ha pronunciato la seguente Ordinanza nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 8 della legge 15 dicembre 1990, n. 386 (Nuova disciplina sanzionatoria degli assegni bancari), promosso con ordinanza emessa il 27 febbraio 1995 dal Pretore di Venezia, sezione distaccata di Mestre, nel procedimento penale a carico di Berenato Francesco, iscritta al n. 349 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25, prima serie speciale, dell'anno 1995; Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nella camera di consiglio dell'8 novembre 1995 il Giudice relatore Renato Granata; Ritenuto che nel corso del procedimento penale a carico di Berenato Francesco, imputato del reato di emissione di assegno bancario senza provvista, il Pretore di Venezia, sez. distaccata di Mestre, con ordinanza del 27 febbraio 1995 ha sollevato questione di legittimita' costituzionale in via incidentale dell'art. 8 della legge 15 dicembre 1990, n. 386 (Nuova disciplina sanzionatoria degli assegni bancari) con riferimento agli artt. 3 e 112 Cost.; che secondo il giudice rimettente la disposizione censurata ha introdotto una condizione di procedibilita', rimessa all'esclusiva volonta' di colui che l'illecito ha realizzato, essendo egli assolutamente libero di porre in essere il meccanismo previsto dall'art. 8 citato, influendo cosi' direttamente sulla nascita di un procedimento penale a proprio carico; che in tal modo sarebbero violati il principio di ragionevolezza e quello dell'obbligatorieta' dell'azione penale non essendo possibile che l'autore di un reato possa decidere lui stesso della propria perseguibilita'; che - nella prospettazione del giudice rimettente - vi sarebbe anche violazione del principio di eguaglianza perche' l'art. 8 cit. prevede quale causa di esclusione della perseguibilita' del reato il risarcimento del danno, ancorche' parziale e solo legalmente determinato, mentre tale operoso comportamento in altre ipotesi delittuose (anche piu' lievi di quella in esame) viene assunto quale mero elemento circostanziale di attenuazione della pena; che e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato chiedendo che la questione sollevata sia dichiarata manifestamente infondata per essere gia' stata dichiarata non fondata con sentenza n. 203 del 1993; Considerato che la conformita' al principio di ragionevolezza della disposizione censurata e' assicurata dalla sua ratio che - come questa Corte ha gia' evidenziato (sentenza n. 203 del 1993) - consiste nella finalita' deflattiva dei procedimenti penali aventi ad oggetto la violazione della disciplina degli assegni bancari, unitamente alla tutela del bene giuridico della pubblica fede attraverso la previsione disincentivante di dover corrispondere oltre all'importo dell'assegno anche gli accessori (interessi, penale e spese per il protesto), indipendentemente dalla richiesta del creditore ed anche in presenza di remissione del debito (ordinanza n. 370 del 1995); che ragionevole appare il bilanciamento degli interessi, operato dal legislatore, in relazione a comportamenti che destano minore allarme sociale perche' seguiti dal pagamento della somma capitale e degli accessori; che non e' fondatamente deducibile alcuna disparita' di trattamento rispetto ad altre ipotesi in cui il risarcimento del danno e' valutato come mera circostanza del reato, non essendo comparabili le situazioni confrontate (sentenza n. 203 del 1993, cit.); che non sussiste un vincolo costituzionale che limiti a determinate fattispecie nominate la discrezionalita' del legislatore nella previsione di nuove ipotesi di condizioni di procedibilita', sicche' nessuna lesione e' ravvisabile sotto questo profilo del principio dell'obbligatorieta' dell'azione penale; Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.