IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  di rinvio degli atti alla
 Corte costituzionale letti gli atti  del  procedimento  n.  95/007728
 r.g.  g.i.p.  nei confronti di Dorigo Guido nato il 13 gennaio 1953 a
 Gonars  (UD),  ivi  residente,  via  Don  Minzoni  n.  2/C;   persona
 sottoposta  ad indagini nella sua qualita' di sindaco pro-tempore del
 comune di Gonars in carica al 24 febbraio 1995, per  avere  scaricato
 reflui  dal  depuratore  fognario  pubblico  eccedenti  i  limiti  di
 accettabilita' stabiliti dalla tabella  A)  allegata  alla  legge  n.
 319/1976. In comune di Gonars il 24 febbraio 1995.
   Vista  la  richiesta  del  pubblico  ministero  pervenuta in data 2
 novembre  1995  che  insta  ai  sensi  dell'art.   554   c.p.p.   per
 l'archiviazione  del procedimento non essendo il fatto previsto dalla
 legge come reato ex art. 3 del d.-l. 17 marzo 1995 n.  79  convertito
 con  legge  17  maggio  1995  n.  172, ma punito con la sola sanzione
 amministrativa da parte dell'Autorita'  cui  chiede  la  trasmissione
 degli atti per competenza;
   Premesso  in  fatto che dalla relazione di analisi dd. 7 marzo 1995
 del  Servizio  chimico  ambientale  del   presidio   multizonale   di
 prevenzione  presso  l'azienda  per  i  servizi  sanitari n. 4 "Medio
 Friuli" emergeva il  superamento  alla  data  del  campionamento  (24
 febbraio  1995)  da parte delle acque di scarico del depuratore della
 fognatura  comunale  di  Gonars,  via  Dei  Molini,  dei  limiti   di
 accettabilita'  previsti quanto ai parametri materiali in sospensione
 totali, azoto nitroso, BOD e tensoattivi anionici dalla  tabella  "A"
 allegata alla legge n. 319 cit., nonche' dei corrispondenti parametri
 del   Piano   generale  di  risanamento  delle  acque  della  regione
 Friuli-Venezia Giulia approvato con d.p. Giunta regionale  23  agosto
 1982 n. 0384/Pres., ad eccezione dell'azoto nitroso, dallo stesso non
 contemplato;
   Premesso  altresi'  che le analisi furono originate da una autonoma
 attivita'  di  accertamento  dei  verbalizzanti   eseguita   con   le
 formalita'  di  legge, e facenti seguito ad analoghi campioni fiscali
 favorevoli eseguiti in data 17 gennaio 1995 (per  i  quali  pende  il
 procedimento  penale  n. 5054/95 r.g.n.r. e 4688/95 r.g.g.i.p. ove e'
 stata proposta altra questione di costituzionalita');
 
                             O s s e r v a
   La condotta sopra descritta, in virtu' di un consolidato  indirizzo
 giurisprudenziale  interpretativo  degli  artt.  1,  9  e 14 legge n.
 319/1976,  appariva  suscettibile   di   integrare   la   fattispecie
 penalmente  sanzionata  dall'art.  21,  terzo comma, legge cit. sulla
 base dell'assunto che tutti gli scarichi (da insediamenti produttivi,
 da insediamenti civili nuovi non recapitanti in pubblica fognatura  e
 derivanti   da   pubblica   fognatura)   devono   essere  autorizzati
 espressamente e specificamente ex art. 21, primo comma,  legge  cit.,
 con  la  generalizzata necessita', la cui omissione e' punita appunto
 dall'art.  21,    terzo  comma,  del  rispetto  degli  standards   di
 accettabilita'  legislativi,  una volta cessato il regime transitorio
 di adeguamento graduale degli scarichi nei tempi e nei  modi  fissati
 dai  singoli  p.g.r.a., limiti integrabili dalla disciplina regionale
 ai sensi dell'art. 14 legge cit. solo in senso piu' restrittivo (cfr.
 Cass. 2 febbraio 1994 n. 1215, ric.  p.m. contro Vannicola; Cass.  25
 giugno  1993 n. 958, ric. p.m. contro Bruschini; Cass. 25 giugno 1993
 n. 963 contro Battistessa +1: Cass.  3 marzo 1992 n. 2331, ric.  p.m.
 contro  Aloisi,  specificamente pronunciate in materia di scarichi di
 pubbliche fognature).
   Il  sistema  e'  stato  profondamente  alterato   dalle   modifiche
 successivamente  apportate  da  una serie di norme che, a partire dal
 decreto-legge 15 novembre 1993 n. 454 perpetuato sino all'attualmente
 vigente decreto-legge 17 marzo 1995 n. 79, (convertito  in  Legge  17
 maggio  1995  n.  172)  erano  primariamente dirette a ridisciplinare
 proprio gli scarichi delle pubbliche fognature (e degli  insediamenti
 civili  che  non  recapitano  in  pubbliche fognature), pur essendosi
 ampliate,  nel  corso  delle  varie   novellazioni,   ad   introdurre
 sostanziose   immutazioni   pure   agli   scarichi   da  insediamenti
 produttivi.
   In particolare,  per  quanto  qui  rileva,  da  un  lato  l'art.  1
 decreto-legge n. 79/1995, sostituendo l'art. 14, secondo comma, legge
 n.  319/1976,  ha  mantenuto  l'attribuzione in capo alle Regioni del
 potere di disciplinare gli scarichi delle pubbliche fognature in sede
 di  redazione  dei  rispettivi  piani  di  risanamento  delle  acque,
 derogando  pure  in  senso  peggiorativo,  purche'  in conformita' ai
 dettami della direttiva 91/271/CEE del Consiglio del 21  maggio  1991
 (esclusi  i  limiti di accettabilita', definifi "inderogabili", per i
 parametri di natura tossica, persistente e bioaccumulabile), e  salva
 l'applicabilita',  nelle more di tale definizione, delle prescrizioni
 gia' adottate e,  in  particolare,  delle  direttive  presenti  nella
 delibera  30  dicembre  1980  del  Comitato Interministeriale (art. 1
 terzo comma); dall'altro lato l'art. 3 del  decreto-legge  in  esame,
 sostituendo  in  toto  l'art.  21,  terzo  comma legge n. 319/1976 (e
 aggiungendo pure un quarto comma),  ha  depenalizzato  l'inosservanza
 dei  limiti  di  accettabilita'  stabiliti dalle Regioni ai sensi del
 (nuovo) art. 14, secondo comma, per tale  condotta  introducendo  una
 sanzione  amministrativa pecuniaria da lire tre milioni a lire trenta
 milioni.
   Trattasi di disposizione che, per quest'ultima parte, pare  affetta
 da  gravi e plurimi vizi di legittimita' costituzionale, che si vanno
 ora a sottoporre al vaglio  di  questa  ecc.ma  Corte,  essendo  cio'
 preliminare ad ogni decisione sull'istanza rivolta a questo ufficio.
   1. - Violazione dell'art. 3 della Costituzione.
   Molteplici   appaiono   i   profili   di   contrasto   dell'art.  3
 decreto-legge n. 79/1995 (convertito con legge n.  172/1995)  con  il
 detto  fondamentale parametro costituzionale. Da un lato, infatti, si
 e'  discriminata  la  disciplina  sanzionatoria  per  i  titolari  di
 scarichi   da  insediamenti  produttivi  che  superino  i  limiti  di
 accettabilita' delle tabelle "A" e "C" allegate  alla  legge  (puniti
 con  la  sanzione  penale  alternativa  dell'ammenda  o dell'arresto,
 raddoppiata  ove   sia   provato   il   superamento   dei   parametri
 inderogabili) rispetto ai titolari di scarichi di pubbliche fognature
 i  quali, nella medesima evenienza (violazione dell'art.  14, secondo
 comma, legge  n.  319)  e  nell'ipotesi  reputata  in  assoluto  piu'
 pericolosa  per l'ambiente tra le varie contemplate subiscono la sola
 sanzione amministrativa pecuniaria sopra indicata: cio'  che  risulta
 del   tutto   irragionevole   ove  si  consideri  che  tale  impianto
 solitamente altro non e' che la somma di molteplici  scarichi  misti,
 cioe'  civili  e  produttivi,  che  in esso confluiscono, per cui, se
 comprensibile risulta l'irrogazione della sanzione amministrativa per
 gli scarichi da insediamenti civili che non recapitano  in  pubbliche
 fognature,  atteso  il  verosimile,  minor  loro  carico  inquinante,
 altrettanto non puo' dirsi per gli scarichi delle pubbliche fognature
 ad essi parificati e  favorevolmente  discriminati  rispetto  ad  uno
 stabellamento  -  anche  minimo - di un impianto produttivo, di certo
 meno pericoloso per l'ambiente rispetto ad un sostanzioso superamento
 dei limiti da parte dei primi.
   La    differenziazione    non    trova,    pertanto,    ragionevole
 giustificazione ma pare correlata, in definitiva, alla sola qualifica
 soggettiva  del  soggetto  tenuto  al  rispetto della norma (pubblico
 amministratore  nel  primo  caso,  imprenditore  nel  secondo),  come
 confermato  dall'art.  6, secondo comma, decreto-legge n. 79/1995 che
 ha depenalizzato pure la condotta  di  apertura  di  uno  scarico  da
 pubbliche   fognature   "servite  o  meno  da  impianti  pubblici  di
 depurazione" in assenza della domanda di autorizzazione  (attualmente
 soggetta  alla  sola  sanzione amministrativa da lire dieci milioni a
 lire cento milioni) permanendo, al contrario, la sanzione penale  per
 il  titolare  di  insediamento produttivo che ometta di richiedere la
 debita autorizzazione (art. 21, primo comma, legge  n.  319,  rimasto
 immutato).
   Pure    l'ammontare   della   sanzione   introdotta   dall'art.   6
 decreto-legge  n.  79  testimonia   l'assoluta   incongruita'   della
 previsione in esame, essendosi indicata una sanzione piu' elevata per
 un  fatto  di  inquinamento  formale,  qual  ritenuto quello previsto
 dall'art. 6 (ben potendo lo scarico non autorizzato essere  contenuto
 nei  limiti di legge), rispetto alla sanzione pecuniaria prescelta in
 caso di effettazione  di  scarico  da  una  pubblica  fognatura  che,
 autorizzato   o   meno,  abbia  provatamente  recato  un  pregiudizio
 all'ambiente,  con  lo  sversamento  di  reflui  eccedenti  i  limiti
 tabellari fissati all'inquinamento c.d. "legittimo".
   La distonia della norma in esame risulta evidenziata ancor piu' dal
 mantenimento  nel sistema dell'art. 23 legge n. 319/1976, sanzionante
 penalmente l'effettuazione di nuovi scarichi (da chiunque  effettuati
 e,  pertanto,  pure  dal titolare della pubblica fognatura) prima che
 l'autorizzazione, gia' richiesta, sia stata concessa:  anche  in  tal
 caso in via assoluta un'irregolarita' formale come l'effettuazione di
 scarichi in ipotesi consentiti dopo la presentazione della domanda di
 autorizzazione,  ad  es.  da  un  insediamento  civile, e' valutata e
 punita assai piu' gravemente di una condotta sostanziale  e  atta  ad
 incidere  su  beni  primari  collettivi,  come lo scarico illecito di
 sostanze da un insediamento produttivo pubblico qual e' la  fognatura
 comunale;  inoltre,  in  via  relativa, per quest'ultima e piu' grave
 condotta, il pubblico amministratore sarebbe  sanzionato  assai  meno
 pesantemente  che  in  ipotesi  di  attivazione  dello  scarico della
 pubblica fognatura nelle more del rilascio  dell'autorizzazione,  pur
 quando  il  tenore di quello scarico fosse conforme agli standards di
 legge.  Ma vi e' di piu', in quanto  ove  l'autorizzazione  richiesta
 non  venisse  rilasciata,  riprendendo  vigore  le norme dell'art. 21
 legge n.  319  (vd.  art.  23,  secondo  comma)  lo  stesso  pubblico
 amministratore   sarebbe   soggetto   ad   una  blandissima  sanzione
 amministrativa  pecuniaria  ove  lo  scarico  della  fognatura  fosse
 proseguito  in  spregio alle tabelle o alle disposizioni del p.g.r.a.
 (art. 3 decreto-legge  n.  9/1995)  o,  addiritta,  ad  una  sanzione
 amministrativa piu' pesante per il fatto di aver mantenuto lo scarico
 dopo il diniego del provvedimento (art. 6 decreto-legge n. 79/1995).
   Come  emerge  con  evidenza,  tra le tre, la condotta meno grave ed
 idonea a recare minor danno o, addirittura, a  non  arrecarne  alcuno
 agli  interessi  oggetto di tutela e' l'unica punita penalmente (art.
 23 legge n. 319), mentre nelle  altre  due  ipotesi  l'entita'  della
 sanzione  pecuniaria  amministrativa e' inversamente proporzionale al
 grado di lesione, di pericolosita' e di offensivita'  della  condotta
 concretamente mantenuta.
   Trattasi   di  opzioni  legislative  che,  pur  giustificate  dalla
 discrezionalita' tipica di quella funzione, nel caso creano  profonde
 disparita'   di   trattamento,  apparentemente  non  fondate  ne'  su
 presupposti logici obiettivi, ne' su specifiche concrete esigenze, in
 violazione dei canoni di  ragionevolezza  cui  devono  rispondere  le
 scelte  punitive  e  del  principio  di  uguaglianza  che  impone una
 proporzione tra la pena e il disvalore del fatto  illecito  commesso,
 inosservata   quando   il   complesso   normativo   sanzioni  in  via
 amministrativa   condotte   connotate   di   maggior   gravita'    ed
 identicamente  (se  non  piu') lesive del medesimo bene giuridico, ma
 sanzionate penalmente quando commesse da soggetti diversi (cfr. Corte
 cost. 19 maggio 1993 n. 249; Corte cost. 23 giugno 1994 n. 254; Corte
 cost. 25 luglio 1994 n. 341).
   2.  -  Violazione  degli  artt.  9,  secondo  comma,  e  32   della
 Costituzione.
   Attesa  l'assunzione  a livello costituzionale da parte dello Stato
 dell'impegno a tutelare il  "paesaggio"  inteso  come  valorizzazione
 delle  peculiarita' naturali del territorio e come mantenimento degli
 ecosistemi, e' evidente che  la  forte  attenuazione  del  regime  di
 tutela   dell'ambiente   rispetto   in  questo  caso  a  fenomeni  di
 inquinamento idrico causati  da  fatti  gravi  e  in  concreto  assai
 pericolosi  quali gli scarichi di pubbliche fognature, (incontrollati
 ed)   eccedenti   i   limiti   di   accettabilita',   connessi   alla
 depenalizzazione   della   condotta   e  alla  scomparsa  dei  poteri
 d'intervento - anche coercitivi -  riconosciuti  al  Giudice  penale,
 riduce  sensibilmente la capacita' preventiva e dissuasiva in materia
 con una pericolosa regressione di efficacia  della  normativa  e  una
 conseguente,  verosimile  esposizione  a maggior rischio e, comunque,
 una diminuzione netta di tutela del bene  "paesaggio"  nell'accezione
 sopra indicata.
   Cio'  comporta,  altresi',  un  diretto  pericolo  di  danno per la
 salute,  intesa  quale  diritto  inderogabile   e   prevalente   alla
 integrita'  e salubrita' dell'ambiente in cui l'uomo vive e opera, in
 contrasto  con  il  principio  posto  dall'art.  32  Cost.  che,   al
 contrario,  impone  in  via  incondizionata  rispetto  ad  ogni altro
 interesse la ricerca delle scelte piu' adeguate  onde  preservare  la
 pienezza  delle  condizioni oggettive di godimento dell'ambiente, nei
 suoi molteplici componenti (suolo, aria e acqua) rispetto alle  varie
 manifestazioni  di  inquinamento  (cfr.  Corte cost. 16 marzo 1990 n.
 127; Cass. s.u. 6 ottobre 1979 n. 5172; Cass. s.u. 3 luglio  1991  n.
 7318).
   3. - Violazione dell'art. 10, primo comma, della Costituzione.
   La disposizione prevista dall'art. 14, secondo comma, legge n.  319
 (novellato  dall'art.  1,  primo  comma,  decreto-legge  n. 79/1995),
 costituente il precetto rispetto al  quale  si  applica  la  sanzione
 amministrativa  di cui all'art. 3, primo comma, decreto-legge per gli
 scarichi di pubbliche fognature pare altresi' porsi in contrasto  con
 la   norma   costituzionale  suddetta  che  impone  la  conformazione
 dell'ordinamento italiano agli obblighi  derivanti  dall'appartenenza
 del nostro Paese alle Comunita' economiche europee.
   In  particolare, risultano gia' scaduti al 30 giugno 1993 i termini
 per l'adeguamento alla direttiva del  Consiglio  91/271/CEE,  la  cui
 adozione  non  solo viene ulteriormente procrastinata (art. 1, quarto
 comma, decreto-legge n. 79/1995), ma rispetto alla quale  addirittura
 le  norme  in  esame  rappresentano  l'antitesi, attesa la necessita'
 imposta dalle disposizioni  comunitarie  di  classificare  le  "acque
 reflue  urbane",  le  "acque  reflue  domestiche",  le  "acque reflue
 industriali" (art. 2) e, in particolare,  di  distinguere  nettamente
 nella regolamentazione degli accessi alle reti fognarie pubbliche tra
 i vari tipi di scarico, assoggettando quelli industriali a specifiche
 autorizzazioni,  ad  accurati  controlli  nonche'  a  requisiti assai
 restrittivi (cfr. artt.  11-13 e All. I Dir. 91/271/CEE).
   Lo Stato italiano, nonostante l'ampia scadenza del termine, non  ha
 ancora  in  alcun  modo provveduto ad operare tale distinzione basata
 sulla natura delle acque confluenti in pubblica fognatura, muovendosi
 addirittura in direzione antitetica, cioe' nel senso di depenalizzare
 sic et simpliciter tutta  la  condotta  di  gestione  della  pubblica
 fognatura  (dalla  mancata richiesta di autorizzazione al superamento
 dei limiti tabellari) a prescindere dalla  qualita'  oggettiva  degli
 scarichi  in  essa terminanti, costituente presupposto necessario per
 le successive opzioni, e questo nonostante le plurime  condanne  gia'
 in  passato  subite  ad  opera  della  Corte di giustizia europea per
 l'eccessiva  permissivita'  del  sistema  sanzionatorio  nel  settore
 dell'inquinamento  idrico  e  per  l'insufficienza  di alcuni tipi di
 sanzioni penali.
   4.  -  Violazione  degli  artt.  25,  secondo  comma,  e  77  della
 Costituzione.
   Principio  costituzionale fondamentale risulta quello della riserva
 assoluta di legge in materia penale, a significazione del  fatto  che
 le scelte in questo settore, formalmente espresse in leggi ordinarie,
 devono  essere  di esclusiva competenza del parlamento, ove il potere
 di criminalizzazione e' rimesso al  libero  gioco  della  maggioranza
 governativa  e  delle  sue  opposizioni con esclusione di altre fonti
 primarie o, comunque, con il controllo  diretto  delle  Camere  sulle
 stesse  o  in  sede  di delega del potere normativo (art. 76 Cost.) o
 all'atto  del  controllo  e  della  recezione  di  norme  precarie  e
 soggette, in caso contrario, a rapida decadenza (art. 77 Cost.).
   La   norma   prevista   dall'art.   3   decreto-legge  n.  79/1995,
 direttamente incidente (nel senso dell'abrogazione) su  una  sanzione
 criminale voluta dal Parlamento, di fatto e' vissuta provvisoriamente
 nell'ordinamento per oltre un anno e mezzo (decreto-legge 15 novembre
 1993  n.  454;  decreto-legge 14 gennaio 1994 n. 31; decreto-legge 17
 marzo 1994 n. 171; decreto-legge 16 maggio 1994 n. 292; decreto-legge
 15 luglio 1994 n.  449;  decreto-legge  17  settembre  1994  n.  537;
 decreto-legge  16 novembre 1994 n. 629; decreto-legge 16 gennaio 1995
 n. 9; decreto-legge 17 marzo 1995 n. 79), avendo cosi' espropriato la
 sede parlamentare del potere esclusivo di disporre in materia penale,
 con l'assunzione in capo all'esecutivo di tali indebite competenze.
   E'  appena  il  caso  di  rilevare  che  la  continua  decretazione
 governativa  protratta  per  un tempo cosi prolungato rende evidente,
 soprattutto in relazione alla norma che qui interessa, la carenza dei
 presupposti costituzionali di necessita' ed  urgenza  indicati  quale
 titolo  di legittimazione dall'art. 77, secondo comma Cost., poiche',
 se gli stessi eventualmente sussistevano al tempo del  primo  decreto
 nel  lungo periodo trascorso ben ci sarebbe stata l'opportunita' e la
 possibilita'  da  parte  delle  competenti  Camere  di  novellare  la
 disciplina  secondo  le  forme  ordinarie  tanto  piu' che, come gia'
 osservato, le norme definite "necessarie ed urgenti"  si  muovono  in
 senso  opposto rispetto alle norme cogenti di diritto internazionale:
 trattasi di presupposto di validita' costituzionale del decreto-legge
 che questa ecc.ma Corte  ha  recentemente  giudicato  sindacabile  in
 quanto  attinente  ad  elementi  costituzionalmente  previsti, il cui
 mancato  rispetto  rappresenta  un  vizio  in  procedendo   dell'iter
 formativo  tanto  da  parte  del  decreto-legge quanto da parte della
 legge che, come nel caso, l'ha convertito valutando positivamente  la
 sussistenza  dei  presupposti  di costituzionalita' delle norme nella
 loro interezza (Corte Cost.  27 gennio 1995 n. 29).
   I dubbi di costituzionalita' paiono,  pertanto  non  manifestamente
 infondati   rispetto   ai   parametri   di   costituzionalita'  sopra
 evidenziati.
   In punto  rilevanza  di  fatto,  e'  chiara  l'essenzialita'  della
 risoluzione  del  dubbio  di  costituzionalita'  poiche'  la condotta
 accertata consiste proprio nel superamento da parte dello scarico  di
 una  pubblica  fognatura  dei  parametri  quali individuati e imposti
 dalla tabella "A"  allegata  alla  legge  c.d.  "Merli"  (e,  laddove
 contemplati,  pure  in  violazione della normativa regionale) tuttora
 applicabili nelle more della definizione della  nuova  disciplina  da
 parte  delle  regioni: infatti, dipendono dalla discussa legittimita'
 della  norma  che  andra'  ad   impugnarsi   le   successive   scelte
 procedimentali  di  competenza  di  questo Ufficio, in particolare le
 ragioni della disponenda archiviazione, cioe' per infondatezza  della
 notizia  di reato perche' il fatto e' sanzionato non penalmente ma in
 via pecuniaria amministrativa in ipotesi di rigetto dell'incidente di
 costituzionalita', ovvero l'archiviazione per  difetto  dell'elemento
 psicologico del reato nella persona sottoposta ad indagini, avendo la
 stessa  posto  in  essere  la condotta in un momento in cui risultava
 provvisoriamente penalmente  lecita,  e  cio'  nel  caso  in  cui  si
 accertasse  la non conformita' delle norme al dettato costituzionale,
 alternativa decisoria che  questa  Corte  ha  costantemente  reputato
 sufficiente a giustificare il suo intervento.