IL TRIBUNALE Il tribunale di Campobasso, sezione promiscua, nella composizione indicata nel verbale dell'odierna udienza; Pronunciando - nel procedimento penale a carico di Tedesco Antonio Giuseppe + 14, iscritto al n. 32/95 r.g. trib. - sulla questione di legittimita' costituzionale dell'art. 34, comma secondo, del c.p.p. - in relazione all'art. 24, comma secondo, della Costituzione - sollevata, nella fase degli atti preliminari del dibattimento, dai difensori degli imputati Tedesco Antonio Giuseppe, Ferrante Giuseppina, Sparandeo Saverio, Di Tolve Carmela, Papa Alfredo, Tedesco Nicola, Di Florio Michele Benedetto e Piccirillo Mario - questione peraltro condivisa e fatta propria dai difensori degli altri imputati -; Sentito il p.m. di udienza; O s s e r v a Tedesco Antonio Giuseppe, Ferrante Giuseppina, Sparandeo Saverio, Di Tolve Carmela, Papa Alfredo, Tedesco Nicola, Di Florio Michele Benedetto e Piccirillo Mario, arrestati in data 3-4 gennaio 1995 in esecuzione di provvedimento restrittivo della liberta' personale (emesso dal g.i.p. di questo tribunale in data 27 dicembre 1994, con contestazione dei delitti di associazione per delinquere finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti, di spaccio di tali sostanze in rilevante quantitativo e di altri reati), hanno a suo tempo proposto richiesta di riesame allo stesso tribunale (ad eccezione di Tedesco Nicola, il quale, in base alla documentazione prodotta in udienza dalla difesa, risulta invece essersi limitato a presentare appello ex art. 310 del c.p.p. avverso un'ordinanza di diniego di rimessione in liberta', pronunciata nel corso del procedimento). L'organo giudicante adito, con varie ordinanze rispettivamente emesse il 23 gennaio, il 7 marzo e il 29 settembre 1995 delle quali la difesa ha depositato esemplari in fotocopia), ha rigettato sia le richieste di riesame che l'appello proposto dal Ferrante Nicola (nella circostanza e' stata appellante anche la Ferrante Giuseppina, ancorche' destinataria di precedente diniego di richiesta di riesame). Rinviati a giudizio dinanzi al Tribunale (giusta decreto del g.u.p. 26 luglio 1995), i sunnominati Tedesco Antonio Giuseppe, Ferrante, Sparandeo Saverio, Di Tolve, Tedesco Nicola, Di Florio e Piccirillo sono comparsi, unitamente ad altri computati, al cospetto di questo collegio giudicante, perche' chiamati a rispondere delle gia' menzionate ipotesi delittuose e di vari altri addebiti, specificati nel citato decreto. Nella fase degli atti preliminari al dibattimento, la difesa, segnalando - mediante apposita produzione documentale - la presenza di due componenti di questo organo giudicante nei collegi, che si sono pronunciati sulle richieste di riesame e sull'appello suindicati, e richiamando la recente pronuncia della Corte costituzionale in tema di incompatibilita' del g.i.p. - che abbia adottato una misura coercitiva nei confronti di imputato successivamente rinviato a giudizio - alle funzioni di giudice del dibattimento, ha sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 34, comma secondo, del c.p.p. - in relazione all'art. 24, comma secondo, della Costituzione -, nella parte in cui non prevede analoga incompatibilita' per il magistrato, che abbia partecipato alla decisione in sede di procedimento per richiesta di riesame ex art. 309 del c.p.p., e cio' nel prospettato presupposto della sostanziale identita' tra una situazione del genere e quella come sopra delibata dal giudice delle leggi con pronuncia di illegittimita' costituzionale. La questione cosi' proposta, con le precisazioni e nei termini di seguito riportati, appare non manifestamente infondata. Giova preliminarmente rilevare che la Corte costituzionale, affermando l'illegittimita' costituzionale, sotto diversi profili, del disposto normativo dell'art. 34, comma secondo, del c.p.p. (giusta sentenze n. 496 del 1990, nn. 401 e 502 del 199l e nn. 124 e 186 del 1992), ha piu' volte ribadito il principio secondo cui ricorrono ragioni di incompatibilita' a comporre il collegio giudicante per la celebrazione del dibattimento per quel giudice che, in un momento precedente e a qualsiasi titolo, abbia comunque compiuto una valutazione contenutistica dei risultati delle indagini preliminari, che possa in ogni modo far dedurre - ancorche' a livello di semplice sospetto - il venir meno della indefettibile imparzialita' del giudice, con connesso pregiudizio della sua posizione di terzieta' e, nel contempo, del diritto di difesa del soggetto inquisito, l'una e l'altro supportati dalla garanzia costituzionale. Orbene, parimenti in applicazione di tale principio, la Corte costituzionale, con sentenza n. 432 del 6 settembre 1995, ha ritenuto e dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 34, comma secondo, del c.p.p., nella parte in cui non prevede la incompatibilita' alle funzioni di giudice del dibattimento per il g.i.p. che abbia applicato una misura cautelare personale nei confronti dell'imputato. Con la citata pronuncia, la Corte, nel sottolineare che "i gravi indizi di colpevolezza, richiesti dall'art. 273, comma primo, del c.p.p. per l'applicabilita' delle misure cautelari, si sostanziano pur sempre in una serie di elementi probatori individuati nelle indagini preliminari e idonei a fornire una consistente e ragionevole probabilita' di colpevolezza dell'indagato", nonche' rilevando che il mutato quadro normativo - conseguente all'entrata in vigore della legge 8 agosto 1995, n. 332 - ha finito per imporre al giudice - che emetta un provvedimento restrittivo della liberta' personale - una ben piu' pregnante valutazione - rispetto a quanto avveniva in passato - degli elementi di accusa portati al suo vaglio, cosi' da pervenire ad esprimere un giudizio con connotati non gia' di semplice legittimita', bensi' di vero e proprio merito sulla colpevolezza dell'imputato (visto che lo stesso giudice e' ora tenuto ad indicare, a base della sua decisione, gli elementi di fatto, da cui sono desunti gli indizi, e le ragioni della rilevanza di essi, cosi' come deve procedere ad una valutazione negativa, ex art. 273, comma secondo, del c.p.p., dell'esistenza, da un lato, di eventuali cause legittimanti il proscioglimento e, dall'altro, dei presupposti per beneficiare, in caso di sentenza di condanna, della sospensione condizionale della pena, la Corte - si diceva - ha appunto individuato, nella formulazione di un simile giudizio, gli elementi che verrebbero a vulnerare, qualora non si fosse affermata l'incompatibilita' del g.i.p. nell'ipotesi prospettata, i surrichiamati principi costituzionalmente garantiti. Ora, per quanto concerne il caso che ne occupa, e' d'uopo innanzitutto evidenziare che il riesame previsto dall'art. 309 del c.p.p. permette al giudice di questa speciale forma di impugnazione di valutare gli elementi sottoposti al suo giudizio nella piu' completa autonomia, essendogli consentita una cognizione piena di quegli elementi, negli stessi termini riconosciuti al giudice che ha emesso il provvedimento restrittivo gravato, e potendo quindi decidere anche per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione del medesimo provvedimento. In ultima analisi, il giudice del riesame, nel momento in cui, proprio in ossequio alle gia' ricordate modifiche normative introdotte dalla legge 8 agosto 1995, n. 332, non puo' sottrarsi ad un approfondito riscontro degli stessi dati - dal punto di vista della sussistenza dei "gravi indizi di colpevolezza" - delibati con il provvedimento impugnato, viene inevitabilmente a compiere quella valutazione contenutistica e di merito, che, secondo la surrichiamata impostazione della Corte costituzionale, radica l'incompatibilita' del giudice. Non e' revocabile in dubbio, infatti, che, in sede di riesame, operando - in modo chiaramente piu' penetrante, stante la peculiare natura garantistica del relativo procedimento - il vaglio degli elementi di fatto, integranti, secondo le proposizioni dell'accusa, i "gravi indizi di colpevolezza" nella ritenuta loro rilevanza, nonche' dovendo ugualmente procedere all'eventuale individuazione di cause di non punibilita' ex art. l29 del c.p.p. o, comunque, delle condizioni per far luogo al beneficio previsto dall'art. 163 del codice penale (in quest'ultima ipotesi - si badi bene - si perviene, in pratica, ad un cosi' penetrante esame del quadro probatorio - fin li' offerto dalle indagini preliminari - da consentire di enucleare, dal conseguente giudizio espresso, una sorta di pronuncia anticipatoria di condanna), il tribunale dia ingresso ad una valutazione di pieno merito delle risultanze processuali portate alla sua delibazione. Cosi' stando le cose, la partecipazione dei componenti del collegio giudicante - che abbia espresso una simile valutazione - al giudizio sul merito della res iudicanda e, quindi, sulla colpevolezza dell'imputato sembra proporsi in termini di totale confliggenza con il dettato costituzionale sotto tre diversi profili, tenuto conto: a) che, con riguardo all'art. 3 della Costituzione, l'imputato - la cui posizione sia stata gia' valutata in sede di provvedimento di riesame - verrebbe a trovarsi in una palese situazione deteriore rispetto ad eventuali coimputati nello stesso processo, che non abbiano formulato istanza di riesame, con connessa violazione della pari dignita' sociale e dell'eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge; b) che, in relazione all'art. 24,, comma secondo, della Costituzione, la previa valutazione di merito, operata dal giudice del dibattimento nella sua precedente qualita' di giudice del riesame, potrebbe indurre a ritenere che lo stesso giudice qualora abbia confermato, in quest'ultima veste, il provvedimento restrittivo della liberta' personale, pronunciato nei confronti dell'imputato, abbia gia' raggiunto, prima ancora della celebrazione del dibattimento, il convincimento positivo sulla responsabilita' dell'imputato medesimo, il cui diritto di difesa rimarrebbe in tal modo irrimediabilmente vulnerato; c) che, con riferimento all'art. 25 della Costituzione, l'anzidetta valutazione di merito offrirebbe, comunque, valide ragioni di dubbio sulla "terzieta'" del giudice del dibattimento (dal momento che questi, a dispetto dello spirito cui la legge delega 16 febbraio 1987, n. 81, si e' ispirata attraverso l'introduzione del regime del cosiddetto "doppio fascicolo" ex artt. 431 e 433 del c.p.p. - cosi' da sottrarre alla conoscenza del giudice del dibattimento gli atti inclusi nel fascicolo del p.m. -, verrebbe ad avere una non consentita cognizione anticipata dei fatti da giudicare, con correlata offesa del principio di imparzialita' del giudice naturale precostituito per legge. Alla luce delle suesposte considerazioni, ricorrono, a parere di questo collegio, i presupposti perche' si radichi la, incompatibilita' del giudice del dibattimento, che si sia precedentemente pronunciato in ordine all'istanza di riesame di provvedimento restrittivo della liberta' personale, emesso nei confronti di imputato, sulla cui colpevolezza lo stesso giudice e' chiamato a delibare nella fase cognitiva del procedimento. La relativa questione e' quindi da ritenere non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3, 24 e 25 della Costituzione e con riguardo all'art. 34, comma secondo, del c.p.p., nella parte in cui tale norma non prevede che non possa partecipare al dibattimento il giudice che, nei confronti di imputato rinviato a giudizio, si sia precedentemente pronunciato in ordine all'istanza di riesame - proposta dal medesimo imputato - di un provvedimento restrittivo della liberta' personale. Ne' si puo' sostenere - secondo le non condivisibili prospettazioni avanzate dal p.m. di udienza in sede di discussione sulla questione come sopra dedotta dai difensori - che una simile incompatibilita', tenuto conto del dato letterale contenuto nell'art. 34 del c.p.p. - laddove si fa esclusivo e testuale riferimento al "giudice" -, non sia in ogni modo ravvisabile nei casi in cui, vertendosi in tema di giudice collegiale - come per il tribunale del riesame -, il collegio giudicante del dibattimento non sia costituito dagli stessi componenti di quello che ha operato in sede di riesame; per suffragare la sua tesi, il p.m. ha aggiunto che, ad esempio, la presenza, nel collegio giudicante, di un solo componente di quello del riesame non varrebbe comunque a vulnerare il diritto di difesa dell'imputato - che abbia visto rigettata una sua istanza di riesame -, ove si consideri che quello stesso componente potrebbe essere stato dissenziente rispetto alla decisione di diniego assunta a maggioranza con il voto favorevole degli altri due componenti, non presenti nella fase dibattimentale. Siffatta impostazione - pur nella sua suggestiva articolazione - non inficia la validita' delle argomentazioni piu' sopra illustrate. Non ha considerato innanzitutto il p.m. che la pronuncia collegiale, per le sue peculiari connotazioni, e' comunque riferibile a tutti i componenti dell'organo, a prescindere dall'assunzione della decisione all'unanimita' o a semplice maggioranza; non va nemmeno trascurato che l'eventuale componente posto in minoranza non potra' mai rendere noto il suo dissenso - affidato, com'e', all'intangibile segretezza della camera di consiglio - e che la sua posizione in seno al collegio giudicante del dibattimento, stante l'ipotizzabile acquisizione, da parte di quel giudice, di un convincimento sulla res iudicanda - anche se favorevole all'imputato - verrebbe comunque a confliggere con i gia' richiamati principi costituzionali dell'eguaglianza dei cittadini, di fronte alla legge (visto che l'imputato interessato risulterebbe indubbiamente avvantaggiato rispetto ad eventuali coimputati, nei cui confronti non sia stato pronunciato alcun provvedimento in sede di riesame) e della terzieta' del giudice (dal momento che il collegio giudicante, anche se nella persona di un solo suo componente, sarebbe a conoscenza delle risultanze delle indagini preliminari, componente che, avendo proceduto, a differenza degli altri, ad una valutazione di merito di esse, potrebbe, con il suo apporto decisionale alla pronuncia finale, pregiudicare l'imparzialita' del giudizio conclusivo della vicenda processuale. Ritenuta, pertanto, la non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 34, comma secondo, del c.p.p. con riguardo alla partecipazione al dibattimento del giudice del riesame ex art. 309 del c.p.p. (e cio' a prescindere dal rigetto o dall'accoglimento della richiesta), analoga questione ritiene il collegio di sollevare d'ufficio - nei limiti che saranno di seguito specificati - con riferimento al giudice, che si sia pronunciato sull'appello proposto dall'imputato ex art. 310 del c.p.p. Infatti, se e' pur vero che, in casi del genere, il giudice, contrariamente a quanto avviene per il riesame, e' legato al vincolo del tantum devolutum quantum appellatum (di modo che la decisione non puo' oltrepassare i rigorosi confini tracciati dai motivi di gravame), e' altrettanto vero che, nel momento in cui tali motivi investano anche l'indagine sulla sussistenza o meno dei "gravi indizi di colpevolezza", il collegio giudicante si trova a dover inevitabilmente compiere quella approfondita valutazione contenutistica e di merito, che non puo' che determinare, sotto il profilo dell'incompatibilita' di quel giudice a partecipare al dibattimento a carico dell'imputato precedentemente appellante, le stesse conseguenze che hanno reso individuabile la non manifesta infondatezza della questione come sopra esaminata relativamente al giudice del riesame ex art. 309 del c.p.p. Non sembrano invece individuabili tali conseguenze tutte le volte in cui i motivi dell'appello ex art. 310 del c.p.p. siano circoscritti al riscontro di eventuali esigenze cautelari sulla base del disposto dell'art. 274 del c.p.p., atteso che si verte chiaramente nell'ambito di una decisione di natura meramente processuale, per cio' stesso inidonea (cosi' come ha reiteratamente affermato il giudice delle leggi - cfr. sentenze n. 124 del 1992 e 186 dello stesso anno -) "a dar luogo ad un ''pre-giudizio'' rispetto alla decisione di merito". Entrambe le questioni, come delineate in precedenza, vanno quindi portate, stante la loro non manifesta infondatezza, al vaglio della Corte costituzionale, mediante immediata trasmissione degli atti. E' conseguenziale la sospensione del giudizio in corso, sospensione che, nella valutazione della stretta connessione tra le posizioni dei soggetti - con riguardo ai quali sono state sollevate le questioni di legittimita' costituzionale - e degli altri coimputati, non puo' che essere disposta anche nei confronti di questi ultimi e, quindi, per il procedimento nella sua interezza.