutesi nel tempo debba trovare applicazione. Peraltro, se ratione temporis la fattispecie in esame si e' realizzata nel vigore dell'art. 80 del r.d. 28 agosto 1924, n. 1422, l'applicabilita' di tale norma e' stata esclusa in concreto dalla sentenza di questa Corte (n. 8504/1990) che ha disposto il rinvio al tribunale di Udine e che ha affermato la ripetibilita' dei pagamenti erroneamente effettuati in violazione del limite di cui all'art. 19 della legge 21 dicembre 1978, n. 843. Non puo' quindi rimproverarsi, sic et simpliciter, al giudice di rinvio di essersi discostato dal principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione, essendo lo stesso giudice tenuto ad applicare l'eventuale ius superveniens; l'errore del tribunale di Udine sembra, invece, riavvisabile, per quanto detto, nella qualificazione come ius superveniens dell'art. 52 cit.. La sentenza di questa Corte n. 8504/1990, nell'affermare la ripetibilita' delle "quote aggiunte", ha evidentemente fatto applicazione (non avendo ritenuto applicabile l'art. 80 del r.d. 28 agosto 1924, n. 1422) del generale principio di cui all'art. 2033 del c.c. Questo collegio, peraltro, nel momento in cui, in applicazione dell'art. 383 del c.p.c., dovrebbe rinviare la causa ad altro giudice enunciando il principio che l'art. 52 della legge 9 marzo 1989, n. 88 non costituisce ius superveniens rispetto all'art. 80 del r.d. 28 agosto 1924, n. 1422 (e neppure rispetto all'art. 2033 del c.c., il che pure era invece presupposto nella sentenza del giudice di rinvio), mentre ritiene irrilevante la questione di legittimita' costituzionale sollevata dai controriccorrenti, in riferimento a norma di legge inapplicabile alla concreta fattispecie, propone di ufficio questione di legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 38, comma secondo, Cost., dell'art. 2033 del c.c. in quanto lo si ritenga applicabile all'indebito pensionistico (ex art. 19 legge 21 dicembre 1978, n. 843) percepito in buona fede dall'interessato. La rilevanza della questione nasce evidentemente dalla considerazione che, secondo la citata sentenza delle sezioni unite di questa Corte deve farsi applicazione nella decisione della presente controversia proprio della disposizione (che, come detto, deve essere indicata nel principio di diritto da formulare di nuovo al designando giudice di rinvio, non essendosi riscontrata la mera inosservanza, da parte del tribunale di Udine, del principio enunciato nella sentenza di questa Corte n. 8504/1990) della cui legittimita' costituzionale si dubita. La questione, inoltre, non appare manifestamente infondata. Occorre, al riguardo, richiamare principi enunciati dal giudice delle leggi, sia pure in sede di scrutinio della diversa norma, gia' piu' volte ricordata, di cui all'art. 52, comma secondo, legge 9 marzo 1989, n. 88, introduttivo di un piu' favorevole regime della irripetibilita' dell'indebito pensionistico, irripetibilita' riconosciuta con il solo limite del dolo, astraendosi percio', vuoi dalla circostanza che l'indebito trovi origine nell'atto attributivo della pensione od in fatto sopravvenuto, vuoi dal tipo di errore nel quale l'Istituto sia incorso. La Corte costituzionale, investita della questione di legittimita' costituzionale (con riferimento, anche allora, agli artt. 3 e 38, secondo comma, Cost.) dell'art. 52, secondo comma, legge ult. cit., interpretato nel senso che, in caso di presentazione pensionistica indebita, non si esclude la ripetibilita' dell'indebito in tutte le ipotesi in cui la percezione del trattamento non dovuto sia avvenuta senza dolo dell'interessato e, quindi, anche quando l'errore abbia riguardato la sussistenza stessa del diritto alla prestazione, ha dichiarato l'infondatezza della questione medesima osservando che la disposizione sospettata di illegittimita' costituzionale "risolve radicalmente tutta la problematica insorta in materia di rettifica di errori in cui puo' incorrere l'ente erogatore delle pensioni e in quella conseguente della ripetibilita' delle somme riscosse dal pensionato. Si sancisce che non sono ripetibili le somme riscosse, qualunque sia stata la ragione dell'errore e qualunque sia stato il provvedimento, sul quale ha inciso l'errore dell'ente, compresa la ritenuta sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del diritto, compresi i provvedimenti di annullamento e di revoca delle prestazioni previdenziali non seguiti da altri atti amministrativi". "In altri termini e' sancita la irripetibilita' delle somme erogate, sia che l'errore sia caduto sull'an sia sul quantua. Unica condizione richiesta e' quella della mancanza di dolo dell'interessato". (C. cost., 31 luglio 1990, n. 383). Trattandosi di sentenza interpretativa di rigetto (riguardante, per giunta, disposizione diversa dall'art. 2033 del c.c.), detta pronuncia non puo' avere efficacia al di fuori del giudizio nel quale venne sollevata la questione, ma, considerata l'autorevolezza della fonte, non puo' disconoscersi il valore delle affermazioni di principio in essa contenute, quali rationes decidendi, laddove si sottolinea come l'interpretazione della norma fatta propria (all'epoca) dalla Corte di cassazione (v., in particolare, sent. 14 novembre 1989, n. 4805), nei termini sopra riferiti dal giudice delle leggi come "diritto vivente", sia "adeguatrice ai precetti costituzionali, ponendo su un piano di parita' il trattamento dei pensionati dell'I.N.P.S. e quello dei pensionati ex dipendenti pubblici e rispettando altresi' la destinazione delle somme percepite al soddisfacimento dei bisogni fondamentali e delle esigenze di vita del lavoratore e della sua famiglia". Tali essendo i valori che siffatta interpretazione dell'art. 52 della legge 9 marzo 1989, n. 88 fa salvi - si' da restare esclusa qualsiasi violazione, da parte di tale norma, vuoi dell'art. 3 della Cost., per disparita' di trattamento tra pensionati I.N.P.S. e pensionati ex dipendenti pubblici (art. 206 del t.u. n. 1092 del 1973) e tra gli stessi pensionati I.N.P.S., vuoi dell'art. 38, comma secondo, della Costituzione, in quanto la diminuita tutela della buona fede dell'accipens, in tutte le ipotesi di errori commessi dall'ente erogatore incide su un trattamento diretto a soddisfare i bisogni primari del pensionato e della sua famiglia - la questione di costituzionalita' si ripropone in termini analoghi per l'art. 2033 del c.c., in quanto esteso alla ripetizione dell'indebito di cui si tratta, per disparita' di trattamento dei pensionati I.N.P.S. rispetto ai pensionati ex dipendenti pubblici ed anche per diverso trattamento, razionalmente non giustificato, tra pensionati che versano nell'ipotesi di applicabilita' dell'art. 80 del r.d. 28 agosto 1924, n. 1422, in presenza di "rettifiche di errori materiali", e pensionati cui, invece, debba applicarsi la normativa codicistica. Ne' puo' sostenersi che l'adeguamento dei trattamenti possa ipotizzarsi al livello di assoluto rigore della norma sospettata di incostituzionalita', proprio per i valori che le norme derogatorie al principio generale da essa espresso hanno inteso tutelare (posti in luce dalla citata sentenza n. 383 del 1990 della Corte costituzionale) e per la circostanza che le quote fisse di contingenza vengono corrisposte per far fronte alle esigenze derivanti dall'aumentato costo della vita per soggetti economicamente e socialmente "deboli" quali di norma sono i pensionati, talche' la ripetizione dell'indebito verrebbe ad esporli per periodo anche rilevante ad una sensibile decurtazione operata sul trattamento pensionistico dovuto, sino a ridurlo al di sotto del minimo preteso dall'art. 38, comma secondo, della Costituzione. Vero e' che l'art. 3 (intitolato "Interpretazione autentica e integrazione dell'art. 206 del t.u. approvato con d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092") della legge 7 agosto 1985, n. 428, dispone che la norma di cui all'art. 206 predetto "deve intendersi applicabile nel caso in cui, verificandosi le condizioni stabilite negli artt. 204 e 205 dello stesso testo unico, il provvedimento definitivo di concessione venga modificato o revocato con altro provvedimento formale soggetto a registrazione" -, ma la retroattivita' di tale norma (e parte della ripetizione attiene a pagamenti anteriori) deve essere esclusa in via interpretativa alla luce di considerazioni analoghe a quelle che hanno indotto la Corte costituzionale a dichiarare la illegittimita' costituzionale dell'analogo art. 13, primo comma, della legge 30 dicembre 1991, n. 412, nella parte in cui lo stesso e' applicabile anche ai rapporti sorti precedentemente alla data della sua entrata in vigore o comunque pendenti alla stessa data (v. C. cost., 10 febbraio 1993, n. 39). Ne' comunque costituiscono elementi differenziali tra le situazioni poste a confronto, tali da giustificare la differenziazione della disciplina dell'indebito pensionistico, la circostanza - del tutto estrinseca - della necessita' di un precedente provedimento (poi revocato o modificato) che abbia dato luogo a riscossioni indebite di trattamenti pensionistici e di un successivo atto di revoca o di modifica dello stesso (elementi formali gia' richiesti secondo l'interpretazione dell'art. 206 cit. della precedente giurisprudenza amministrativa e sottolineati dall'art. 3 della legge n. 428/1985 cit., il quale richiede altresi' la "definitivita'" del primo provvedimento e l'assoggettabilita' del secondo a "registrazione". Assumono, infatti, assoluta premienza i valori costituzionali in giuoco, recepiti dalla ricordata sentenza n. 383/1990) della Corte costituzionale. Nemmeno costituisce, poi, ad avviso del collegio, elemento di discrimine tra le situazioni dei pensionati I.N.P.S. poste a confronto, tale da giustificare la differenziazione della disciplina dell'indebito pensionistico, la circostanza che la norma di cui all'art. 80 r.d. cit. attenga ai soli errori di calcolo o di determinazione del quantum della prestazione, e non sia anche applicabile in presenza di errori attinenti alla sussistenza del diritto alla prestazione (secondo quanto ritenuto dalla sentenza n. 8504/1990 di questa Corte che dispose il rinvio) o (secondo la diversa interpretazione di Cass., s.u., 3 febbraio 1995, n. 1315) sia inapplicabile in caso di "mero ritardo nell'accertamento di successive modificazioni di diritto automaticamente operative nel senso della estinzione del diritto originariamente esistente", perche' l'"errore" presupposto dalla interpretazione fatta propria dalla sentenza e' lo stesso "errore oggettivo" presupposto (secondo le stesse sezioni unite: v. sent. 22 febbraio 1995, n. 1965) dall'art. 2033 del c.c. ed anche il ritardo nell'accertamento si risolve in una errata percezione della realta' in relazione alle intervenute modifiche normative (seppure automaticamente operative) non dissimile dall'errore oggettivo di cui si e' detto, le cui conseguenze non debbono riversarsi a danno dei (diritti costituzionalmente garantiti dei) pensionati. Dalle considerazioni sin qui svolte, particolarmente in punto di mancata tutela della buona fede dell'accipiens e di normale incidenza dell'azione di recupero sulle residue risorse pensionistiche dell'interessato, risulta evidente come, anche in relazione all'art. 38, comma secondo, Cost. (diritto del pensionato ad un trattamento adeguato a soddisfare i bisogni primari suoi e della sua famiglia) non sia manifestamente infondato il dubbio circa la costituzionalita' dell'art. 2033 del c.c. in quanto venga ritenuto applicabile all'indebito pensionistico ex art. 19 della legge 21 dicembre 1978, n. 843, percepito in buona fede.