IL PRETORE
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  nel proc. pen. n. 3407/95
 r.g.p.d., imputato: Pillari Edoardo Emanuele.
   All'attuale  imputato  e'  stata  contestata   la   contravvenzione
 all'art.    707  c.p.,  perche',  essendo  stato  gia' condannato per
 delitti determinati da fini di lucro, veniva colto in  possesso,  non
 giustificato, di attrezzi atti a forzare serrature.
   Preso  atto  che del fatto materiale riportato in imputazione vi e'
 stata conferma in sede di istruttoria dibattimentale, in  diritto  e'
 ben   noto   quali  e  quanti  problemi  sia  interpretativi  sia  di
 costituzionalita' abbia dato luogo la norma in questione,  sottoposta
 a  fortissime  critiche  dottrinali  (che  hanno  trovato  larga  eco
 soprattutto nella giurisprudenza di merito) per la natura di reato di
 "sospetto"; per il correlativo preponderante e  anomalo  rilievo  che
 assume  lo  status di pregiudicato; per l'inversione dell'onere della
 prova; per la sproporzione della pena.
   Proprio sotto quest'ultimo profilo pare al giudicante che il minimo
 edittale  dell'art.   707   determini   conseguenze   paradossali   e
 contraddizioni  talmente  stridenti  da determinare nella persistente
 inerzia del legislatore dubbi di compatibilita' con  la  Costituzione
 non  eludibili  con interpretazioni "adeguatrici", dal momento che se
 anche il giudice ha una discrezionalita' -  fortemente  esaltata  con
 riferimento al reato de quo sin dal 1975 della Corte costituzionale -
 che  si  estende  "previamente  al giudizio sull'esistenza stessa del
 reato" e cosi' "essendo a lui attribuito  il  piu'  largo  potere  in
 ordine  alle cause generali di giustificazione di cosiddetti elementi
 negativi del reato)... non puo' negarsi che rientri  nel  sistema  la
 sussunzione   ad   elemento   oppure   a   condizione  della  mancata
 giustificazione  del  possesso  di  determinati  oggetti"  (cosi'  si
 esprimeva  la sentenza n. 236/75 della Corte costituzionale), nessuna
 discrezionalita' possiede, invero, il giudice  di  fronte  al  limite
 edittale   della   pena  (fatta  salva  la  sola  applicazione  delle
 attenuanti  generiche,  che  non  sposta  comunque  i  termini  della
 questione),  che  nel  minimo  l'art.  707  stabilisce in mesi sei di
 arresto.
   Trattasi di una "soglia" particolarmente alta,  se  rapportata  sia
 alla  previsione generale dell'art. 25 c.p. ("La pena dell'arresto si
 estende  da  cinque  giorni..."),  sia  alle  altre   contravvenzioni
 concernenti  la prevenzione di delitti contro il patrimonio (cfr.  ad
 es. il minimo edittale di tre mesi dell'art. 708 c.p., che ha  comune
 presupposto  soggettivo),  sia  ancora  al  piu' generale trattamento
 sanzionatorio  dei  delitti  contro  il  patrimonio,  dove  il  furto
 semplice  e' punito con minimo di giorni quindici di pena detentiva e
 la stessa pena, per effetto di intervento del legislatore ormai  piu'
 che  ultraventennale  (legge  n.  220 del 1974) e' possibile irrogare
 attraverso  l'equivalenza  tra  attenuanti  generiche  e   aggravanti
 dell'art. 625 anche quando ricorrano tali aggravanti.
   Se il sistema poteva avere una sua coerenza (naturalmente opinabile
 dal  punto  di  vista  delle  scelte di politica criminale, di pura e
 drastica repressione) prima della riforma del 1974,  non  altrettanto
 puo'  dirsi  per  la  situazione  vigente,  in  cui  un semplice atto
 preparatorio, in  se'  non  punibile,  viene  sottoposto  a  sanzione
 detentiva decisamente pesante, spesso molto maggiore di quella che in
 concreto e' normalmente irrogata nel caso di inizio di esecuzione del
 furto:  si  pensi, ad es. (per fare un caso di cui si  e' occupata la
 Corte sotto il profilo processuale della legittimita' dell'arresto in
 flagranza)  alla  sottrazione  di  capo  di  abbigliamento  in grande
 magazzino con l'aggravante della violenza sulle cose consistita nella
 asportazione della "piastra"  magnetica  antifurto  mediante  piccole
 pinze  o  altri  strumenti  analoghi,  il cui possesso, ricorrendo le
 condizioni soggettive ivi previste, e non essendovi un  principio  di
 esecuzione, comporta l'assoggettamento alla pena dell'art 707.
   Essendo  arresto  e  detenzione  species  di  un  unico genus (pena
 detentiva)  con  effetti  sostanzialmente  identici,   senza   volere
 inutilmente  dilungarsi in problematiche ben note, pare al giudicante
 che punire con pena cosi' eccessiva come quella dell'art. 707 c.p. il
 possesso anche di un unico attrezzo (ad es., un cacciavite,  un  paio
 di  forbici,  una  chiave  inglese,  ecc.),  in  se'  non  indice  di
 particolare pericolosita' del soggetto, e non tale  da  agevolare  in
 modo rilevante il compimento di atti delittuosi contro il patrimonio,
 comporti una situazione di disagio in chi e' demandato a applicare la
 norma del tutto affine a quella di cui si e' recentemente occupata la
 Corte  costituzionale  in  materia  di oltraggio a pubblico ufficiale
 (sentenza  n. 341/1994), decisione cui  questo  giudice  si  richiama
 anche   ai   fini   del  rinvenimento  nel  sistema  del  trattamento
 sanzionatorio  minimo  (nella  specie:  art.      25   c.p.),   senza
 interferenza nella sfera di discrezionalita' legislativa.
   Anche  in  materia  di art. 707 c.p. a buon diritto si puo' infatti
 parlare di vanificazione  del  fine  rieducativo  della  pena,  e  di
 sanzione   penale  manifestamente  eccessiva  rispetto  al  disvalore
 dell'illecito, essendo stato dalla Corte costituzionale affermato  in
 via  generale che la finalita' rieducativa della pena non e' limitata
 alla sola fase della esecuzione ma costituisce  "una  delle  qualita'
 essenziali  e  generali  che caratterizzano la pena nel suo contenuto
 ontologico e l'accompagnano da quando nasce, nell'astratta previsione
 normativa, fino a quando in concreto si estingue", e d'altro lato che
 "il principio  di  proporzionalita'  nel  campo  del  diritto  penale
 equivale  a  negare  legittimita'  alle  incriminazioni che, anche se
 presumibilmente  idonee   a   raggiungere   finalita'   statuali   di
 prevenzione,  producono,  attraverso la pena, danni all'individuo (ai
 suoi  diritti  fondamentali)  ed  alla  societa'  sproporzionatamente
 maggiori dei vantaggi ottenuti (o da ottenere) da quest'ultima con la
 tutela dei beni o valori offesi dalle predette incriminazioni".