IL TRIBUNALE MILITARE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza nella  causa  contro  Varriale
 Giuseppe, nato il 24 luglio 1975 a Pozzuoli (Napoli), atto di nascita
 n. 1172/A/I; residente in via Quinto Fabio Massimo n. 62; soldato nel
 reparto comando della R.M.N.E. in Padova, celibe, incensurato, libero
 imputato   di   diserzione  (art.  148  n.  2  c.p.m.p.)  perche'  si
 allontanava il  15  agosto  1994  senza  autorizzazione  dal  reparto
 militare  di  Padova  permanendo arbitrariamente assente dal servizio
 fino al 13 gennaio 1995 quando si presentava al distretto militare di
 Napoli.
                            Fatto e diritto
   A conclusione del dibattimento, il p.m. ha chiesto l'assoluzione di
 Varriale Giuseppe, perche' il fatto non sussiste.
   La difesa si e' associata.
   Il tribunale, pur essendo stato accertato che il militare  Varriale
 e'  rimasto  assente  dal 15 agosto 1994 al 13 gennaio 1995 per poter
 provvedere in qualche modo alla famiglia  (padre  senza  uno  stabile
 lavoro,  madre ammalata e fratelli tossicodipendenti o ammalati), non
 puo' condividere le conclusioni delle parti, dal momento che il reato
 attribuibile al militare non e' quello p. e p. dell'art.   148  n.  2
 c.p.m.p.,  consistente  nel mancato rientro da una legittima assenza,
 delineato cosi' da dare rilievo come  "giusto  motivo"  a  situazioni
 personali  e  familiari del tipo sopra descritto, bensi' quello p.  e
 p. dell'art. 148 n. 1 c.p.m.p., consistente  nell'allontanamento  non
 autorizzato   dal   servizio,   cosi'   delineato   da  poter  essere
 giustificato solamente in presenza di situazioni ancor piu'  cogenti,
 inquadrabili nella "forza maggiore" o nello "stato di necessita'".
   La   giurisprudenza   d'appello  e  regolatrice  ha  infatti  anche
 recentemente ribadito il tradizionale insegnamento,  secondo  cui  il
 mancato  rientro  dalla  libera uscita (per il Varriale scadente alle
 ore 23 del 15 agosto 1994 ) non da' luogo a mancata riassunzione  del
 servizio  al  termine di una legittima assenza, bensi' costituisce un
 allontanamento non autorizzato.
   L'argomento addotto a sostegno di questa concezione e' una  nozione
 di assenza e presenza in servizio di natura amministrativo-cartolare,
 per  cui  ai  fini  del  reato  di diserzione e' comunque presente il
 militare in libera uscita, anche se la maggiore liberta' accordatagli
 a  seguito  dei  principi  introdotti  con  la  legge  n.   382/1978,
 l'allungamento  dell'orario  di  libera  uscita ed i moderni mezzi di
 trasporto  gli  consentono  (a  differenza   che   in   passato)   di
 allontanarsi  in  quelle  ore  dalla  caserma  anche  di centinaia di
 chilometri.
   Questo  essendo  il dato di diritto vivente, e' chiaro che non puo'
 giustificarsi, alla stregua del  principio  di  uguaglianza  (art.  3
 Cost.),  che  per  la  diserzione  dell'art.  148 n. 1 c.p.m.p. (c.d.
 propria) non sia prevista l'esimente del "giusto motivo",  alla  pari
 della diserzione dell'art. 148 n. 2 (c.d. impropria).
   La  differente  regolamentazione  aveva  infatti il suo presupposto
 nella vicinanza con il superiore, nell'onnipresenza  per  cosi'  dire
 dello  stesso, sul quale il militare poteva comunque contare anche in
 orario di libera uscita  (di  cui  si  poteva  fruire  solamente  nel
 ristretto  ambito del presidio), per rappresentare esigenze personali
 tali da consigliare l'autorizzazione ad allontanarsi dal  servizio  e
 dal  reparto.  Ma,  essendo  venuto  meno  questo  dato, e' piuttosto
 irrazionale ed artificioso, di fronte a situazioni familiari del tipo
 sopra descritto, che la disciplina penalistica sia  differenziata,  a
 seconda  che  il  militare non sia rientrato in caserma al termine di
 una licenza o di un permesso, piuttosto che al termine  della  libera
 uscita.
   Pertanto,  questo Tribunale ritiene di dover sollevare questione di
 legittimita' dell'art. 148 n. 1 c.p.m.p.,  nella  parte  in  cui  non
 prevede l'esimente del "giusto motivo", in relazione all'art. 3 della
 Costituzione.