IL TRIBUNALE Ha deliberato la seguente ordinanza nel procedimento a carico di Manicone Maria Rosaria, imputata, nel proc. pen. n. 49/1995 r.g., del delitto p. e p. dall'art. 73, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, per avere, senza autorizzazione, coltivato alcune piante di canapa indiana, sostanza stupefacente appartenente alla tabella 2, prevista dall'art. 14 d.P.R. citato, in Bologna, il 29 luglio 1992. Rilevato che: all'esito della discussione, il Tribunale si e' ritirato in camera di consiglio, nel giudizio dibattimentale oggi celebrato a carico della Manicone per il delitto in epigrafe; le risultanze processuali potrebbero condurre a ritenere accertata, a carico della Manicone, la condotta materiale ascrittale, nonche' la destinazione ad uso personale del prodotto della coltivazione, cosi' come sostenuto dalla difesa, anche in assenza della prova - di cui il pubblico ministero non si e' fatto carico, ritenendo la coltivazione comunque penalmente perseguibile in se' - della destinazione a terzi di detto prodotto della coltivazione; Ritenuto che: quanto precede giustifica il giudizio di rilevanza della questione di legittimita' costituzionale - sollevata dalla difesa in via di subordine - dell'art. 75, primo comma, d.P.R. n. 309/1990, come modificato dal d.P.R. n. 171/1993 a seguito di referendum popolare, in relazione all'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui detto art. 75 non prevede che anche la coltivazione di sostanze stupefacenti, oltre che l'importazione, l'acquisto o la detenzione, venga punita soltanto con sanzioni amministrative, se finalizzata all'uso personale della sostanza; quanto alla non manifesta infondatezza di tale questione, debbono valere le argomentazioni che seguono, peraltro gia' svolte dalla Corte di appello di Catanzaro nell'ordinanza di promovimento del giudizio della Corte costituzionale, emessa in data 10 febbraio 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 16, 1 serie speciale, del 19 aprile 1995: a parere di questo Tribunale, l'attuale sistema normativo, cosi' come risultante dall'esito referendario dell'aprile 1993 e dal conseguente d.P.R. n. 171/1993, delinea, agli artt. 73 e 75 del d.P.R. n. 39/1990, per condotte ugualmente caratterizzate dalla destinazione della sostanza all'uso personale (coltivazione da un lato, e acquisto, importazione e detenzione dall'altro un trattamento sanzionatorio diversificato che non appare ispirato a criteri di ragionevolezza e si pone in contrasto con il principio di uguaglianza di cui all'art. 5 della Costituzione; e' pur vero che la Corte costituzionale e' gia' intervenuta in subiecta materia, con la pronuncia di inammissibilita' 23 dicembre 1994 n. 445, osservando che la censura di incostituzionalita' deve passare attraverso la verifica della possibilita' di una esegesi adeguatrice del dato normativo impugnato, in forza della quale l'operata depenalizzazione della condotta di "detenzione" appaia interpretativamente estensibile anche alle condotte della "coltivazione" e della "fabbricazione"; senonche', occorre prendere atto che la possibilita' di siffatta esegesi adeguatrice resta ormai esclusa dal diritto vivente di legittimita', cosi' come emergente dal magistero della Corte regolatrice, laddove - nella sentenza della Sezione 4, del 29 settembre 1994, depositata il 21 dicembre 1994, pres. Viola, imp. Noia - osserva che: "gli effetti abroganti del decreto n. 171/1993 non riguardano gli artt. 26 e 75 del d.P.R. n. 309/1990, che fanno espresso divieto di coltivazione e fabbricazione - ritenute equipollenti dal legislatore - di sostanze stupefacenti"; mentre la illiceita' della coltivazione risulta invero tuttora sanzionata penalmente, ai sensi dell'art. 73, l'art. 75, come riformato dal decreto referendario, mediante la degradazione della detenzione per uso personale a mero illecito amministrativo, limita oggettivamente l'ambito dei soggetti che eventualmente fanno uso personale della sostanza, con esclusivo riferimento a chi illecitamente importa, acquista, o comunque detiene sostanze stupefacenti; dal novero dei beneficiari della non punibilita' vanno percio' esclusi coloro che coltivano o fabbricano stupefacenti; non e' peraltro possibile "una estensione analogica, in mancanza dei presupposti necessari, ed in considerazione della tassativita' delle prescrizioni contenute negli articoli 73 e 75 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, che implicano una scelta precisa ed una valutazione ponderata del legislatore"; in conclusione, va riaffermata la punibilita', in sede penale, della coltivazione di sostanze stupefacenti anche se finalizzata ad uso personale, ribadendosi l'indirizzo che ravvisa in tale condotta un reato di pericolo, con conseguente irrilevanza della valutazione della quantita' di droga potenzialmente ricavabile dalle piantine coltivabili e dell'elemento soggettivo dell'agente in relazione all'eventuale destinazione ad uso personale della sostanza; nel prendere atto di tale orientamento di legittimita', il tribunale deve tuttavia rilevare che il sistema normativo in tema di stupefacenti seguito al referendum abrogativo del 1993, cosi' delineato, si presenta, con riferimento alla coltivazione di sostanze stupefacenti, poco razionale ed in contrasto con il principio di uguaglianza dell'art. 3 della Costituzione; e invero: la scelta del legislatore del 1990 aveva una sua logica coerenza, in quanto si radicava sul principio della illiceita' della detenzione di sostanze stupefacenti, anche se finalizzata ad uso personale, e limitava l'applicabilita' delle sanzioni amministrative al solo esiguo parametro quantitativo della dose media giornaliera; appariva pertanto coerente con tale impostazione la esclusione della coltivazione dall'elenco delle condotte che, ai sensi dell'art. 75, comportavano la degradazione dell'illecito penale ad illecito amministrativo, in quanto tale attivita' produttiva, per sua natura, era potenzialmente ed astrattamente idonea a travolgere il dato quantitativo della dose media giornaliera che operava come discrimine per la punibilita' penale; in simile prospettiva, coerentemente, si poneva la giurisprudenza che tratteggiava la coltivazione di sostanze stupefacenti come reato di pericolo nei termini gia' descritti; gli esiti del referendum abrogativo travolgono tale impostazione, giacche' cancellano il principio del divieto dell'uso personale di sostanze stupefacenti sancito al primo comma dell'art. 72 e, eliminando il parametro quantitativo della dose media giornaliera, pongono la finalita' dell'uso personale quale unico discrimine tra l'illecito penale e quello amministrativo, indipendentemente dal tipo di condotta e dalla natura e quantita' della sostanza stupefacente; il rilievo depenalizzante assunto dall'uso personale della droga nella nuova disciplina, indipendentemente da parametri quantitativi, non piu' esistenti (in tal senso, espressamente, Cassazione, Sez. 4, 18 gennaio 1994, n. 2534), dovrebbe ora equiparare la coltivazione alle altre condotte previste dall'art. 75, ai fini degli effetti sanzionatori indicati nella medesima norma; nel quadro normativo ridisegnato dagli esiti del referendum, pertanto, l'esclusione della coltivazione dal novero delle condotte punite con sanzione amministrativa, se finalizzate all'uso personale dello stupefacente, non appare piu' sorretta da quei criteri di ragionevolezza che pur aveva nel contesto della originaria normativa e si pone in contrasto con il principio di parita' di trattamento che l'art. 3 della Costituzione impone al legislatore; tale esclusione costituisce oggi una non piu' giustificata diversita' di trattamento sanzionatorio per condotte diverse (importazione, acquisto, detenzione e coltivazione), ma egualmente ispirate a quella medesima finalita' di uso personale della sostanza stupefacente, posta a fondamento della scelta popolare di depenalizzazione; allo stato della normativa attuale, colui che, in contesto domestico, coltiva - come nel caso di specie - un esiguo numero di piantine di canapa indiana per uso personale, e' sottoposto alle sanzioni penali previste dall'art. 73, mentre colui che importa, sempre per uso personale, anche cospicue quantita' di eroina o cocaina, soggiace alle sole sanzioni amministrative previste dall'art. 75; a parere del Collegio, la descritta situazione normativa configura un'ipotesi di incostituzionalita' sopravvenuta, conseguente agli esiti del referendum ed al d.P.R. n. 171/1993, per certi versi inevitabile, data la natura del referendum abrogativo ed i limiti della sua operativita' sulla normativa preesistente, alla quale puo' porre rimedio la Corte costituzionale con una sentenza additiva, con la quale si dichiari l'incostituzionalita' del primo comma dell'art. 75 del d.P.R. n. 309/1990, come modificato dal d.P.R. n. 171/1993, perche' in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui non prevede che anche la coltivazione di sostanze stupefacenti, oltre che l'acquisto, l'importazione o la detenzione, sia punita con le sanzioni amministrative, se finalizzata esclusivamente all'uso personale della droga.