IL TRIBUNALE
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza nel procedimento penale n.
 497/1995 a carico di: Varetti Antonio + 1.
   Il tribunale di Salerno, terza sezione  penale  nelle  persone  dei
 Magistrati   Anna   Allegro,   Francesco   Siano   ed   Ugo   Candia,
 sull'eccezione di  costituzionalita'  sollevata  dalla  difesa  degli
 imputati  Varetti  Antonio e Varetti Luciano alla odierna udienza del
 23 ottobre 1995, dell'art. 34, secondo  comma,  codice  di  procedura
 penale  con  riferimento  agli  artt. 3 e 24 della Costituzione nella
 parte in cui  non  ha  previsto  l'incompatibilita'  fra  il  giudice
 chiamato  a  celebrare  il giudizio dibattimentale e quello che lo ha
 compiuto  in  precedenza.  Il  Collegio  del  tribunale  del  riesame
 chiamato  a  pronunziarsi  in materia de libertate, udito il pubblico
 ministero ed esami agli  atti;  rilevato  che  questa  terza  sezione
 penale  ebbe  a  pronunziarsi  in data 27 febbraio 1995 con ordinanza
 depositata il 1 marzo 1995  sulla  richiesta  di  riesame  presentata
 nell'interesse di entrambi gli imputati, dell'ordinanza del g.i.p. in
 sede  in positiva della misura degli arresti domiciliari in relazione
 ai delitti di bancarotta fraudolenta per i  quali,  con  decreto  del
 g.i.p.  in  sede  del 9 maggio 1995, e' stata disposta la citazione a
 giudizio dinanzi a questo tribunale.
   Tanto premesso e rilevato, osserva: l'eccezione e',  a  parere  del
 Collegio,  rilevante  ai  fini  della decisione in quanto, se venisse
 dichiarata la sua fondatezza,  verrebbe  ad  essere  pregiudicata  la
 decisione  assunta  all'esito  del  giudizio, attesa la contemporanea
 presenza di due membri del tribunale  e,  precisamente,  dei  dottori
 Allegro  e  Siano nel Collegio che ha pronunciato la decisione del 27
 febbraio 1995 quale giudice del riesame, ed a  quello  dibattimentale
 odierno;  sicche' i predetti due giudici risulterebbero incompatibili
 ai sensi dell'art. 34 codice di procedura penale.
   La questione e' del pari manifestamente infondata. Va  sottolineato
 che  essa  ha  registrato  un contrasto interpretativo fra gli stessi
 giudici ordinari, com'e' desumibile anche da pronunce della Corte  di
 cassazione  che  ha  dichiarato  manifestamente  infondate  eccezioni
 analoghe a quelle odierne. Si confronti a riguardo la sentenza  della
 Sezione  VI  23  aprile  1991  -  Cavazzini,  che  ha  avuto  modo di
 pronunciarsi rigettando l'eccezione  di  non  manifesta  infondatezza
 proprio  sulla dedotta incompatibilita', per la partecipazione di uno
 o piu' Magistrati al Collegio  giudicante  che  abbia  in  precedenza
 partecipato al procedimento incidentale di riesame.
   La  stessa Corte costituzionale, affrontando il tema in oggetto con
 sentenza n. 502 del 1991, dichiarata infondata la questione giunta al
 suo  esame  di  illegittimita'  costituzionale  dell'art.  34,  comma
 secondo,  codice  di  procedura penale nella parte in cui non prevede
 che la  previa  conoscenza  degli  atti  delle  indagini  preliminari
 acquisita  dal  Giudice  in  occasione del riesame ex art. 309 c.p.p.
 comporti l'incompatibilita' a partecipare al dibattimento. In  quella
 occasione la Corte espresse il principio della sostanziale diversita'
 del  giudizio  di  merito,  riconducibile  alla fase incidentale ed a
 quella  dibattimentale,  per  farne  derivare  l'esclusione  di  ogni
 pregiudizio   che  potesse  vulnerare  l'imparzialita'  del  processo
 formativo della decisione.
   Senonche', con sentenza n. 432  del  15  settembre  1995  la  Corte
 costituzionale, pur chiamata a decidere sulla fattispecie concernente
 l'incompatibilita'  del giudice per le indagini preliminari che abbia
 applicato una misura cautelare personale, a partecipare  al  giudizio
 dibattimentale, sembra prospettare un'inversione di tendenza rispetto
 al  precedente  orientamento  di  chiusura.  In  particolare la Corte
 espressamente si richiama alle piu' recenti pronunce sul  tema  della
 incompatibilita' (n. 186 del 1992, n. 124 del 1992 e n. 502 del 1991)
 unitamente   alla   evidenziazione  dei  nuovi  principi  informatori
 introdotti dalla legge n. 88/1995 n. 332 che, a giudizio della  Corte
 "si  pongono  come  utili  elementi  di raffronto e consentono ora di
 pervenire a diversa conclusione".
   In tale nuovo quadro interpretativo la Corte  ha  sottolineato  che
 "l'analisi  del  problema  non si esaurisce nella valutazione di tipo
 indiziario, che il giudice compie in sede di indagini preliminari,  e
 giudizio  sul  merito dell'accusa all'esito del dibattimento, ma deve
 anche considerare, piu' specificatamente, la possibilita' che  alcuni
 apprezzamenti  sui  risultati  delle indagini preliminari determinino
 un'anticipazione di giudizio suscettibile di minare l'imparziabilita'
 del giudice".
   Inoltre la Corte ha rilevato che il giudice che applica  la  misura
 cautelare  ai sensi dell'art. 292, lettera C, codice procedura penale
 - cui e' ammissibile la posizione funzionale del giudice del  riesame
 ai  sensi  dell'art.  309  c.p.p. - e' tenuto ad esporre con adeguata
 motivazione  gli  indizi  che  giustificano  in  concreto  la  misura
 disposta,  con  l'indicazione  degli  elementi  di  fatto da cui sono
 desunti e dei motivi per i quali essi assumono rilevanza. Ed  inoltre
 -  elemento  di  sostanziale  importanza  -  che l'applicazione della
 misura cautelare comporta una valutazione  negativa  non  solo  circa
 l'esistenza  di  condizioni  legittimanti il proscioglimento, ex art.
 273, comma secondo, (cause di giustificazione, di non punibilita', di
 estinzione  del  reato  della  pena),  ma  anche   in   ordine   alla
 possibilita'  di  ottenere  con  la  sentenza,  che  evidentemente si
 ritiene di condanna, la sospensione  condizionale  della  pena  (art.
 275, comma 2-bis, introdotto dalla citata legge n. 332 del 1995).
   In  sostanza, il giudice del riesame - investito ex art. 309 c.p.p.
 -  viene  ad  esercitare  un'attivita'  di  controllo  non  solo   di
 legittimita' sul provvedimento impugnato ma di vero e proprio merito,
 con  poteri  integrativi che consentono di poter decidere anche sulla
 base  di  motivi  diversi  da  quelli  enunciati   dal   g.i.p.   nel
 provvedimento in positivo.
   Pertanto  non  puo'  manifestamente  escludersi che "la valutazione
 conclusiva sulle responsabilita' dell'imputato sia, o possa apparire,
 condizionata dalla cosiddetta forza  della  prevenzione  e  cioe'  da
 quella  naturale  tendenza a mantenere un giudizio gia' espresso o un
 atteggiamento gia' assunto in altri momenti decisionali dello  stesso
 procedimento".
   Cio'  posto,  si  delinea  il dedotto contrasto dell'art. 34 codice
 procedura penale con gli artt. 3 e 24 della Costituzione in quanto si
 profila la  disparita'  di  trattamento  tra  imputati  giudicati  da
 magistrati  che  non  si  sono  pronunciati  sull'esistenza dei gravi
 indizi di colpevolezza legittimanti l'adozione della misura, e quelli
 che vengono giudicati da magistrati mai  chiamati  ad  esprimere  una
 tale valutazione.
   Tale  situazione  ridonda  anche  in  violazione dell'art. 24 della
 Costituzione   ove   si   consideri   che   la   valutazione    sulla
 responsabilita'  potrebbe  essere pregiudicata dalla cennata forza di
 prevenzione, con pregiudizio del diritto di difesa.