IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
   Letti  gli atti del procedimento n. 6644/4/93/RG e n. 6064/93/GIP a
 carico di La Pasta e Narretti,  attualmente  detenuti  in  ordine  ai
 reati  loro  ascritti (articoli 416 e 628 del c.p. e violazioni legge
 armi ed altro);
   Preso atto che gli stessi hanno avanzato  nell'udienza  preliminare
 del  23  ottobre  1995 istanza di ammissione al giudizio abbreviato e
 che il p.m. ha prestato il proprio consenso;
    Atteso  che  questo  g.i.p.,  avendo  emesso  nei  loro  confronti
 ordinanze  di custodia cautelare in carcere, rinviava il procedimento
 alla  presente  udienza  al  fine  di  ben  valutare  quali  riflessi
 proceduralmente   rilevanti   per   lo   stesso  potessero  avere  le
 conclusioni raggiunte dalla Corte costituzionale  nella  sentenza  n.
 432/1995  (con  cui  si  dichiarava  l'illegittimita'  costituzionale
 dell'art. 34/2 del c.p.p. nella parte in  cui  non  prevede  che  non
 possa  partecipare  al  giudizio  dibattimentale  il  giudice  per le
 indagini  preliminari  che  abbia  applicato  una  misura   cautelare
 personale nei confronti dell'imputato);
   Sentite  all'udienza  odierna  le  parti  che  concludevano come da
 verbale in atti;
                             O s s e r v a
   La questione che questo g.i.p. ritiene di sollevare di ufficio  (ex
 art.   23,   terzo  comma,  legge  n.  87/1953)  attiene  all'aspetto
 riguardante la partecipazione al giudizio abbreviato del  g.i.p.  che
 abbia  emesso misure cautelari personali nei confronti degli imputati
 richiedenti il citato rito alternativo.
   La  questione  e'  rilevante  nel  caso  di  specie  in  quanto  il
 sottoscritto ha emesso misure cautelari personali nei confronti degli
 imputati  detenuti  richiedenti  il giudizio abbreviato (giudizio che
 dovra' svolgersi in quanto il p.m. ha prestato il proprio consenso  e
 gli  imputati hanno pienamente ammesso tutti i fatti loro ascritti) e
 la stessa si pone concretamente a seguito della citata sentenza della
 Corte costituzionale n. 432/1995.
   Nella motivazione di tale sentenza infatti la Corte costituzionale,
 decidendo su caso analogo  (incompatibilita'  del  g.i.p.  che  abbia
 emesso  misura  cautelare personale ad esercitare funzioni di giudice
 del dibattimento), formula valutazioni  che  non  possono  che  avere
 riflessi anche nel presente procedimento.
   Ed invero:
     si afferma che l'art. 34 "mira ad impedire ... che la valutazione
 conclusiva  sulla  responsabilita' dell'imputato sia o possa apparire
 condizionata dalla cosiddetta forza  della  prevenzione  e  cioe'  da
 quella  naturale  tendenza  a  mantenere  un giudizio gia' assunto in
 altri  momenti  decisionali  dello  stesso  procedimento"  (con  cio'
 confermando  assunti  gia'  evidenziati  in  precedenti  decisioni  -
 sentenze nn. 124/1992 e 186/1992 -);
     si rileva che "le  valutazioni  che  il  giudice  delle  indagini
 preliminari  deve compiere allorquando disponga una misura cautelare"
 comportano "la formulazione di un giudizio non di  mera  legittimita'
 ma di merito
  ..  giudizio  analogo  ai fini che qui interessano alle ipotesi gia'
 esaminate da questa Corte nelle sentenze nn. 124  e  186  del  1992",
 giudizio  cosi'  "incisivo" e pregnante (anche alla luce delle ultime
 modifiche legislative - legge n. 332/1995 -)  da  ritenere  possibile
 che  proprio  questi  "apprezzamenti  sui  risultati  delle  indagini
 preliminari determinino un'anticipazione di giudizio suscettibile  di
 minare l'imparzialita' del giudice";
     si  richiamano  casi  analoghi (incompatibilita' ad "adottare una
 decisione conclusiva sulla responsabilita' dell'imputato" del  g.i.p.
 che  abbia  rigettato la richiesta di patteggiamento della pena o che
 abbia ordinato al p.m. di formulare l'imputazione) e si assume che in
 tutti questi casi l'oggetto delle valutazioni che  hanno  indotto  il
 g.i.p.  ad  adottare  tali  provvedimenti  riguarda  sempre "elementi
 probatori  che  solo  all'esito  del  dibattimento  verranno  o  meno
 ritenuti  prove" e che, nonostante cio' (nonostante la differenza tra
 la fase delle indagini preliminari e quella del  dibattimento  e  del
 "giudizio",    differenza    giudicata    "solo    eventuale")   tali
 incompatibilita' sono state ritenute sussistenti.
   Ebbene, se tutto cio' e' vero e se si riflette  sul  fatto  che  in
 altre  sentenze  (nn. 401/1991 e 439/1993) la Corte costituzionale ha
 espressamente  precisato  che  la  locuzione   "giudizio"   contenuta
 nell'art. 34 del c.p.p. e' di per se' tale da ricomprendere qualsiasi
 tipo  di  giudizio,  cioe'  un processo che in base ad un esame delle
 prove pervenga ad una decisione di merito,  compreso  quello  che  si
 svolge  con  il  rito  abbreviato  e se ci si sofferma anche su altro
 passaggio della motivazione della sentenza n. 432/1995 (quello in cui
 si dice che anche proprio nel "giudizio abbreviato... e' ancora  piu'
 evidente che i medesimi elementi" posti a base della misura cautelare
 "che   nella  fase  delle  indagini  erano  semplici  indizi  vengono
 sostanzialmente apprezzati come prove"), puo' allora davvero a questo
 punto fondatamente concludersi che nella motivazione  della  sentenza
 n.  432/1995  sono  contenute  considerazioni  che implicitamente (in
 realta' poi nemmeno tanto implicitamente) giungono ad affermare anche
 l'incompatibilita'  del  g.i.p. che ebbe ad emettere misure cautelari
 nei confronti dell'imputato  a  partecipare  al  giudizio  abbreviato
 dallo stesso richiesto.
   Si  vuol  dire  che  in  sostanza  i principi sui quali la Corte ha
 fondato la propria decisione n. 432/1995 rendono inevitabile (a  meno
 di voler ritenere la stessa tamquam non esset) e comunque quanto meno
 doverosa    la    prospettazione    alla   stessa   del   dubbio   di
 costituzionalita' dell'art.    34,  comma  secondo,  del  c.p.p.  con
 riferimento  agli  articoli  3,  comma primo, e 24 della Costituzione
 nella parte in cui non prevede che non possa  procedere  al  giudizio
 abbreviato il giudice per le indagini preliminari che abbia applicato
 una misura cautelare personale nei confronti dell'imputato.
   E'  per  questi motivi che questo g.i.p. ritiene doveroso sollevare
 il citato problema  di  incostituzionalita',  pur  non  nascondendosi
 forti  perplessita' da un lato su alcuni aspetti della questione (non
 e' proprio alla luce dell'art.  7-ter  dell'ordinamento  giudiziario,
 introdotto  dal  d.P.R. n. 449/1989, che viene individuato il giudice
 del  giudizio  abbreviato  nello  stesso  giudice   che   ha   emesso
 provvedimenti  nel  corso  delle  indagini  preliminari in virtu' del
 principio della "concentrazione"? e non si finisce  col  giungere  ad
 un'incompatibilita' riconducibile a decisioni del tutto eventuali del
 p.m.  - richiesta mis. caut. e poi consenso al rito -? e se nel corso
 delle  indagini  preliminari  il  g.i.p.,  dopo  aver  emesso  misura
 cautelare  nella  prima fase delle stesse, abbia poi preso atto degli
 ulteriori esiti investigativi, a cio' eventualmente sollecitato dalla
 difesa, ed abbia provveduto a scarcerare l'imputato, esprimendo cosi'
 giudizi diversi sulla gravita'  degli  indizi?)  e  dall'altro  sulle
 conseguenze  che  potrebbero  scaturire  da  una  tale  decisione  di
 illegittimita' costituzionale (incompatibilita' anche per  il  g.i.p.
 che, emessa misura cautelare, debba in udienza preliminare "devolvere
 la  regiudicanda  alla  sede  processuale"  - sentenza n. 453/1994 -?
 incompatibilita' a giudicare del collegio che viene, nel processo per
 direttissima, a convalidare l'arresto ed a conseguentemente  emettere
 misura    cautelare?    con   profili   di   incertezza   in   ordine
 all'individuazione del  giudice  naturale  precostituito  per  legge,
 consentendo  alla  mera  discrezionalita'  del  p.m.  o  dello stesso
 imputato, che richieda o meno il rito in  esame,  di  determinare  di
 fatto situazioni di incompatibilita').
   E'  per tali considerazioni che si chiede espressamente che codesta
 Corte, alla luce del disposto di cui all'art. 27, ultima parte, della
 legge  n.  87/1953,  dichiari  quali  sono  le   altre   disposizioni
 legislative  la  cui  illegittimita'  derivi  come  conseguenza della
 decisione adottata.