IL TRIBUNALE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile iscritta al
 numero  di  ruolo  n.  11/1995  r.g.a.c./reclami vertente tra Iervasi
 Antonio (rappresentato e difeso dal  dott.  proc.  A.  De  Pasquale),
 ricorrente  e  Cicerale  Maria  (rappresentata  e difesa dall'avv. A.
 Tenuta), resistente.
                           Premesso in fatto
     Che gli odierni ricorrenti proponevano in  data  29  maggio  1995
 reclamo  ex  art.  669-terdecies  c.p.c. avverso ordinanza di rigetto
 resa dal pretore di Cosenza in data 3 maggio  1995  e  notificata  19
 maggio 1995;
     che   il   resistente,   costituendosi   in   giudizio,  eccepiva
 preliminarmente la inammissibilita' del  reclamo,  ritenendo  che  la
 materia   possessoria  e  relativa  disciplina  procedurale  non  sia
 assoggettabile alle innovazioni di cui all'art. 669-terdecies c.p.c.;
     che all'udienza del 6 luglio 1995 il ricorrente concludeva per la
 ammissibilita'  del  reclamo,   ritenendo   la   reclamabilita'   dei
 provvedimenti  possessori  e, in via subordinata, sollevava questione
 di costituzionalita' dell'art. 703 del c.p.c. nella parte in cui  non
 estende ai procedimenti possessori anche l'art. 669-terdecies.
                          Premesso in diritto
   Che l'azione proposta dall'odierno ricorrente davanti al pretore di
 Cosenza  possa  essere  qualificata senza alcun dubbio come azione di
 reintegrazione ai sensi dell'art. 1168 del Codice civile,  avendo  lo
 stesso   lamentato   il  ripristino  di  una  situazione  possessoria
 illecitamente violata.
   Ritenuto  che,  a  parere  del  Tribunale,  il  reclamo   ex   art.
 669-terdecies   c.p.c.  non  e'  esperibile  contro  i  provvedimenti
 possessori   interdittali   per    i    seguenti    motivi:    l'art.
 669-quatordecies  c.p.c  precisa  che "le disposizioni della presente
 sezione si applicano ai provvedimenti previsti nelle sezioni II, III,
 e V di questo capo, nonche' - in  quanto  compatibili  -  agli  altri
 provvedimenti  cautelari  previsti  dal  Codice  civile e dalle leggi
 speciali".
   Poiche' i procedimenti possessori sono  disciplinati  dall'autonomo
 capo  IV  del  libro  IV  del  c.p.c.  - che non viene richiamato dal
 menzionato articolo - agli stessi possono evidentemente applicarsi le
 disposizioni  di  cui  alla  sezione  1  relativa  ai   "procedimenti
 cautelari in generale" (art. 669-bis e segg. c.p.c.).
   Residua  il problema se tale applicabilita' (peraltro non integrale
 ma solo nei limiti di compatibilita') possa discendere dalla natura -
 per ipotesi - cautelare  dei  procedimenti  possessori  ed  accertare
 preliminarmente  se  i  procedimenti possessori abbiano o meno natura
 cautelare.  In  relazione  alla   natura   cautelare   dei   predetti
 procedimenti - pur a fronte del dato significativo della collocazione
 della disciplina in un capo diverso ed autonomo rispetto a quello sui
 provvedimenti cautelari - esistono opinioni contrastanti.
   Il   tema   e'   stato  ampiamente  dibattuto  in  dottrina  ed  in
 giurisprudenza:   da parte di alcuni si  propende  per  la  tesi  dei
 procedimenti     "sommari-semplificativi-esecutivi",     giustificati
 dall'urgenza  di  intervento  per  ripristinare  uno  stato  di  cose
 alterato,  senza  previo  accertamento  dello stato di diritto (Corte
 costituzionale  n.  25/1992  che   precisa   trattarsi   di   "tutela
 interinale,  transeunte  e  reversibile  (che) non preclude la tutela
 giurisdizionale del diritto del convenuto ma soltanto  la  differisce
 ad un giudizio successivo").
   In  dottrina,  comunque,  si e' concordi, sul piano generale, che i
 provvedimenti cautelari sono (solo) quelli che si caratterizzano:  a)
 dalla   funzione   di   assicurare   l'effettivita'   della    tutela
 giurisdizionale,  neutralizzando  nel  frattempo  il  pericolo  di un
 pregiudizio durante il tempo necessario alla durata del processo;  b)
 dalla  provvisorieta',  in quanto non idonei a costituire giudicato o
 comportare   una   analoga   disciplina   definitiva   del   rapporto
 controverso;  c) dalla strumentalita', nel senso che servono solo per
 assicurare gli effetti della  decisione  sul  merito,  anticipando  o
 conservando la situazione di fatto.
   Secondo   la   dottrina  prevalente  questi  tre  requisiti  devono
 concorrere tutti per individuare il provvedimento cautelare, che  non
 prescinde  neppure dalla necessaria ricorrenza dei generali requisiti
 del fumus boni iuris e del periculum in mora.
   La Corte di cassazione e' ormai attestata (Cass. n.  831/1993)  nel
 senso  che le azioni possessorie (al contrario di quelle nunciatorie)
 non hanno natura cautelare, precisando  che  le  stesse  "sono  state
 strutturate  in  guisa  da  soddisfare  la duplice esigenza di ordine
 pubblico (fondamentale fin dalle origini storiche  dell'istituto),  e
 di  assicurare  al  soggetto,  cui  fa  capo  una situazione di fatto
 apparentemente corrispondente ad una situazione di diritto che  venga
 elisa  da una azione violenta o clandestina o turbata da molestie, il
 sollecito ed integrale ripristino e la cessazione delle  molestie  in
 caso  di  turbativa, senza necessita' di privare la titolarita' della
 corrispondente situazione di diritto. In  sostanza  il  provvedimento
 possessorio  conseguito  non e' strumentale ma realizza di per se' la
 tutela piena anche se provvisoria".
   Con altra pronunzia dello stesso  giorno  (sent.  n.  830/1993)  la
 Corte  di cassazione ha anche evidenziato che: "poiche' la tutela del
 possesso (parallela ed autonoma rispetto a quella della proprieta'  e
 dei  diritti  reali) si realizza totalmente nello stesso procedimento
 possessorio, deve escludersi sotto un primo profilo  -  per  mancanza
 della  caratteristica  di  strumentalita' - che le azioni possessorie
 abbiano natura cautelare. Non  e'  peraltro  possibile  sostenere  la
 assimilabilita'   alle   azioni  cautelari  sotto  il  profilo  della
 provvisorieta' del ripristino  della  situazione  di  fatto  elisa  o
 turbata.  Tale provvisorieta' e' infatti ben diversa da quella insita
 nella strumentalita' del provvedimento cautelare rispetto al  diritto
 tutelato,   il   riconoscimento   della  cui  esistenza  e  spettanza
 all'attore richiede necessariamente l'instaurazione di un giudizio di
 merito".
   Rileva  il  Collegio  che  tale  consolidata   impostazione   della
 giurispmdenza  di  legittimita'  e'  pienamente  condivisibile, anche
 perche' nell'ordinamento non appare individuabile un  diritto  -  che
 costituisca  oggetto  del  processo  a  cognizione  piena  -  e della
 soddisfazione del  quale  il  provvedimento  possessorio  costituisca
 anticipazione.  Ed  invero,  i  provvedimenti possessori non svolgono
 funzione cautelare anticipatoria  rispetto  alla  tutela  di  diritti
 reali, stante il divieto per il convenuto nel giudizio possessorio di
 proporre  giudizio  petitorio  finche'  il  primo  giudizio  non  sia
 definito e la decisione non sia stata eseguita.   Ne' d'altra  parte,
 puo'  sostenersi  che  i  provvedimenti  in  questione  garantiscano,
 anticipandoli, gli effetti di un giudizio  ordinario  avente  oggetto
 identico  a  quello  del  giudizio  sommario: a tale concezione osta,
 infatti, la nozione del  possesso  accolta  nel  nostro  ordinamento,
 concepito  non  in  termini  di diritto, bensi' di relazione di fatto
 della persona con la cosa, protetta dalle illegittime aggressioni  ai
 fini  del  suo  ripristino;  come tale priva di un'azione generale di
 tutela ma caratterizzata da due azioni tipiche e, comunque debole, in
 quanto destinata a cedere sempre  a  fronte  dell'accertamento  della
 proprieta'.
   Pertanto,   alla   luce   di   quanto   detto,  deve  ritenersi  la
 inapplicabilita' ai procedimenti possessori delle disposizioni di cui
 alla sezione "procedimenti cautelari in genere".
   Ritiene, inoltre, il tribunale che  il  reclamo  dei  provvedimenti
 possessori sia innammissibile anche per altro verso.
   L'art. 703 c.p.c. e' stato modificato dalla novella del 26 novembre
 1990  n.  353  nel senso che "il giudice provvede ai sensi degli art.
 669-bis e segg.". Orbene, ad opinione di parte della  dottrina  e  di
 alcuni  giudici  di  merito  si  e'  inteso, con l'anzidetta novella,
 estendere  al  procedimento  possessorio  tutta  la   normativa   dei
 "procedimenti  cautelari  in  generale".  Tuttavia  il  collegio  non
 ritiene di condividere tale interpretazione.
   Ed  invero,  gia'  l'art.  703   c.p.c.,   nella   sua   precedente
 formulazione ("il pretore provvede per la reintegrazione del possesso
 a  norma  degli  artt.  689  e  segg.")  non  comportava  l'integrale
 applicazione di quest'ultima norma, disciplinante il procedimento  di
 nunciazione, atteso che se erano di certo applicabili i primi quattro
 commi,  non  lo  era  di certo il quinto sulla competenza che restava
 radicata - al contrario delle azioni di denunzia di nuova opera e  di
 danno temuto - nel pretore per la fase di merito.
   Pertanto,   ritiene  il  collegio  che  anche  alla  luce  di  tale
 comparazione, con la modifica apportata  non  si  e'  inteso  affatto
 estendere   al  procedimento  possessorio  tutta  la  disciplina  del
 procedimento cautelare, bensi' solo - come nella precedente normativa
 - coordinarla alla nuova facendo  obbligo  al  giudice  (pretore)  di
 provvedere  (attesa  l'abrograzione  dell'art. 689 e la necessita' di
 colmare l'insorta lacuna) sulla domanda con le  stesse  modalita'  di
 cui  all'art.  669-bis  e  seguenti.    E  del resto il secondo comma
 dell'art. 703 del c.p.c. - non recita "si applicano  ai  procedimenti
 possessori  gli  art.  669-bis  e segg.", disposizione questa che non
 avrebbe lasciato  spazio  a  dubbi  sulla  portata  innovativa  della
 modifica, sibbene "il giudice" provvede "ai sensi degli artt. 669-bis
 e segg.". In definitiva, come nella precedente normativa, anche nella
 nuova  il  richiamo  agli  articoli  sui  procedimenti  cautelari non
 comporta l'integrale applicazione  dell'intera  disciplina  di  detti
 procedimenti  ma  solo  di  quelle  disposizioni  compatibili  con la
 particolare materia.  Ed  invero,  come  ha  precisato  la  s.  Corte
 (831/1993)  in  vigenza  della  precedente normativa   "l'art.   703,
 secondo e terzo comma, nel disporre che il pretore  provvede  per  la
 reintegrazione  del  possesso a norma dell'art. 689 e segg.  rinvia a
 dette norme nei limiti in cui sono compatibili con  la  natura  delle
 azioni  possessorie  ed  a  nulla  rileva  che  la norma non contenga
 un'espressa riserva di applicabilita'".
   A questo punto si impone il problema se il reclamo sia  compatibile
 con la particolare natura delle azioni possessorie, ma in realta' non
 vi  e' neppure la necessita' di affrontare tale problematica a fronte
 del dato testuale di cui all'art. 703/2 c.p.c. che  nel  disciplinare
 le  modalita'  operative  che  il  pretore deve adottare ("il giudice
 provvede"), non estende alle parti (alle quali sole,  ovviamente,  e'
 rimessa  la  facolta'  di proporre reclamo) poteri di contro previsti
 per altri ben individuati procedimenti. Deve, pertanto,  concludersi,
 atteso il silenzio sul punto della legge (ubi lex voluit, dixit), per
 la  non  ammissibilita'  del  reclamo  di  cui all'art. 669-terdecies
 c.p.c..
   Cio' posto e laddove  si  consideri  che  il  legislatore  all'art.
 669-quaterdecies  c.p.c.  ha previsto che le disposizioni relative ai
 procedimenti cautelari si applicano tout court ai  procedimenti  c.d.
 "quasi-possessori"   (posti,   com'  e'  noto,  a  tutela  sia  della
 proprieta' che del possesso), il Tribunale non puo' non chiedersi  se
 la  norma  di cui all'art. 703 c.p.c., come sopra interpretata, possa
 sfuggire ad una censura  di  incostituzionalita'  in  relazione  agli
 artt.  3  e 24, perche' non appare ragionevole la discriminazione che
 si   viene   ad   operare   tra   azione   possessoria   ed    azione
 quasi-possessoria.   ln   particolare,  va  rilevato  che  mentre  al
 possessore  che  invoca  quest'ultima   tutela   e'   consentita   la
 possibilita'  di  proporre  reclamo contro il provvedimento emesso ai
 sensi dell'art. 688 c.p.c. l'identica tutela non e'  riconosciuta  al
 possessore  che  agisce  ai sensi degli art. 1168 e 1170 c.c. poiche'
 l'art. 703, come sopra interpretato, non attribuisce  tale  facolta'.
 Sicche',  non  appalesandosi  ragione  alcuna  per tale disparita' di
 trattamento,  la  questione  di  incostituzionalita'  sollevata   dai
 ricorrenti appare non manifestamente infondata.
   L'indicata  questione  di  costituzionalita',  infine,  si appalesa
 rilevante, posto che in caso di pronuncia di infondatezza, il reclamo
 proposto da Iervasi Antonio andrebbe dichiarato inammissibile, mentre
 in caso di pronuncia  di  accoglimento,  il  Tribunale  dovrebbe  poi
 esaminare  la  fondatezza  nel merito del reclamo stesso. Sussistono,
 pertanto, le condizioni per sospendere il presente giudizio in attesa
 della pronuncia della Corte costituzionale cui vanno rimessi gli atti
 ai sensi dell'art. 23 legge n. 87 del 1953.