comma).  IL  TRIBUNALE
   Ha deliberato la seguente ordinanza nel  procedimento  iscritto  al
 numero  296  del  registro  delle impugnazioni delle misure cautelari
 personali dell'anno 1995, riservato per  la  decisione  alla  udienza
 camerale dell'11 maggio 1995;
   Sulla  richiesta  di  riesame  proposta  nell'interesse di Maritato
 Orlando, nato a Cassano Jonio il 23 aprile 1946 ed in atto  detenuto,
 agli arresti domiciliari, perche' "paraplegico", avverso la ordinanza
 applicativa  della misura cautelare della custodia in carcere, emessa
 dal giudice per  le  indagini  preliminari  presso  il  tribunale  di
 Catanzaro in data 12 aprile 1995;
   Sentito   il   difensore,   avv.   Eugenio  Donadio,  del  foro  di
 Castrovillari;
   Esaminati gli atti di causa;
   Udito il relatore;
   Premette: con ordinanza del 12 aprile  1995  il  g.i.p.  presso  il
 locale  tribunale  ha disposto l'applicazione della misura custodiale
 carceraria  nei  confronti  di  ventisette  imputati  (tra  i   quali
 l'odierno   riesaminante),   per   il  delitto  di  associazione  per
 delinquere  di  stampo  mafioso e per altri delitti specifici, reati,
 tutti, relativamente ai quali e' stato  disposto  rinvio  a  giudizio
 dinanzi  al tribunale di Castrovillari, dallo stesso giudice, come da
 decreto indicato in atti.
   Avverso detta ordinanza e' stata proposta richiesta di  riesame  da
 parte del difensore, avv. Donadio, con atto del 19 aprile 1995.
   Con  nota  in  data 4 maggio 1995 il publico ministero ha trasmesso
 gli atti.
   Alla odierna udienza  camerale,  fissata  per  la  trattazione  del
 riesame,  celebrata  in  assenza  del  p.m.,  la  difesa  ha concluso
 insistendo per la declaratoria di nullita' della ordinanza e  per  la
 revoca della stessa.
   All'esito il tribunale ha riservto la decisione.
   Rileva:
   A) E' infondata la eccezione di incompetenza del primo giudice.
   Pacifici   i   presupposti  di  fatto  (di  adozione  della  misura
 successivamente al disposto rinvio a  giudizio  e  di  disponibilita'
 degli  atti  del  processo),  e'  indubbio che la competenza rispetto
 all'esercizio del potere cautelare e' determinabile secondo la regola
 del criterio funzionale e della disponibilita' materiale e  giuridica
 del procedimento.
   Anche  se il quadro normativo in materia non sembra esauriente (dal
 momento che: a) l'art. 279 fissa la competenza in capo al giudice che
 procede; b) in materia reale, quanto al  sequestro  conservativo,  e'
 statuito,  in particolare, che "prima che gli atti siano trasmessi al
 giudice competente, provvede il giudice per le indagini  preliminari"
 e,   quanto   al  sequestro  preventivo,  che  provvede  "il  giudice
 competente a pronunciarsi  nel  merito";  c)  l'art.  91  disp.  att.
 individua  il giudice competente dalla fase degli atti preliminari al
 dibattimento in poi, fino alla pronuncia finale),  la  competenza  e'
 regolata,  per  il profilo che interessa, nel senso che, nel transito
 da un giudizio ad un altro, spetta al giudice che ha provveduto  fino
 a che mantiene la disponibilita' degli atti processuali.
   La  soluzione,  univoca  e coerente, perche' espressiva di un ovvio
 principio (ereditato, tra l'altro dal vecchio sistema), e' stata,  da
 ultimo,  ribadita  dalle  sezioni  unite  della  Cassazione (sent. n.
 34752/1994 in data 24 marzo 1995, risolutiva di conflitto tra  questo
 tribunale ed il locale ufficio g.i.p.).
   B)  Sotto  il  profilo  di "gravita' indiziaria di colpevolezza" la
 ordinanza impuganta si astiene espressamente dal motivare  in  ordine
 alla ricorrenza del detto requisito, sul presupposto (pacifico) della
 avvenuta emissione del decreto dispositivo del giudizio.
   Orbene,   e'   evidente   come  la  ordinanza,  lungi  dal  potersi
 qualificare come "nulla" ai sensi dell'art.  2972.2,  lett.  c),  del
 codice  di  rito, avvalori la correttezza (enunciativa e sostanziale)
 del  suo  porsi,  in   correlazione   con   il   fermo   orientamento
 giurisprudenziale,  secondo  il quale: "Attesa l'intervenuta modifica
 dell'art. 425 c.p.p.,   dal cui testo,  per  effetto  della  legge  8
 aprile  1993,  n.  105,  e'  stata  eliminata  la  parola  "evidente"
 (riferita alla presenza delle condizioni che, all'esito  dell'udienza
 preliminare,  debbono  dar  luogo  al proscioglimento dell'imputato),
 deve ritenersi nuovamente vigente il principio, gia' affermato  nella
 vigenza   del   codice   abrogato,  secondo  il  quale,  in  tema  di
 provvedimenti   riguardanti   la  liberta'  personale  dell'imputato,
 l'avvenuto rinvio a  giudizio  di  costui  si  pone  come  motivo  di
 preclusione in ordine alla proposizione e all'esame di ogni questione
 attinente alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza (cfr., da
 ultimo,  Cass.  sez.  V, 5 maggio 1994, n. 1652, Bonifati ed altri, a
 conferma di un orientamento prevalente della  Cassazione,  in  specie
 dopo  la abolizione del requisito della "evidenza" probatoria ai fini
 del rinvio a giudizio; cfr., anteriormente e  tra  le  piu'  recenti,
 Cass., sez. V, 17 marzo 1994, Morando e, sez. I, 12 febbraio 1994, n.
 5196, Russo).
   In  linea  con il citato indirizzo (ed in relazione a casi diversi,
 ma ugualmente significativi), le due pronunce che seguono:
     A) "Detto principio non soffre deroga nemmeno nel  caso  in  cui,
 intervenuta  sentenza  di  condanna, questa, in sede di legittimita',
 sia stata annullata  con  rinvio  per  difetto  di  motivazione,  non
 comportando  una  tale  pronuncia  il  venir  meno  degli  indizi  di
 colpevolezza  che  a  suo  tempo  avevano  determinato  il  rinvio  a
 giudizio" (Cass., sez.  I, 7 gennaio 1994, n. 5120, Bontempo Scavo);
     B)  "E'  invece  possibile,  anche  successivamente  al  rinvio a
 giudizio, rimettere in discussione il principio, allorquando  si  sia
 in  presenza  di fatti nuovi o sopravvenuti che, per cio' stesso, non
 vengono ad essere in contrasto con la intervenuta decisione"  (Cass.,
 sez. I, 4 febbraio 1994, n. 5257, Mancion).
   La  forza  dell'evidenziato  principio  trova,  dunque,  il proprio
 fondamento in due argomenti di non trascurabile rilievo:
     1) la introduzione della  modifica  legislativa  alla  regola  di
 giudizio  per  le emissione del decreto dispositivo del giudizio, con
 la conseguenza che la soppressione dell'inciso  "evidente"  (dopo  il
 verbo  "risulta")  postulando "la insussistenza di elementi denotanti
 una situazione  di  incolpevolezza  o  di  impunita'  dell'imputato",
 comporta  che  "gli  elementi di colpevolezza, la cui sussistenza per
 definizione  normativa,  costituisce  motivo  di  legittimazione  del
 provvedimento  di rinvio a giudizio, si rendono valutabili nuovamente
 soltanto all'esito delle indagini dibat-timentali";
     2) la rivalutazione della disciplina del rinvio  a  giudizio  nei
 termini   fissati   dall'art.   374   c.p.p.   abrogato,  laddove  la
 giurisprudenza era consolidata nell'escludere, una volta  emanata  la
 ordinanza  di rinvio a giudizio, qualsiasi discussione sul fondamento
 dell'accusa,  sulla  qualificazione  giuridica  del  fatto  e   sulla
 sufficienza   degli   indizi:   conseguentemente,   le  contestazioni
 contenute in tale ordinanza non  erano  modificabili  ai  fini  della
 pronuncia  sulla  liberta'  personale  e quindi non erano sindacabili
 neppure in sede di riesame del relativo provvedimento.
   La forza del principio rende necessitato il ricorso  alla  verifica
 di costituzionalita'.
   La  questione  e'  rilevante  poiche' la norma di cui si segnala la
 incostituzionalita' (il disposto  dell'art.  309  in  relazione  agli
 artt.   292.2   e  425  c.p.p.  nella  parte  in  cui,  alla  stregua
 dell'orientamento esaminato, e' consentito  omettere  la  motivazione
 sul   requisito   di   "gravita'   indiziaria   di  colpevolezza"  e,
 correlativamente,  e'  precluso  ogni  controllo,  sia  formale   che
 sostanziale, sul punto, in sede di riesame) e' di immediata e diretta
 applicazione nel procedimento.
   La questione non e' manifestamente infondata, in relazione:
     a)   al   disposto   dell'art.   13.2   Cost.,   che   pone  come
 imprescindibile  la  presenza  di   "atto   motivato   dell'autorita'
 giudiziaria",  quale  idoneo  titolo  detentivo,  mentre, nel caso in
 esame, la motivazione sarebbe ex lege superflua;
     b) al disposto dell'art. 111.2 Cost., che salvaguardia la  tutela
 di legittimita', contro i provvedimenti sulla liberta' personale, per
 "violazione   di   legge",   violazione  riscontrabile  vieppiu'  nel
 preliminare controllo di merito, eppure preclusa, nel caso in  esame,
 in  virtu'  di  una  presunzione assoluta di "probabile colpevolezza"
 insita nel decretato rinvio a giudizio;
     c) al disposto dell'art. 3 Cost., per una evidente disparita'  di
 trattamento,   in   contrasto   con   ogni   coerenza  sistematica  e
 ragionevolezza normativa, sul tema primario di tutela del diritto  di
 liberta',  tra  indagati  ed  imputati  ed  anche tra imputati, avuto
 riguardo alla fase processuale  precedente  la  decisione  finale  di
 udienza  preliminare  e  quella  immediatamente successiva, fino alla
 emissione della sentenza conclusiva del grado, in specie, laddove:
      la scelta operata dal P.M., del momento procedimentale nel quale
 azionare la pretesa cautelare, e' insindacabile e non e' motivata  da
 specifiche  ragioni  o  dalla sopravvenienza di elementi nuovi che ne
 sollecitino l'esercizio di un potere prima non ritenuto cogente;
      detta scelta si coordina con una decisione preliminare, a  tasso
 garantistico non ben definito (perche' un errore di prospettiva sulla
 utilita'   del   dibattimento   si   ripercuote  inevitabilmente  sul
 condizionato potere cautelare e senza che sia ammesso un controllo di
 merito,  ne'  sul  decreto  di  rinvio   a   giudizio,   notoriamente
 inoppugnabile,  eppure  del  tutto  immotivato  (a  differenza  della
 parallela ordinanza  dell'abrogato  regime  processuale),  ne'  sulla
 ordinanza   cautelare,   come   si   e'   gia'   notato,  altrettanto
 insindacabile  nel  primario  e  fondante  requisito  sostanziale  di
 "probabile colpevolezza";
      dal  combinarsi  delle  due  incotrollabili  potesta' (di azione
 cautelare e di provvedimento  conseguente)  puo'  derivare,  come  e'
 certo  quanto  al  caso in esame (posto che gli elementi fattuali non
 erano mutati dopo la richiesta di rinvio a giudizio),  un  verosimile
 "aggiramento"  dell'istituto  del riesame, effettivo nel controllo di
 merito solo su provvedimenti restrittivi antecedenti  al  decreto  ex
 art. 429 c.p.p.;
     d) al disposto dell'art. 24.2 Cost., perche', per le ragioni gia'
 dette,  restringendosi  la  sfera di tutela sulle censure proponibili
 avverso   il   provvedimento   cautelare    impuganto,    ne    resta
 ingiustificatamente  ed  aleatoriamente  sacrificato  il  diritto  di
 difesa in relazione al  bene  primario  della  liberta',  tanto  piu'
 tutelabile,   quanto   piu'  il  sacrificio  di  esso  si  ponga  con
 predominante   efficienza   e   senza   l'adeguato   controllo    sul
 corrispondente fondamento sostanziale di merito.
   La  involuzione  sistematica  e  di  principi,  che sempre maggiori
 lamentele suscita nella  attuazione  pratica  del  nuovo  codice,  si
 coglie  in  uno  degli  aspetti  piu'  rilevanti  in  relazione  alla
 questione agitata, dal momento che una pericolosa linea  di  tendenza
 nel senso prospettato instaurerebbe una prassi dai risvolti ingiusti,
 incontrollabili   ed   antigarantistici,  tali  da  compromettere  la
 coerenza stessa del modello processuale, con l'ovvia  conseguenza  di
 produrre risultati non di rado insoddisfacenti sul piano della tutela
 sostanziale dei valori coinvolti.