comma).  IL  TRIBUNALE
   Ha deliberato la seguente ordinanza nel procedimento iscritto al n.
 411 del registro delle impugnazioni delle misure cautelari  personali
 dell'anno  1995; in sede di rinvio alla Corte suprema di cassazione e
 sul riesame proposto da  Bruno  Francesco,  avverso  la  ordinanza  7
 ottobre  1994,  di applicazione della misura cautelare della custodia
 in carcere, emessa dal giudice per le indagini preliminari presso  il
 tribunale di Catanzaro;
   Esaminati gli atti di causa;
   Udito il relatore;
                            P r e m e t t e
   Con  ordinanza  in  data  7 ottobre 1994 il giudice per le indagini
 preliminari presso questo tribunale  emetteva,  in  fase  processuale
 (per l'intervenuto esercizio dell'azione penale mediante richiesta di
 rinvio  a  giudizio),  ordinanza di custodia cautelare in carcere nei
 confronti di 108 imputati, tra i quali Bruno Francesco, in relazione,
 quanto a costui, ai reati di cui agli artt.  416-bis  del  c.p.,  628
 cpv. del c.p. e 10, 12 e 14 della legge n. 497/1974.
    Con  ordinanza  29 ottobre 1994, questo tribunale, in accoglimento
 del proposto riesame, revocava il provvedimento restrittivo.
   La Corte suprema, adita dal  p.m.,  con  sentenza  14  marzo  1995,
 annullava la citata ordinanza, con rinvio per nuovo esame.
   Ha  evidenziato  la  Corte  "carenza  e manifesta illogicita' della
 motivazione", perche' erroneamente era stato assunto che:
     la prognosi di probabilita' colpevolistica imponeva la  "identica
 modulazione valutativa" ex art. 192 del c.p.p.;
     la  chiamata in correita' era affetta da "genetica presunzione di
 inattendibilita'";
   e perche':
     era stato omesso il vaglio dei riscontri contenuti nei  fascicoli
 allegati;
   mentre, in relazione alla specifica posizione del Bruno:
     non   era  stata  verificata  la  attendibilita'  intrinseca  del
 racconto dei collaboranti;
     non  si  era  tenuto  conto  dei   riscontri   costituiti   dalle
 dichiarazioni   "incrociate"   e   dagli   accertamenti   di  polizia
 giudiziaria;
     non si era tenuto conto della presunzione  cautelare,  nonostante
 il lungo tempo decorso dalla consumazione degli illeciti specifici.
   In proposito, aveva puntualizzato questo giudice:
     che gli indizi richiesti dall'art. 273, ai fini della adozione di
 una  misura  cautelare, divergevano da quelli indicati dall'art.  192
 del c.p.p., risolvendosi in "qualsiasi elemento  di  prova  acquisito
 agli atti";
     che  la  prognosi  di  probabilita'  colpevolistica  imponeva  la
 medesima modulazione  valutativa,  qualunque  fosse  lo  stato  della
 indagine  (e  non  invece,  rispetto  alla prova di responsabilita'),
 fermo il fatto che, nel caso in esame, le indagini erano concluse con
 la avvenuta formulazione dell'accusa;
     che la (mera) chiamata in correita' non era idonea  a  sorreggere
 il  quadro  di  gravita'  indiziaria, occorrendo anche la presenza di
 necessari riscontri;
     che le fonti dichiarative difettavano di "contenuti  espositivi",
 essendosi, tutte (e peraltro, due su quattro collaboratori), limitate
 ad  indicare  (tra  una  serie  di elenchi, nemmeno coincidenti nelle
 rispettive dichiarazioni) "il nome" del Bruno, senza nulla aggiungere
 sul "fatto partecipativo";
     che, di conseguenza, era  parso  inutile  ogni  ulteriore  vaglio
 sulla attendibilita' dei collaboratori e sulla ricerca dei riscontri,
 limitandosi,  peraltro, le allegazioni di polizia, a dati informativi
 di tipo prevenzionale.
   Occorre, ora, prendere atto che, con  decreto  4  maggio  1995,  il
 giudice  per le indagini preliminari ha disposto il rinvio a giudizio
 del Bruno per i delitti ascrittigli.
   Tanto premesso,  e  senza  alcuna  necessita'  di  rifissazione  di
 udienza camerale, per evidenti ragioni di economia processuale;
                              R i l e v a
   E' noto l'orientamento giurisprudenziale, secondo il quale: "Attesa
 l'intervenuta  modifica  dell'art. 425 del c.p.p., dal cui testo, per
 effetto della legge 8 aprile 1993, n.  105,  e'  stata  eliminata  la
 parola  "evidente"  (riferita  alla  presenza  delle  condizioni che,
 all'esito   dell'udienza   preliminare,   debbono   dar   luogo    al
 proscioglimento  dell'imputato), deve ritenersi nuovamente vigente il
 principio, gia' affermato nella vigenza del codice abrogato,  secondo
 il  quale, in tema di provvedimenti riguardanti la liberta' personale
 dell'imputato, l'avvenuto rinvio a giudizio di costui  si  pone  come
 motivo di preclusione in ordine alla proposizione e all'esame di ogni
 questione   attinente   alla   sussistenza   dei   gravi   indizi  di
 colpevolezza" cfr., da ultimo, Cass. sez. V, 5 maggio 1994, n.  1652,
 Bonifati  ed  altri,  a  conferma di un orientamento prevalente della
 Cassazione,  in  specie  dopo  la  abolizione  del  requisito   della
 "evidenza"   probatoria   ai   fini  del  rinvio  a  giudizio;  cfr.,
 anteriormente e tra le piu' recenti, Cass., sez. V,  17  marzo  1994,
 Morando e, sez. I, 12 febbraio 1994, n. 5196, Russo).
    In  linea con il citato indirizzo (ed in relazione a casi diversi,
 ma ugualmente significativi), le due proncunce che seguono:
     A) "Detto principio non soffre deroga nemmeno nel  caso  in  cui,
 intervenuta  sentenza  di  condanna, questa, in sede di legittimita',
 sia stata annullata  con  rinvio  per  difetto  di  motivazione,  non
 comportando  una  tale  pronuncia  il  venir  meno  degli  indizi  di
 colpevolezza  che  a  suo  tempo  avevano  determinato  il  rinvio  a
 giudizio" (Cass., sez.  I, 7 gennaio 1994 n. 5120, Bontempo Scavo);
     B)  "E'  invece  possibile,  anche  successivamente  al  rinvio a
 giudizio, rimettere in discussione il principio, allorquando  si  sia
 in  presenza  di fatti nuovi o sopravvenuti che, per cio' stesso, non
 vengono ad essere in contrasto con la intervenuta decisione"  (Cass.,
 sez. I, 4 febbraio 1994, n. 5257, Mancion).
   La  forza  dell'evidenziato  principio  trova,  dunque,  il proprio
 fondamento in due argomenti di non trascurabile rilievo:
     1) la introduzione della  modifica  legislativa  alla  regola  di
 giudizio  per  la emissione del decreto dispositivo del giudizio, con
 la conseguenza che la soppressione dell'inciso  "evidente"  (dopo  il
 verbo  "risulta")  postulando "la insussistenza di elementi denotanti
 una situazione  di  incolpevolezza  o  di  impunita'  dell'imputato",
 comporta  che  "gli  elementi di colpevolezza, la cui sussistenza per
 definizione  normativa,  costituisce  motivo  di  legittimazione  del
 provvedimento  di rinvio a giudizio, si rendono valutabili nuovamente
 soltanto all'esito delle indagini dibattimentali";
     2) la rivalutazione della disciplina del rinvio  a  giudizio  nei
 termini  fissati  dall'art.  374  del  c.p.p.  abrogato,  laddove  la
 giurisprudenza era consolidata nell'escludere, una volta  emanata  la
 ordinanza  di rinvio a giudizio, qualsiasi discussione sul fondamento
 dell'accusa,  sulla  qualificazione  giuridica  del  fatto  e   sulla
 sufficienza   degli   indizi:   conseguentemente,   le  contestazioni
 contenute in tale ordinanza non  erano  modificabili  ai  fini  della
 pronuncia  sulla  liberta' personle e quindi non erano sindacabili in
 sede processuale dibattimentale.
   La forza del principio rende neccessitato il ricorso alla  verifica
 di costituzionalita'.
   La  questione  e'  rilevante  poiche' la norma di cui si segnala la
 incostituzionalita' (il disposto degli artt. 311 e 309  in  relazione
 al  comb.  disp. degli artt. 425 e 429 del c.p.p. nella parte in cui,
 alla stregua dell'orientamento esaminato, e' consentito  omettere  la
 motivazione  sul  requisitio di "gravita' indiziaria di colpevolezza"
 e, correlativamente, e' precluso  ogni  controllo,  sia  formale  che
 sostanziale,  sul  punto,  in  sede di riesame e di rinvio, per nuovo
 esame) e' di immediata e diretta applicazione nel procedimento.
   La questione non e' manifestamente infondata.
   La riforma del 1993, abolitiva del requisito della "evidenza" posto
 dall'art. 425  del  c.p.p.,  non  ha,  in  effetti,  delineato  alcun
 parametro  sui poteri valutativi del giudice a conclusione della fase
 processuale preliminare.
   Non  solo  nessun  dato  normativo  puo'   avallare   la   asserita
 coincidenza  del criterio della gravita' indiziaria anche ai fini del
 rinvio a giudizio, quanto vi ostano precisi,  e  contrari,  argomenti
 sistematici,  all'interno  del  nuovo  codice  e nel raffronto con il
 vecchio regime.
   1.  -  Incontroverso  che  la  valutazione del giudice dell'udienza
 preliminare non puo' fondarsi "sugli stessi prametri delibativi  alla
 stregua  dei quali il giudice del dibattimento e' chiamato a decidere
 se pronunciare sentenza di  proscioglimento  o  di  condanna"  (cfr.,
 testualmente,  Corte costituzionale sentenza n. 82/1993), ne consegue
 che il criterio decisorio preliminare  non  puo'  individuarsi  nella
 "probabile  condanna  dell'imputato",  poiche'  la  prova  "idonea  a
 sostenere una futura condanna" e' soltanto  quella  che  si  presenti
 "non  insufficiente"  (in  relazione alla completzza investigativa) e
 "non  contraddittoria"  (in   relazione   al   profilo   valutativo),
 imponendo,  al  contrario,  al  suddetto  giudice, nel primo caso (di
 prova  "non  sufficiente"),   la   sollecitazione   ad   integrazione
 probatoria  ex  art.  422  del  c.p.p.    e,  nel  secondo (di "prova
 contraddittoria"),  la  emanazione  di  sentenza  di  non   luogo   a
 procedere.
   Invece,  la armonizzazione del sistema, nella combinata valutazione
 dei criteri sottostanti alle disposizioni di cui agli artt. 429,  425
 e  409 del c.p.p. e 125 della disp. att. stesso codice, imporrebbe di
 ritenere che il rinvio a giudizio sia  legittimato  dalla  "idoneita'
 degli  elementi  acquisiti  nelle indagini preliminari a sostenere la
 accusa  nel  giudizio",  con  la  esclusione  di  una   prognosi   di
 colpevolezza.
   2.  -  Non  puo'  reggere,  parallelamente, la assimilazione con il
 vecchio "proscioglimento  istruttorio",  sia  perche'  la  istruzione
 "doveva"  essere  completa, sia perche', nel dubbio, era privilegiata
 la formula favorevole al giudicabile, secondo gli schemi propri di un
 superato modello inquisitorio.
   Oltretutto, la "gravita'  indiziaria  di  colpevolezza"  impone  un
 vaglio  probatorio  critico  di  tasso  piu'  elevato  rispetto  alla
 "sufficienza probatoria", all'epoca reputata idonea per il  rinvio  a
 giudizio.
   3.  -  Il  procedimento  in  materia  cautelare  personale e' stato
 concepito in termini di autonomia rispetto a quello di merito, per la
 privilegiata garanzia del bene compresso (della liberta',  o  meglio,
 delle liberta' della persona) e per la specificita' valutativa.
   Nulla  esclude  che,  nel  rispetto  della separazione dei giudizi,
 l'imputato sia rinviato a giudizio in stato di liberta'.
   La  questione  si  prospetta,  come  parametro  costituzionale,  in
 relazione:
     a)  al  disposto dell'art. 13, secondo comma, della Costituzione,
 che  pone  come  imprescindibile  la  presenza  di   "atto   motivato
 dell'autorita'  giudiziaria", quale titolo idoneo per la costituzione
 ed il mantenimento dello stato detentivo, mentre, nel caso in  esame,
 la   motivazione   sul  fondante  requisito  (della  verifica)  della
 sussistenza della "gravita' indiziaria di  colpevolezza"  sarebbe  ex
 lege superflua;
     b)  al disposto dell'art. 111, secondo comma, della Costituzione,
 che salvagurada la tutela di  legittimita',  contro  i  provvedimenti
 sulla  liberta'  personale,  per  "violazione  di  legge", violazione
 riscontrabile vieppiu' nel preliminare controllo  di  merito,  eppure
 preclusa, nel caso in esame, in virtu' di una presunzione assoluta di
 "probabile colpevolezza" insita nel decretato rinvio a giudizio;
     c)  al  disposto dell'art. 3 della Costituzione, per una evidente
 disparita' di trattamento, in cotrasto con ogni coerenza  sistematica
 e  ragionevolezza  normativa, sul tema primario di tutela del diritto
 di liberta', tra indagati ed imputati  e,  per  quel  che  interessa,
 anche  tra  imputati, avuto riguardo alla fase processuale precedente
 la decisione finale di udienza preliminare  e  quella  immediatamente
 successiva,  fino alla emissione della sentenza conclusiva del grado,
 in specie, laddove:
      la scelta operata dal p.m., del momento precedimentale nel quale
 azionare la pretesa cautelare, e' insindacabile e non e' motivata  da
 specifiche  ragioni  o  dalla sopravvenienza di elementi nuovi che ne
 sollecitino l'esercizio di un potere prima non ritenuto cogente;
      detta scelta si coordina con una decisione preliminare, a  tasso
 garantistico non ben definito (perche' un errore di prospettiva sulla
 utilita'   del   dibattimento   si   ripercuote  inevitabilmente  sul
 condizionato potere cautelare e senza che sia ammesso un controllo di
 merito,  ne'  sul  decreto  di   rinvio      giudizio,   notoriamente
 inoppugnabile,  eppure  del  tutto  immotivato  (a  differenza  della
 parallela ordinanza  dell'abrogato  regime  processuale),  ne'  sulla
 ordinanza   cautelare,   come   si   e'   gia'   notato,  altrettanto
 insindacabile  nel  primario  e  fondante  requisito  sostanziale  di
 "probabile colpevolezza";
     d)  al  disposto dell'art. 24, secondo comma, della Costituzione,
 perche', per le ragioni gia' dette, restringendosi la sfera di tutela
 sulle  censure  proponibili  avverso   il   provvedimento   cautelare
 impuganto, ne resta ingiustificatamente ed aleatoriamente sacrificato
 il  diritto  di  difesa in relazione al bene primario della liberta',
 tanto piu' tutelabile, quanto piu' il sacrificio di esso si ponga con
 predominante   efficienza   e   senza   l'adeguato   controllo    sul
 corrispondente fondamento sostanziale di merito.