IL GIUDICE DELL'UDIENZA PRELIMINARE Ha pronunciato la seguente ordinanza all'udienza del 4 ottobre 1995 nel proc. pen. n. 361/A/95 a carico di Locci Alessandro, nato a Cagliari il 26 settembre 1975, residente a Quartu S. Elena (Cagliari) in via Brigata Sassari n. 23, imputato di "lesione personale grave" (artt. 223 e 224 c.p.m.p. in relazione all'art. 583, primo comma n. 1 c.p.) perche', cagionava al commilitone Sivieri Cristiano colpendolo al volto con un pugno una lesione personale diagnosticata come "frattura angolo mandibolare sinistro" malattia dalla quale deriva un'incapacita' di attendere alle ordinarie occupazioni per un periodo superiore ai 40 giorni. Il 12 aprile 1994 in Monterotondo. Fatto e diritto 1. - Al termine delle indagini preliminari il p.m. chiedeva il rinvio a giudizio di Locci Alessandro per il reato di lesione personale grave di cui in rubrica. All'odierna udienza, preliminarmente il difensore della persona offesa esibisce documentazione dalla quale risulta che per lo stesso fatto e' iniziato un procedimento penale, nei confronti dell'imputato, anche presso l'autorita' giudiziaria ordinaria. Questo giudice, ritenendo la propria competenza e rilevando un conflitto positivo di giurisdizione emana quindi apposita ordinanza disponendo la trasmissione di copia degli atti rilevanti alla Corte di cassazione per la risoluzione del conflitto. Nel seguito dell'udienza (non avendo l'ordinanza con cui e' rilevato il conflitto effetto sospensivo, ex art. 30, comma 3, c.p.p.) il difensore della persona offesa presenta dichiarazione di costituzione di parte civile rappresentando che il Siviero e' gia' costituito parte civile nel procedimento presso l'autorita' giudiziaria ordinaria. Il p.m. preso atto dell'orientamento negativo espresso dalle Sezioni unite della Corte di cassazione in ordine alla costituzione di parte civile nel processo penale militare, chiede che sia sollevata questione di legittimita' costituzionale dell'art. 270 c.p.m.p., in relazione agli atti 3 e 24 Cost.; il difensore dell'imputato non si oppone alla proposizione della questione di legittimita' costituzionale. 2. - Secondo l'art. 270 c.p.m.p. "azione civile per le restituzioni e per il risarcimento del danno non puo' essere proposta davanti ai tribunali militari". Dopo l'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale molto si e' discusso sulla perdurante vigenza di questa disposizione. La controversia e' stata infine risolta dalle Sezioni unite della Corte di cassazione, che (con sent. 14 dicembre 1994, Trombetta) hanno affermato l'inammissibilita' della costituzione di parte civile nel procedimento penale militare, ritenendo che tale deroga alla normativa comune non sia in contrasto con le linee fondamentali tracciate dal legislatore nel nuovo codice di procedura penale. Poiche', dopo l'intervento delle Sezioni unite, la questione non appare suscettibile di ulteriore disamina sul piano interpretativo, questo giudice ritiene debba essere proposta la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 270 del c.p.m.p., che non ammette la costituzione di parte civile nel processo penale militare. La rilevanza della questione, anzitutto, non appare dubbia, dato che, in applicazione dell'art. 270 c.p.m.p., dovrebbe essere dichiarata l'inammissibilita' della costituzione di parte civile. La questione appare inoltre non manifestamente infondata per violazione degli artt. 2 e 24 Cost. E' vero che una analoga questione di costituzionalita' e' stata ritenuta infondata (Corte cost., 22 febbraio 1989, n. 78), per la ragione che non sussisterebbe "vincoli costituzionali che vietino o impongano l'esperibilita' dell'azione civile per le restituzioni ed il risarcimento del danno nel processo penale militare". E' tuttavia da considerare che il contesto normativo in base al quale la questione va esaminata e' mutato con l'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale (avvenuta dopo la pubblicazione della predetta sentenza della Corte): uno degli obiettivi del nuovo codice e' costituito infatti proprio dalla salvaguardia della posizione della persona offesa dal reato (il cui principale strumento di intervento nel processo penale e' dato dalla costituzione di parte civile: cfr. Relaz. al prog. prel. del c.c.p., in Gazzetta Ufficiale, 24 ottobre 1988, suppl. ord., p. 41). E' certo che le principali innovazioni in tema di tutela della persona offesa sono state stabilite dal codice in relazione alla fase delle indagini preliminari (sulla particolare valorizzazione del ruolo della persona offesa, soprattutto nella fase delle indagini preliminari, avutasi con il nuovo c.p.p., cfr. Corte cost. n. 353/1991 e n. 413/1994), ma cio' proprio perche', in relazione al processo, e' con la costituzione di parte civile che la persona offesa si inserisce a pieno titolo fra le parti processuali. La contemporanea vigenza, per il processo penale militare, delle norme riguardanti i diritti di iniziativa e di intervento della persona offesa e la norma preclusiva di cui all'art. 270 c.p.p., conduce quindi ad una situazione normativa paradossale: alla persona offesa militare sono infatti riconosciuti specifici poteri nella fase delle indagini prliminari (es. art. 410 e 413 c.p.p.), mentre invece la stessa persona offesa nelle fasi successive puo' esercitare solo i diritti previsti in generale dall'art. 90 c.p.p. (presentazione di memorie e, con esclusione del giudizio di cassazione, indicazione di elementi di prova). La compressione dei diritti di difesa della persona offesa nel processo penale militare (derivante dalla inammissibilita' della costituzione di parte civile), e la disparita' di trattamento fra persona offesa nel procedimento ordinario e nel procedimento militare, sembrano quindi irragionevoli, anche perche' non risultano fondate sulla esigenza di tutela di alcun interesse meritevole di considerazione. Secondo autorevole dottrina l'esclusione della parte civile troverebbe la sua sola reale ragione nella pretesa dell'istituzione militare di non consentire ad estranei di penetrare all'interno del processo penale militare e di avervi os ad loquendum, e darebbe quindi luogo ad una distorsione palese e macroscopica. Dopo la riforma della giustizia militare avvenuta a partire dal 1981, palesemente non hanno infatti piu' attualita' le ragioni che hanno portato il legislatore, nel 1941, a stabilire la regola di cui all'art. 270 cit.: ovvero che i tribunali militari si configurerebbero come giudici prevalentemente del fatto, senza capacita' per l'apprezzamento di questioni di carattere patrimoniale (cfr. Rel. della Commiss. Reale ai prog. prel. del c.p.m.p. e del c.p.m.g., p. 200). Tali considerazioni venivano infatti espresse quando nei tribunali militari la presidenza e la prevalenza numerica nei collegi giudicanti era attribuita a ufficiali delle Forze armate e non a magistrati (sulla evoluzione complessiva dell'ordinamento giudiziario militare di pace, diretta a perseguire l'assimilazione della magistratura militare a quella ordinaria, cfr. Corte cost., 22 febbraio 1995, n. 71). L'intervento della parte civile nel processo penale non e' d'altro canto limitato strettamente alla valutazione delle questioni di carattere patrimoniale. Basti ricordare che, ai sensi dell'art. 577 c.p.p., la persona offesa, sole se costituita parte civile puo' proporre impugnazione, anche agli effetti penali, contro le sentenze di condanna e di proscioglimento per i reati di ingiuria e diffamazione. Inoltre si e' ritenuto che sussistono utili margini di intervento della parte civile a tutela dei propri diritti anche nelle udienze fissate a seguito di richiesta di applicazione di pena ex art. 444 c.p.p., avendo la parte civile interesse a interloquire anche in ordine alle questioni inerenti la congruita' della pena o la sospensione condizionale della pena patteggiata (Cass., 26 novembre 1991, Di Maulo: lo stesso art. 444 e' stato d'altro canto dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla Corte cost., sent. n. 443/1990, nella parte in cui non prevede che il giudice possa condannare l'imputato al pagamento delle spese processuali in favore della parte civile). 3. - La disparita' di trattamento nella tutela dei diritti di difesa della persona offesa militare appare poi particolarmente evidente in ordine ai reati, come quello contestato nel presente procedimento, che sono lesivi in modo specifico in interessi della persona, piuttosto che di interessi attinenti il servizio e la disciplina militare. Cio' e' reso evidente dalla pena edittale, che e' maggiore per il reato comune di lesione personale grave (da tre a sette anni), piuttosto che per il corrispondente reato militare (da due a sette anni): pare davvero singolare che un reato, ritenuto offensivo, oltre che dallo stesso bene giuridico comune, anche di ulteriori interessi di carattere militare, sia poi punito con una pena nel minimo notevolmente piu' lieve. Secondo una recente decisione della Corte costituzionale (26 giugno 1995, n. 298) e' costituzionalmente legittima la configurazione di reati militari (e la sottoposizione alla giurisdizione militare) per fatti commesi al di fuori delle condizioni di cui all'art. 5, terzo comma, legge n. 382/1978. Nel caso di specie il fatto e' avvenuto durante la libera uscita, non in luogo militare, al di fuori della presenza di altri militari, per cause non direttamente connesse al servizio o alla disciplina militare. La configurazione del fatto come reato militare e la appartenenza alla giurisdizione dei tribunali militari deriva dalla circostanza che l'elemento specializzante posto dall'art. 223 c.p.m.p., rispetto all'art. 582 c.p., e' dato esclusivamente dalla qualita' militare del soggetto attivo del reato e della persona offesa. Appare quindi del tutto privo di giustificazione che mentre nel procedimento per il reato comune sia ammessa la costituzione di parte civile (come di fatto e' avvenuto nel caso in esame), i diritti della persona offesa non abbiano una corrispondente protezione nel processo per il reato militare. D'Altro canto puo' ritenersi che l'ordinamento delle Forze Armate sia informato allo spirito democratico della Repubblica (art. 52, comma 3, Cost.) solo se al cittadino militare siano garantiti tutti i diritti previsti, per il cittadino, dalla Costituzione e dalla legge (salve le limitazioni poste per garantire l'assolvimento dei compiti propri delle Forze armate: art. 3 legge n. 382/1978. E' cosi' inammissibile, ad esempio, che il militare, che subisca una offesa all'onore o alla integrita' fisica, ad esempio perche' vittima di fenomeni di nonnismo, non possa esercitare nel processo penale contro l'aggressore tutti i diritti riconosciuti nel processo penale alla persona offesa, ivi compreso quello, che appare il piu' significativo, concernente la facolta' di costituirsi come parte civile.