IL PRETORE Ha pronunciato la seguente ordinanza nel proc. pen. n. 7833/1994, imputato: Margutti Achille. All'attuale imputato e' stata contestata la contravvenzione all'art. 707 c.p., perche', essendo stato gia' condannato per delitti determinati da fini di lucro, veniva colto in possesso, non giustificato, di attrezzi atti a forzare serrature. Preso atto anche sotto il profilo della rilevanza che del fatto materiale riportato in imputazione vi e' stata conferma in sede di istruttoria dibattimentale, in diritto e' ben noto quali e quanti problemi sia interpretativi sia di costituzionalita' abbia dato luogo la norma in questione, sottoposta a fortissime critiche dottrinali (che hanno trovato larga eco soprattutto nella giurisprudenza di merito) per la natura di reato di "sospetto", per il correlativo preponderante e anomalo rilievo che assume lo status di pregiudicato; per l'inversione dell'onere della prova; per la sproporzione della pena. Proprio sotto quest'ultimo profilo pare al giudicante che il minimo edittale dell'art. 707 determini conseguenze paradossali e contraddizioni talmente stridenti da determinare nella persistente inerzia del legislatore dubbi di compatibilita' con la Costituzione non eludibili con interpretazioni "adeguatrici" dal momento che se anche il giudice ha una discrezionalita' - fortemente esaltata con riferimento al reato de quo sin dal 1975 della Corte costituzionale - che si estende "previamente al giudizio sull'esistenza stessa del reato" e cosi' "essendo a lui attribuito il piu' largo potere in ordine alle cause generali di giustificazione (i cosiddetti elementi negativi del reato) ... non puo' negarsi che rientri nel sistema la sussunzione ad elemento oppure a condizione della mancata giustificazione del possesso di determinati oggetti" (cosi' si esprimeva la sentenza n. 236/1975 della Corte costituzionale), nessuna discrezionalita' possiede invero, il giudice di fronte al limite edittale della pena (fatta salva la sola applicazione delle attenuanti generiche, che non sposta comunque i termini della questione), che nel minimo l'art. 707 stabilisce in mesi sei di arresto. Trattasi di una "soglia" particolarmente alta, se rapportata sia alla previsione generale dell'art. 25 c.p. ("La pena dell'arresto si estende da cinque giorni ..."), sia alle altre contravvenzioni concernenti la prevenzione di delitti contro il patrimonio (cfr. ad es. il minimo edittale di tre mesi dell'art. 708 c.p., che ha comune presupposto soggettivo), sia ancora al piu' generale trattamento sanzionatorio dei delitti contro il patrimonio, dove il furto semplice e' punito con minimo di giorni quindici di pena detentiva e la stessa pena, per effetto di intervento del legislatore ormai piu' che ultraventennale (legge n. 220 del 1974) e' possibile irrogare attraverso l'equivalenza tra attenuanti generiche e aggravanti dell'art. 625 anche quando ricorrano tali aggravanti. Se il sistema poteva avere una sua coerenza (naturalmente opinabile dal punto di vista delle scelte di politica criminale, di pura e drastica repressione) prima della riforma del 1974, non altrettanto puo' dirsi per la situazione vigente, in cui un semplice atto preparatorio, in se' altrimenti non punibile, viene sottoposto a sanzione detentiva decisamente pesante, spesso molto maggiore di quella che in concreto e' normalmente irrogata nel caso di inizio di esecuzione del furto: si pensi, ad es. (per fare un caso di cui si e' occupata la Corte sotto il profilo processuale della legittimita' dell'arresto in flagranza) alla sottrazione di capo di abbigliamento in grande magazzino con l'aggravante della violenza sulle cose consistita nella asportazione della "piastra" magnetica antifurto mediante piccole pinze o altri strumenti analoghi, il cui possesso, ricorrendo le condizioni soggettive ivi previste, e non essendovi un principio di esecuzione, comporta l'assoggettamento alla pena dell'art. 707. Essendo arresto e detenzione species di un unico genus (pena detentiva) con effetti sostanzialmente identici, senza volere inutilmente dilungarsi in problematiche ben note, pare al giudicante che punire con pena cosi' eccessiva come quella dell'art. 707 c.p. il possesso anche di un unico attrezzo (ad es., un cacciavite, un paio di forbici, una chiave inglese, ecc.), in se' non indice di particolare pericolosita' del soggetto, e non tale da agevolare in modo rilevante il compimento di atti delittuosi contro il patrimonio, comporti una situazione di disagio in chi e' demandato ad applicare la norma del tutto affine a quella di cui si e' recentemente occupata la Corte costituzionale in materia di oltraggio a pubblico ufficiale (sentenza n. 341/1994), decisione cui questo giudice si richiama anche ai fini del rinvenimento nel sistema del trattamento sanzionatorio minimo (nella specie: art. 25 c.p.), senza interferenza nella sfera di discrezionalita' legislativa. Anche in materia di art. 707 c.p. a buon diritto si puo' infatti parlare di vanificazione del fine rieducativo della pena, e di sanzione penale manifestamente eccessiva rispetto al disvalore dell'illecito, essendo stato dalla Corte costituzionale affermato in via generale che la finalita' rieducativa della pena non e' limitata alla sola fase della esecuzione ma costituisce "una delle qualita' essenziali e generali che caratterizzano la pena nel suo contenuto ontologico e l'accompagnano da quando nasce nell'astratta previsione normativa, fino a quando in concreto si estingue", e d'altro lato che "il principio di proporzionalita' nel campo del diritto penale equivale a negare legittimita' alle incriminazioni che, anche se presumibilmente idonee a raggiungere finalita' statuali di prevenzione, producono, attraverso la pena, danni all'individuo (ai suoi diritti fondamentali) ed alla societa' sproporzionatamente maggiori dei vantaggi ottenuti (o da ottenere) da quest'ultima con la tutela dei beni o valori offesi dalle predette incriminazioni".