IL TRIBUNALE
   Ha deliberato la seguente ordinanza nel procedimento iscritto al n.
 334  del registro delle impugnazioni delle misure cautelari personali
 dell'anno 1995, riservato per la decisione alla udienza camerale  del
 27  giugno  1995;  sull'appello  proposto nell'interesse di Iazzolino
 Sergio, nato a Sersale il 23 agosto 1965 ed in atto  detenuto  presso
 la  casa  circondariale di Catanzaro, avverso la ordinanza di rigetto
 della istanza di revoca della  misura  cautelare  della  custodia  in
 carcere,  emessa  dal  giudice  per le indagini preliminari presso il
 tribunale di Catanzaro in data 13 aprile 1995;
   Esaminati gli atti di causa;
   Udito il relatore;
                            P R E M E T T E
   Avverso la ordinanza citata e'  stato  proposto  appello  da  parte
 della difesa, con atto del 5 aprile 1995.
   Con  nota in data 22 giugno 1995 il pubblico ministero ha segnalato
 l'avvenuto rinvio a giudizio dell 'imputato.
   Alla odierna udienza camerale nessuno e' comparso.
   All'esito il tribunale ha riservato la decisione.
                              R I L E V A
   Trattasi di gravame proposto nel medesimo processo in relazione  al
 quale,  e per analoga posizione, e' stata gia' sollevata questione di
 costituzionalita'.
   Poiche' gli argomenti  di  diritto  sono  identici  e'  sufficiente
 richiamare  la ordinanza di questo ufficio in data 3 giugno 1995, che
 si allega come parte integrante.
                               P. Q. M.
   Letti ed  applicati  gli  artt.  1  della  legge  costituzionale  9
 febbraio 1948, n. 1 e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
   Dichiara  rilevante  nel  presente  giudizio  e  non manifestamente
 infondata la questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  310
 c.p.p.,  in  relazione  all'art.  429  c.p.p.,  nella parte in cui e'
 precluso, dopo il decretato rinvio a  giudizio,  il  controllo  sulla
 persistenza del requisito di "gravita' indiziaria di colpevolezza" ai
 fini  del  mantenimento del regime cautelare, in relazione agli artt.
 3, 24, secondo comma e 111, secondo comma, della Costituzione;
   Ordina che, a cura della cancelleria,  la  presente  ordinanza  sia
 notificata  al  Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai
 Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera  dei  deputati,
 oltre che alle parti;
   Sospende   il   procedimento   in  corso  e  dispone  la  immediata
 trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
   Cosi' deciso in Catanzaro, addi' 27 giugno 1995.
 Il presidente estensore: BAUDI
                                 ----
 IL TRIBUNALE
   Ha deliberato la seguente ordinanza nel procedimento iscritto al n.
 255 del registro delle impugnazioni delle misure cautelari  personali
 dell'anno  1995, riservato per la decisione alla udienza camerale del
 30 maggio 1995;
   Sull'appello proposto nell'interesse di Serretti  Antonio,  nato  a
 Cutro   il  23  marzo  1952  ed  in  atto  detenuto  presso  la  casa
 circondariale di Catanzaro, avverso la  ordinanza  di  rigetto  della
 istanza  di  revoca della misura cautelare della custodia in carcere,
 emessa dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di
 Catanzaro in data 27 marzo 1995;
   Sentiti i difensori, avv.ti Luigi Ciambrone  e  Salvatore  Staiano,
 del foro di Catanzaro;
   Esaminati gli atti di causa;
   Udito il relatore;
                            P R E M E T T E
   Avverso  la  ordinanza  sopra  citata  e' stato proposto appello da
 parte della difesa, con atto del 4 aprile 1995.
   Con nota in data 8 aprile 1995 il pubblico ministero  ha  trasmesso
 gli  atti  e,  in  data  29  maggio,  ha  trasmesso  copia di decreto
 dispositivo del giudizio del 16 maggio 1995, anche nei confronti  del
 Serretti.
   Alla  odierna  udienza  camerale,  fissata  per  la trattazione del
 gravame, celebrata in assenza del p.m.,  la  difesa  ha  eccepito  la
 inutilizzabilita'  della  produzione  del p.m., perche' tardiva e non
 rilevante sul piano probatorio, e, nel merito, ha concluso insistendo
 per l'accoglimento dell'appello.
   All'esito il Tribunale ha riservato la decisione.
                              R I L E V A
   La produzione del p.m. e' legittimamente utilizzabile, sia  per  la
 ravvisata  applicabilita'  del disposto dell'art. 603 c.p.p. anche in
 materia di appello cautelare, sia, soprattutto, perche' si tratta  di
 atto procedimentale sopravvenuto
   L'appellante   ha   dedotto  che  l'impianto  indiziario  si  regge
 unicamente  sulle  dichiarazioni  del  collaboratore  di   giustizia,
 Santise   Fortunato,  non  soltanto  rimaste  prive  di  verifiche  a
 riscontro, quanto compromesse dalla ritenuta (e sopravvenuta,  quindi
 allegata  come  "elemento  nuovo")  inattendibilita' intrinseca della
 fonte, comprovata dalle risultanze  di  altre  ordinanze  in  materia
 cautelare, prodotte a sostegno della originaria istanza di revoca.
   Occorre,  pero',  prendere atto che, nel frattempo, con decreto del
 16 maggio 1995, l'ufficio del giudice  per  le  indagini  preliminari
 presso  questo tribunale ha disposto il rinvio a giudizio dell'Arena,
 assieme ad altri imputati.
   E' noto, in proposito, l'orientamento giurisprudenziale, secondo il
 quale: "Attesa l'intervenuta modifica dell'art. 425 c.p.p.,  dal  cui
 testo,  per  effetto  della  legge  8  aprile  1993  n. 105, e' stata
 eliminata  la  parola  "evidente"  (riferita  alla   presenza   delle
 condizioni che, all'esito dell'udienza preliminare, debbono dar luogo
 al  proscioglimento dell'imputato), deve ritenersi nuovamente vigente
 il  principio,  gia'  affermato  nella  vigenza  del codice abrogato,
 secondo il quale, in tema di provvedimenti  riguardanti  la  liberta'
 personale  dell'imputato,  l'avvenuto  rinvio a giudizio di costui si
 pone come  motivo  di  preclusione  in  ordine  alla  proposizione  e
 all'esame  di  ogni  questione  attinente  alla sussistenza dei gravi
 indizi di colpevolezza" (cfr., da ultimo, Cass.,  sez.  I,  sent.  11
 ottobre  1994  n.  4446,  Falcone  e,  sez. V, 5 maggio 1994 n. 1652,
 Bonifati ed altri, a conferma di  un  orientamento  prevalente  della
 Cassazione,   in  specie  dopo  la  abolizione  del  requisito  della
 "evidenza"  probatoria  ai  fini  del  rinvio   a   giudizio;   cfr.,
 anteriormente  e  tra  le piu' recenti, Cass., sez. V, 17 marzo 1994,
 Morando e, sez. I, 12 febbraio 1994 n. 5196, Russo).
   In linea con il citato indirizzo (ed in relazione a  casi  diversi,
 ma ugualmente significativi), le due pronunce che seguono:
     A)  "Detto  principio  non soffre deroga nemmeno nel caso in cui,
 intervenuta sentenza di condanna, questa, in  sede  di  legittimita',
 sia  stata  annullata  con  rinvio  per  difetto  di motivazione, non
 comportando  una  tale  pronuncia  il  venir  meno  degli  indizi  di
 colpevolezza  che  a  suo  tempo  avevano  determinato  il  rinvio  a
 giudizio" (Cass., sez.  I, 7 gennaio 1994 n. 5120, Bontempo Scavo);
     B) "E'  invece  possibile,  anche  successivamente  al  rinvio  a
 giudizio,  rimettere  in discussione il principio, allorquando si sia
 in presenza di fatti nuovi o sopravvenuti che, per cio'  stesso,  non
 vengono  ad essere in contrasto con la intervenuta decisione" (Cass.,
 sez. I, 4 febbraio 1994 n. 5257, Mancion).
   La forza  dell'evidenziato  principio  trova,  dunque,  il  proprio
 fondamento in due argomenti di non trascurabile rilievo:
     1)  la  introduzione  della  modifica  legislativa alla regola di
 giudizio per la emissione del decreto dispositivo del  giudizio,  con
 la  conseguenza  che  la soppressione dell'inciso "evidente" (dopo il
 verbo "risulta") postulando "la insussistenza di  elementi  denotanti
 una  situazione  di  incolpevolezza  o  di  impunita' dell'imputato",
 comporta che "gli elementi di colpevolezza, la  cui  sussistenza  per
 definizione  normativa,  costituisce  motivo  di  legittimazione  del
 provvedimento di rinvio a giudizio, si rendono valutabili  nuovamente
 soltanto all'esito delle indagini dibattimentali";
     2)  la  rivalutazione  della disciplina del rinvio a giudizio nei
 termini  fissati  dall'art.   374   c.p.p.   abrogato,   laddove   la
 giurisprudenza  era  consolidata nell'escludere, una volta emanata la
 ordinanza di rinvio a giudizio, qualsiasi discussione sul  fondamento
 dell'accusa,   sulla  qualificazione  giuridica  del  fatto  e  sulla
 sufficienza  degli   indizi:   conseguentemente,   le   contestazioni
 contenute  in  tale  ordinanza  non  erano modificabili ai fini della
 pronuncia sulla liberta' personale.
   La forza del principio, nel senso che l'apprezzamento degli  indizi
 deve considerarsi rimesso definitivamente al giudice del dibattimento
 nei  suoi  vari  gradi, rende necessitato il ricorso alla verifica di
 costituzionalita'.
   La questione e' rilevante poiche' la norma di  cui  si  segnala  la
 incostituzionalita'  (il disposto dell'art. 310 in relazione all'art.
 429  c.p.p.  nella  parte  in  cui,  alla  stregua  dell'orientamento
 esaminato,  e'  precluso ogni controllo, sia formale che sostanziale,
 in sede di appello cautelare circa la persistenza dei gravi indizi di
 colpevolezza, dopo il rinvio a giudizio decretato) e' di immediata  e
 diretta applicazione nel procedimento.
   Inoltre,  la  incidenza  e'  di  particolare  pregnanza, atteso che
 l'intervenuto rinvio  precluderebbe  l'esame  del  merito  cautelare,
 fatto  valere  in  sede di appello, e fondato su dati probatori nuovi
 idonei alla revisione del quadro indiziario, rispetto  ai  quali  non
 risultano  addotte  ulteriori  contrapposte  acquisizioni,  se non il
 (mero) fatto processuale dell'adottato decreto ex art. 429 del codice
 di rito penale.
   La questione non e' manifestamente infondata.
   La riforma del 1993, abolitiva del requisito della "evidenza" posto
 dall'art. 425 c.p.p., non ha, in effetti, delineato  alcun  parametro
 sui   poteri   valutativi   del  giudice  a  conclusione  della  fase
 processuale preliminare.
   Non  solo  nessun  dato  normativo  puo'   avallare   la   asserita
 coincidenza  del criterio della gravita' indiziaria anche ai fini del
 rinvio a giudizio, quanto vi ostano precisi,  e  contrari,  argomenti
 sistematici,  all'interno  del  nuovo  codice  e nel raffronto con il
 vecchio regime.
   1. - Incontroverso che  la  valutazione  del  giudice  dell'udienza
 preliminare non puo' fondarsi "sugli stessi parametri delibativi alla
 stregua  dei quali il giudice del dibattimento e' chiamato a decidere
 se pronunciare sentenza di  proscioglimento  o  di  condanna"  (cfr.,
 testualmente,  Corte costituzionale sentenza n. 82/1993), ne consegue
 che il criterio decisorio preliminare  non  puo'  individuarsi  nella
 "probabile  condanna  dell'imputato",  poiche'  la  prova  "idonea  a
 sostenere una futura condanna" e' soltanto  quella  che  si  presenti
 "non  insufficiente"  (in relazione alla completezza investigativa) e
 "non contraddittoria" (n relazione al profilo valutativo), imponendo,
 al contrario, al suddetto giudice, nel  primo  caso  (di  prova  "non
 sufficiente"),  la  sollecitazione ad integrazione probatoria ex art.
 422 c.p.p. e, nel secondo (di "prova contraddittoria"), la emanazione
 di sentenza di non luogo a procedere.
   Invece, la armonizzazione del sistema, nella combinata  valutazione
 dei  criteri sottostanti alle disposizioni di cui agli artt. 429, 425
 e 409 del c.p.p. e  125  disp.  att.  stesso  codice,  imporrebbe  di
 ritenere  che  il  rinvio a giudizio sia legittimato dalla "idoneita'
 degli elementi acquisiti nelle indagini preliminari  a  sostenere  la
 accusa   nel   giudizio",  con  la  esclusione  di  una  prognosi  di
 colpevolezza.
   2. - Non puo' reggere,  parallelamente,  la  assimilazione  con  il
 vecchio  "proscioglimento  istruttorio",  sia  perche'  la istruzione
 "doveva" essere completa, sia perche', nel dubbio,  era  privilegiata
 la formula favorevole al giudicabile, secondo gli schemi propri di un
 superato modello inquisitorio.
   Oltretutto,  la  "gravita'  indiziaria  di  colpevolezza" impone un
 vaglio  probatorio  critico  di  tasso  piu'  elevato  rispetto  alla
 "sufficienza  probatoria",  all'epoca reputata idonea per il rinvio a
 giudizio.
    3. - Il procedimento  in  materia  cautelare  personale  e'  stato
 concepito in termini di autonomia rispetto a quello di merito, per la
 privilegiata  garanzia  del bene compresso (della liberta', o meglio,
 delle liberta' della persona) e per la specificita' valutativa.
    Nulla  esclude  che,  nel  rispetto della separazione dei giudizi,
 l'imputato sia rinviato a giudizio in stato di  liberta'.
   Si indicano, a parametro:
     a) il disposto del'art. 111.2 della Costituzione, che salvaguarda
 la tutela di legittimita',  contro  i  provvedimenti  sulla  liberta'
 personale,   per  "violazione  di  legge",  violazione  riscontrabile
 vieppiu' nel preliminare controllo di merito,  eppure  preclusa,  nel
 caso  in esame, in virtu' di una presunzione (insuperabile allo stato
 degli atti e preclusiva della rilevanza di ogni intermedia  evenienza
 addotta dalla parte a sostegno dell'interposto gravame) di "probabile
 colpevolezza", insita (nelle more) decretato rinvio a giudizio;
     b)  il  disposto dell'art. 3 della Costituzione, per una evidente
 disparita' di trattamento, in contrasto con ogni coerenza sistematica
 e ragionevolezza normativa, sul tema primario di tutela  del  diritto
 di  liberta',  tra  indagati ed imputati ed anche tra imputati, avuto
 riguardo alla fase processuale  precedente  la  decisione  finale  di
 udienza  preliminare  e  quella  immediatamente successiva, fino alla
 emissione della sentenza conclusiva del grado, in specie, laddove:
      detta scelta si coordina con una decisione preliminare, a  tasso
 garantistico non ben definito, perche' un errore di prospettiva sulla
 utilita'   del   dibattimento   si   ripercuote  inevitabilmente  sul
 condizionato potere cautelare e senza che sia ammesso un controllo di
 merito, nemmeno  sul  decreto  di  rinvio  a  giudizio,  notoriamente
 inoppugnabile,  eppure  del  tutto  immotivato  (a  differenza  della
 parallela ordinanza dell'abrogato regime processuale);
      l'incidenza del decreto dispositivo del giudizio  si  pone  come
 fatto  occasionale  e  sopravvenuto,  rispetto  a  giudizi  cautelari
 pendenti, come quello in esame;
     c) il disposto dell'art. 24.2 della Costituzione, perche', per le
 ragioni gia' dette, restringendosi la sfera di tutela  sulle  censure
 proponibili  avverso  il  provvedimento cautelare impugnato, ne resta
 ingiustificatamente  ed  aleatoriamente  sacrificato  il  diritto  di
 difesa  in  relazione  al  bene  primario  della liberta', tanto piu'
 tutelabile,  quanto  piu'  il  sacrificio  di  esso  si   ponga   con
 predominante    efficienza   e   senza   l'adeguato   controllo   sul
 corrispondente fondamento sostanziale di merito.
   Pertanto, il procedimento va sospeso con ogni conseguenza di legge.