IL  COMMISSARIO  DELLO  STATO
   L'assemblea  regionale  siciliana nella seduta del 23 dicembre 1995
 ha approvato il disegno di legge n. 904  dal  titolo  "Interventi  in
 materia  di enti locali, di personale dipendente dall'amministrazione
 regionale e dei disciolti patronati scolastici. Modifiche alle  leggi
 regionali  24  giugno 1986, n. 31, 20 agosto 1994, n. 32 e 30 ottobre
 1995, n. 76. Proroga di termini"; pervenuto  a  questo  commissariato
 dello  Stato,  ai  sensi e per gli effetti dell'art. 28 dello statuto
 speciale il 27 dicembre 1995.
   Il provvedimento legislativo, volto precipuamente a dare  soluzioni
 a situazioni di precariato peculiari di talune categorie di personale
 in   servizio   presso   comuni   siciliani,   contiene  anche  varie
 disposizioni concernenti l'organizzazione degli enti locali oltre che
 norme specifiche per il personale regionale.
   Le disposizioni di cui agli artt. 1, 2, 4, 6 e  10  danno  adito  a
 censure  di  carattere  costituzionale per i motivi che di seguito si
 espongono.
   L'art. 1, il cui testo si trascrive, si pone in  palese  violazione
 degli  artt.  97  e  119  della  Costituzione nonche' degli artt. 22,
 ventesimo comma legge n. 724/1994, 2, lettera r), legge n.  421/1992,
 3,  d.-l.    n.  514/1995  e  degli artt. 12, terzo comma, e 13 dello
 statuto speciale.
                               "Art. 1.
    Istituzione di posti a tempo parziale presso gli enti locali e
                          relativa disciplina
   1. - In deroga alla vigente  normativa  statale,  gli  enti  locali
 siciliani  possono  istituire, per l'espletamento delle funzioni loro
 trasferite, posti a "tempo parziale".
   2. - Nel caso di cui al comma 1, il limite del 20 per cento di  cui
 all'art.  1,  comma 1, della legge regionale  15 maggio 1991, n.  22,
 e' incrementato fino alla misura massima del 40 per cento.
   3.  -  Nell'applicazione  dell'art.  57  della  legge  regionale  1
 settembre 1993, n. 25, dovra' tenersi conto delle modifiche apportate
 alla legge regionale 15 maggio 1991, n. 22, ai sensi del comma 2.
   4.  - Con successivo decreto dell'assessore per gli enti locali, da
 emanare entro sessanta giorni dall'entrata in vigore  della  presente
 legge,  verranno disciplinate le modalita' applicative delle norme di
 cui al presente articolo".
   Tutto l'impianto  dell'articolo  teste'  riportato  appare  rivolto
 esclusivamente     a    stabilizzare,    mediante    l'autorizzazione
 all'ampliamento delle piante organiche svincolato dai cogenti  limiti
 posti  dalla  legislazione  nazionale  di riferimento che in subiecta
 materia costituisce norma di riforma economico-sociale,  il  rapporto
 di  lavoro  delle numerosissime unita' di personale in atto legate da
 un rapporto di lavoro precario con gli enti locali dell'isola.
   Sull'argomento e' utile richiamare il succedersi  degli  interventi
 legislativi della regione nella materia.
   La  legge  regionale  n.  22/1991  ha  autorizzato  gli enti locali
 dell'isola ad ampliare con onere a carico della regione le rispettive
 piante organiche in misura non superiore al 20% (art.  1)  inclusi  i
 comuni   che   avessero  proceduto  alla  rideterminazione  ai  sensi
 dell'art. 25 d.-l. n. 66/1989, convertito in legge n. 144/1989  (art.
 6).
   La  creazione  dei  nuovi  posti  era  finalizzata  all'inserimento
 definitivo nella  struttura  degli  enti  locali  dei  lavoratori  in
 servizio  da  almeno  trecentosessantacinque  giorni, con rapporto di
 lavoro subordinato o con  contratto  d'opera  individuale  instaurato
 sulla base di provvedimento formale (art. 3).
   Al  suddetto personale e' stato, altresi', garantito (art. 3, terzo
 comma) il mantenimento della sede dove  veniva  prestata  l'attivita'
 lavorativa anche nella ipotesi di collocamento in soprannumero.
   Successivamente,  l'art.  57  della  legge  regionale  n.  25/1993,
 riscontrate difficolta' applicative della  precedente  normativa,  ha
 stabilito  il  mantenimento in servizio o la riassunzione dei precari
 di cui all'art. 3 della cennata legge regionale n. 22/1991 in  attesa
 della definizione delle procedure dalla stessa previste.
   La  disposizione  oggetto  di  censura,  pur nella sua formulazione
 ambigua e contorta, risulta  facilmente  comprensibile  se  posta  in
 relazione con l'art. 3 dello stesso provvedimento legislativo.
   La  norma  de  qua, infatti, non esclude dalla sua applicazione gli
 enti locali che abbiano gia' provveduto  alla rideterminazione  delle
 proprie  piante  organiche  ai  sensi  delle disposizioni di cui alle
 leggi  n.  537/1993    e  n.  724/1994  e  presumibilmente  anche  in
 considerazione  dell'ampliamento consentito dalla legge regionale  n.
 22/1991.
   La disposta autorizzazione all'ulteriore incremento delle dotazioni
 organiche (sino al 40%) oltre che costituire una evidente  violazione
 dell'art.  22, ventesimo comma, della legge n. 724/1994, che fissa al
 25% la percentuale massima del  contingente  del  personale  a  tempo
 parziale,  rappresenta  un espediente non solo per mantenere in vita,
 ma addirittura per ampliare, la  portata  della  legge  regionale  n.
 22/1991.
   Risulta,  pertanto,  violato il principio di cui all'art. 119 della
 Costituzione in quanto l'obiettivo, perseguito a  livello  nazionale,
 di   ridurre   la   spesa  pubblica,  imposto  anche  dagli  obblighi
 comunitari, risulterebbe gravemente  compromesso  dalla  manovra  del
 legislatore  siciliano che autorizza un incontrollabile meccanismo di
 aumento del personale e dei relativi oneri.
   Se infatti la legge regionale n. 22/1991 poteva  trovare  obiettiva
 giustificazione  nell'esigenza di far fronte alle nuove competenze di
 recente trasferite  ai  comuni  non  appare  altrettanto  ragionevole
 l'attuale   previsione   che,   omettendo   di   tenere   in   debita
 considerazione gli indirizzi di politica  economica  contenuti  nella
 legislazione  nazionale di riferimento in materia di pubblico impiego
 (principio cui essa stessa esplicitamente  ammette  di  derogare)  e'
 tesa soltanto a privilegiare la tutela del posto di lavoro, seppure a
 condizioni  limitate,  di quel personale che ogni verosimiglianza non
 potrebbe rientrare nella previsione di stabilizzazione  del  rapporto
 di cui all'art. 3.
   Determinante   sul   punto  e',  altresi',  la  considerazione  che
 costituisce interesse unitario del Paese, come   d'altronde  ribadito
 da  codesta  ecc.ma  Corte  con  la  recente  sentenza  n.  478/1995,
 l'attuazione della riforma  del pubblico impiego basata proprio sulla
 riorganizzazione e razionalizzazione degli apparati e  sul  controllo
 delle  spese  connesse al personale; obiettivi questi che, qualora la
 norma de qua trovasse applicazione, sarebbero  sicuramente  disattesi
 non  avendo  il  legislatore  siciliano  previsto  alcun  parametro o
 requisito,   alternativi   a   quelli   individuati  dalla  normativa
 nazionale, cui ancorare la determinazione numerica delle nuove unita'
 di personale  ritenute necessarie.
   Si soggiunge che la disposizione oggetto di gravame puo' costituire
 per gli enti locali un agevole espediente per eludere e vanificare il
 perseguimento degli obiettivi posti dalla rigorosa disciplina statale
 ed indurli cosi' ad implementare le proprie dotazioni organiche senza
 preventivamente procedere a severe verifiche delle esigenze, le  sole
 che   possono  evidenziare  eventuali  carenze  di  personale  e  che
 potrebbero essere soddisfatte anche con il personale gia' in servizio
 mediante una opportuna razionalizzazione del suo impiego.
   Il quarto comma dell'articolo in  questione  si  pone,  infine,  in
 palese  contrasto  con  l'art.  12  dello statuto speciale atteso che
 demanda  all'assessore  la  determinazione  della  disciplina   della
 modalita' applicativa della norma contenuta nello stesso articolo.
   Poiche'   detto   decreto   assessoriale   avrebbe   chiara  natura
 regolamentare esso alla stregua degli artt. 12 e 13    dello  statuto
 sociale, puo' essere emanato esclusivamente dal Governo della regione
 (e   quindi   con  decreto  del  Presidente)  non  essendo,  infatti,
 ammissibile nel sistema delle  fonti  dell'ordinamento  regionale  un
 atto normativo
  emanato  dall'assessore  (come peraltro ricosciuto da codesta ecc.ma
 Corte con sentenza n. 32/1961 ed evidenziato piu' volte  dalla  Corte
 dei conti e dal Consiglio di giustizia amministrativa.
   L'art. 2, che di seguito si trascrive, da' parimenti adito a motivi
 di   gravame   per  violazione  degli  artt.  97,  101  e  103  della
 Costituzione.
                               "Art. 2.
   Norma applicativa dell'art. 3 della legge regionale 15 maggio 1991,
                                 n. 22
   1. - Il  rapporto  di  servizio  di  cui  all'art.  3  della  legge
 regionale  15  maggio  1991,  n.  22  si considera utilmente prestato
 ancorche' reso in forza di atti deliberativi successivamente decaduti
 o annullati.".
   La disposizione teste' riportata non e' da ritenersi mera e,  sotto
 questo  profilo,  non  necessaria riproposizione del principio di cui
 all'art. 2126  del  Codice  civile,  tenuto  presente  che  esso  per
 costante giurisprudenza e' applicabile anche al pubblico impiego.
   In  base  a  detto  principio  il  servizio  reso  in forza di atti
 deliberativi decaduti o annullati conferisce,  infatti,  soltanto  il
 diritto alla percezione della retribuzione, mentre la norma impugnata
 mira  a considerare utilmente prestato il servizio in questione anche
 ai fini dell'art.  3 della legge regionale n. 22/1991 e quindi valido
 per consentire la prosecuzione, la ripresa o la stabilizzazione di un
 rapporto illegittimamente costituitosi.
   Da tutto cio' emerge che l'art. 2  in  questione  ripropone,  nella
 sostanza,  ampliandone  ulteriormente  la  portata,  la  norma di cui
 all'art.     1,  sesto  comma,  del   d.d.-l.   n.   1018   approvato
 dall'amministrazione regionale siciliana il 16 maggio 1995 avverso la
 quale  questo commissariato ha proposto impugnativa iscritta al n. 37
 del registro dei ricorsi di codesta ecc.ma Corte.
   Per essa, pertanto, non possono che riproporsi le motivazioni  gia'
 svolte,   che   con  il  presente  atto  si  intendono  integralmente
 richiamare.
   Nella  norma  de  qua  non  si  riesce,  invero,  ad individuare un
 interesse  pubblico  che  la  sorregga  essendo  essa  esclusivamente
 rivolta   a   tutelare   le   posizioni  giuridiche  illegittimamente
 conseguite  da  soggetti  nei  confronti   dei   quali   si   ammette
 implicitamente  l'applicazione  dei  benefici di cui all'art. 3 della
 legge regionale n. 22/1991.
   In proposito va altresi' rilevato che l'attuazione  della  suddetta
 disposizione  potrebbe  addirittura  consentire  il  mantenimento  in
 servizio  di  personale  assunto  con  provvedimenti  non  formali  o
 illegittimi che con successivi atti deliberativi, lasciati decadere o
 annullati in sede di autotutela, l'amministrazione locale ha ritenuto
 non   necessari   o  confacenti  per  l'espletamento  delle  funzioni
 trasferite dalla regione.
   La previsione in argomento sembra, invero, configurare un  atto  di
 generalizzata    ed    indiscriminata    sanatoria,    che   ritenuta
 aprioristicamente  non  inammissibile,  e'  consentita  soltanto   in
 presenza di situazioni eccezionali e sempre che sussistano preminenti
 interessi  pubblici  di  importanza generale e non tenda a scagionare
 amministratori che hanno posto in essere gli atti illegittimi che  si
 vogliono sanare (sentenza Corte costituzionale n. 94/1995).
   Orbene,  la  disposizione  de  qua  non possiede alcuno dei cennati
 requisiti essendo, come gia' esposto, volta esclusivamente a tutelare
 posizioni  di  fatto  di  singoli  ai  fini   del   loro   successivo
 inquadramento  nei ruoli organici, predisposti eventualmente anche in
 deroga alla legislazione nazionale (artt. 1 e 3).
   L'art. 4, che appresso si riporta, da' anch'esso adito a censure di
 carattere costituzionale sotto il profilo del  mancato  rispetto  dei
 principi di cui agli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione.
                               "Art. 4.
                  Determinazione delle piante organiche
   1. - Nella determinazione dei limiti dei posti vacanti delle piante
 organiche di cui all'art. 19 della legge regionale 25 maggio 1995, n.
 46,  i  posti istituiti a seguito della rideterminazione delle piante
 organiche prevista dal comma 16, dell'art. 22 della legge 28 dicembre
 1994, n. 724, di pari qualifica e  profilo  professionale  di  quelli
 gia'  esistenti  e  vacanti  alla  data  del  31  agosto  1993  e non
 ricompresi nella provvisoria definizione della pianta organica,  come
 prescritta dall'art. 3, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, debbono
 intendersi quali posti preesistenti.
   2.  -  Il  conferimento  di tali posti agli idonei resta consentito
 sempre  che  le  graduatorie  dei  relativi  concorsi  non  risultino
 approvate  da  oltre  trentasei  mesi,  anche  in deroga all'art. 219
 dell'ordinamento regionale degli enti locali.".
   La  norma,  dal   tenore   letterale   scarsamente   intellegibile,
 costituisce  nella  sostanza  un  tentativo  di  eludere il principio
 generale del pubblico impiego, ribadito da codesta Corte con sentenza
 n. 266/1993, in  base  al  quale  non  e'  consentito  utilizzare  la
 graduatoria  di  idonei  di  precedenti concorsi in relazione a posti
 istituiti, come nel caso in ispecie, successivamente all'approvazione
 delle  graduatorie  medesime,  giacche',  se  cosi'  non  fosse,   la
 selezione   per nuovi posti non avrebbe piu', nei fatti, un carattere
 concorsuale ma acquisterebbe i tratti di un'assunzione  ad personam.
   Non  puo',  infatti, ritenersi concessa al legislatore siciliano la
 potesta' di far considerare cio' che e' nuovo come  preesistente,  id
 est posti di nuova creazione quali posti preesistenti.
   Ne' risultano convincenti le argomentazioni contenute nelle odierne
 note n. 045 dell'assessorato regionale agli enti locali (allegato 1).
   Suscita  dubbi di costituzionalita' anche l'art. 6 che testualmente
 recita: "Quanto  disposto  dall'art.  56  della  legge  regionale  29
 ottobre  1985,  n. 41, si applica ai dirigenti amministrativi assunti
 ai sensi della legge regionale 30 gennaio 1981, n. 8, in possesso dei
 requisiti richiesti.
   Le  domande  dovranno  essere  presentate   entro   trenta   giorni
 dall'entrata  in  vigore  della  presente legge e l'inquadramento nei
 ruoli tecnici potra' avvenire anche in sovrannumero".
   Tale disposizione si appalesa, infatti, illegittima per  violazione
 dell'art.   97   della  Costituzione  nella  parte  in  cui  consente
 l'inquadramento,  nei  ruoli  tecnici,  anche  in  sovrannumero,  del
 personale destinatario.
   Pur  ritenendosi  plausibile  l'estensione  ad  altre  categorie di
 personale  regionale   escluse   dall'applicazione   di   una   norma
 transitoria,  con  cui per particolari ragioni sussistenti al momento
 dell'approvazione,  si  e'  consentito   il   passaggio   dai   ruoli
 amministrativi  a quelli tecnici, non puo' ammettersi ora che essa si
 attui    indipendentemente    dalle    effettive    esigenze    della
 amministrazione   che   possono  essere  soddisfatte  dai  dipendenti
 inquadrati nel ruolo.
   Il legislatore regionale  nell'introdurre  una  nuova  ed  organica
 disciplina  per  il proprio personale con la cennata legge n. 41/1985
 detto' una norma transitoria in base alla quale i dirigenti del ruolo
 amministrativo, in  possesso  del  diploma  di  laurea  di  indirizzo
 tecnico   e   scientifico   nonche'   della   relativa   abilitazione
 professionale  potevano  transitare,  a  domanda,  al  ruolo  tecnico
 corrispondente e compatibile con i titoli posseduti.
   Orbene    la    detta    norma,    che    rispondeva   a   esigenze
 dell'amministrazione  al  momento  della  sua  adozione,  viene   ora
 riproposta   per   consentire  l'applicazione  anche  in  favore  dei
 dipendenti provenienti dalle liste giovanili di collocamento inseriti
 nei ruoli della regione ai sensi della  legge  regionale  n.  8/1981,
 permettendo agli stessi un beneficio superiore rispetto ai precedenti
 destinatari   della   legge   regionale   n.   41/1985,   in   quanto
 l'inquadramento  nella  nuova   qualifica   non   viene   subordinato
 all'esistenza dei posti nei ruoli tecnici.
   Appare, pertanto, di tutta evidenza che la norma tiene in esclusiva
 considerazione   le  aspirazioni  dei  singoli  dipendenti,  i  quali
 sarebbero inseriti  in  un  ruolo  tecnico  senza  alcuna  preventiva
 verifica  delle  capacita'  professionali,  peraltro con l'anzianita'
 economica e giuridica gia' posseduta, e per di piu' in sovrannumero.
   E' consolidata giurisprudenza  di  codesta  ecc.ma  Corte  che  "la
 pletora  amministrativa  e' sempre causa di disordine, perche' impone
 un'artificiosa   distribuzione   dei   compiti,   un    funzionamento
 irrazionale  di  funzioni,  una sovrapposizione o una duplicazione di
 competenze" le quali risultano vieppiu' gravi e lesive del  principio
 di  buon andamento della pubblica amministrazione se si considera che
 l'amministrazione  regionale  non  ha  a  tutt'oggi  provveduto  alla
 verifica  dei  carichi  di  lavoro  ed  alla  razionalizzazione delle
 procedure ritenute indispensabili e vincolanti anche per le regioni a
 statuto  speciale  dall'art.  2,  legge  n.  421/1992,  nonche' della
 successiva normativa statale di applicazione  (legge  n.  537/1993  e
 legge n. 724/1994).
   Pur  riconoscendo,  infatti,  che  la  regione  siciliana  gode  di
 competenza legislativa esclusiva in  materia  di  organizzazione  dei
 propri  uffici  e  del relativo personale non si ritiene tuttavia che
 essa   possa   autorizzare   una   irrazionale   ed    ingiustificata
 distribuzione   dei   dipendenti  tra  le  varie  carriere  che  puo'
 compromettere il  buon  andamento  dell'amministrazione  e  risultare
 quindi  incompatibile  con  le  finalita'  di cui all'art.   97 della
 Costituzione (c.c. n. 9/1967).
   L'art. 10 che di  seguito  si  trascrive,  infine,  e'  oggetto  di
 censure per violazione degli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione:
   "Dopo  l'art.  8  della  legge  regionale 24 giugno 1986, n. 31, e'
 aggiunto il seguente:
   Art. 8-bis. - Ai presidenti dei consigli provinciali e dei consigli
 comunali si applicano le norme in materia di aspettative, permessi ed
 indennita' stabilite dalla presente legge  per  gli  assessori  delle
 province   e   dei   comuni   delle   stesse   classi   demografiche,
 compatibilmente con le disponibilita' di bilancio".
   Il legislatore siciliano  nel  tenere  conto  delle  particolari  e
 specifiche  funzioni attribuite ai presidenti dei consigli comunali e
 provinciali dalle leggi regionali n. 7/1992 e n. 26/1993 con la norma
 de qua ha inteso conferire loro il diritto a percepire  un'indennita'
 di  carica  commisurata  a quella spettante agli assessori degli enti
 locali subordinandone, pero',  l'erogazione  alle  disponibilita'  di
 bilancio.
   Orbene,   proprio   questa   limitazione  appare  irragionevole  ed
 arbitraria, nonche' lesiva del principio di  eguaglianza,  in  quanto
 dal  riconoscimento  di  un  diritto  connesso  all'espletamento  dei
 compiti derivanti dalla  titolarita'  di  una  carica  pubblica  deve
 necessariamente discendere la reale possibilita' di soddisfarlo.
   La  disposizione  censurata,  invece,  subordina  la corresponsione
 della predetta indennita' alla sussistenza di  mezzi  finanziari  nel
 bilancio   degli   enti   locali,  determinando  cosi'  un'arbitraria
 discriminazione fra i beneficiari a seconda che ricoprano  la  carica
 in  questione  in  comuni  e  province  dotati  o  meno delle risorse
 necessarie per farvi fronte.
   Invero, il diritto all'indennita' derivante dall'espletamento delle
 funzioni pubbliche, una volta riconosciuto dalle  norme  al  precipuo
 scopo  di assicurare l'ottimale funzionamento dei consigli comunali e
 provinciali, non puo', essere contraddetto e vanificato dall'aggancio
 alla esistenza o sufficienza delle disponibilita' economiche.