LA CORTE D'APPELLO
   Riunitasi in camera di consiglio  nella  sua  sede  in  Venezia,  a
 scioglimento  della  riserva  di  cui al verbale d'udienza in data 20
 novembre 1995;
   Visti  gli  atti processuali a carico di Cappellotto Jose', nato ad
 Isola Vicentina il 28 gennaio 1955,  il  quale  in  riferimento  alle
 sentenze  di  cui  ad  un provvedimento di cumulo del 1993 chiede una
 generica applicazione della disciplina del reato continuato ai  sensi
 dell'art. 671 c.p.p.;
   Rilevato  che  l'incidente  di  esecuzione proposto dal Cappellotto
 deve essere in parte dichiarato inammissibile ed in  parte  rigettato
 cosi'  come e' gia' stato deciso da questa Corte in passato in ordine
 ad altre due analoghe istanze del condannato;
                             O s s e r v a
   Non appare manifestamente infondata ed, invece, appare rilevante in
 riferimento a  questo  procedimento  una  questione  di  legittimita'
 costituzionale  in  quanto  l'incidente  di  esecuzione  deve  essere
 totalmente disatteso e si pone il problema delle spese processuali al
 cui pagamento l'istante dovrebbe essere condannato.
   In tema di procedimento per gli incidenti di esecuzione l'art.  630
 del codice di rito del 1930 disponeva (ultimo comma) che si  dovevano
 osservare le disposizioni concernenti l'istruzione formale.
   In  tale  fase  del  procedimento  non erano affatto previste spese
 processuali giacche'  essa  rappresentava  un  momento  precedente  a
 quello  del  vero e proprio processo e le decisioni di qualunque tipo
 del g.i. venivano superate dalla pronuncia del giudicante.
   In tale fase del procedimento  non  erano  affatto  previste  spese
 processuali  giacche'  essa  rappresentava  un  momento  precedente a
 quello del vero e proprio processo e le decisioni di  qualunque  tipo
 del g.i., venivano superate dalla pronuncia del giudicante.
   Dunque,   poiche'  l'art.  630  faceva  riferimento  all'istruzione
 formale e non era in alcun  modo  prevista  la  condanna  alle  spese
 processuali per gli incidenti, essa doveva essere esclusa.
   Attualmente   questa   impostazione  e'  stata  modificata  con  la
 conseguenza che potrebbe essere adottata la soluzione della  condanna
 al pagamento delle spese per il condannato che propone l'incidente di
 esecuzione.
   Peraltro,  il  comma 6 dell'art. 666 c.p.p. vigente dispone che nel
 procedimento di esecuzione si osservano, in  quanto  applicabili,  le
 disposizioni  sulle  impugnazioni e quelle sul procedimento in camera
 di consiglio davanti alla Corte di cassazione.
   Tale disposizione sembra debba interpretarsi nel senso che le norme
 relative alle impugnazioni  sono  applicablii  solo  al  ricorso  per
 cassazione  proposto avverso la decisione del pretore o del tribunale
 o della Corte d'appello in ordine all'incidente di esecuzione.
   Ne consegue che si verifica una grave ed  inesplicabile  disparita'
 di  trattamento  sotto  tre  aspetti.  In  primo  luogo,  non e' dato
 comprendere per quale motivo le spese non  dovrebbero  essere  pagate
 dall'interessato  in  primo  grado  mentre  dovrebbero  da lui essere
 pagate nel grado successivoº
   Cio' e' tanto piu incomprensibile in quanto l'art. 631 c.p.p.  1930
 indicava   semplicemente   come  mezzo  di  gravame  il  ricorso  per
 cassazione senza fare  riferimento  alcuno  alle  disposizioni  sulle
 impugnazioni  come,  invece,  esplicitamente  richiama l'art. 666 del
 vigente codice di rito.
   Si noti che la relazione ministeriale (al progetto preliminare  del
 codice  di  procedura del 1988) precisa che e' sembrato inadeguato un
 semplice  rinvio  alla  procedura  camerale  prevista  dall'art.  127
 giacche'  l'ncidente  di esecuzione e' caratterizzato dalla richiesta
 di parte e la partecipazione del p.m. e del difensore e' necesaria.
   Deve  essere  osservato, tuttavia, che si sarebbe potuta richiamare
 la procedura dell'incidente probatorio o dell'udienza preliminare  o,
 comunque,   indicare   esplicitamente   od   impicitamente   la   non
 condannabita' alle spese processuali.
   Invece, il rinvio alla normativa sulle impugnazioni in genere - non
 gia' appello o ricorso per cassazione - non  puo'  non  ricomprendere
 anche   la   condanna   alle   spese  sia  per  la  dichiarazione  di
 inammissibilita' (v.  comma  1  dell'art.  666  c.p.p.)  sia  per  il
 rigetto.
   Appare  il  caso  di ricordare, al riguardo, che la S.C. si e' gia'
 pronunciata  in  senso  analogo  in  riferimento  alle  richieste  di
 riesame,  per  le  quali non e' espressamente prevista la condanna al
 pagamento delle spese procesuali in caso di rigetto (cfr. Cass., sez.
 VI, sent.  4234, 22 dicembre 1993/2 marzo 1994,  Chianese;  sez.  VI,
 sent.  2693,  3  giugno/1  settembre  1994, Metrangolo; e, da ultimo,
 Sezioni unite, 5/20 luglio 1995, Galletto)  sul  presupposto  che  le
 norme  che  disciplinano tale fattispecie richiamano espressamente le
 "impugnazioni".
   Tale disciplina potrebbe essere adottata anche per il  primo  grado
 di  cui si discute dal momento che l'incidente di esecuzione, pur non
 avendo stricto iure natura d'impugnazione, e' finalizzato al  riesame
 d'una   data   questione  ed  all'eventuale  riforma  della  relativa
 statuizione da parte dello  stesso  giudice  che  l'ha  adottata  (v.
 Cass., sez. I, 6 aprile 1982, Spataro).
   Oltretutto,  proprio  l'applicabita'  dell'art.  592  e  non  anche
 dell'art.   535 comporterebbe che  potrebbe  essere  condannata  alle
 spese  del  procedimento la parte privata solo quando sia rigettata o
 dichiarata inammissibile la sua impugnazione.
   Infatti, in ogni caso l'interessato non riporta, nell'incidente  di
 esecuzione, alcuna condanna penale.
   Pertanto,  quando  l'incidente fosse proposto dell'Accusa e venisse
 accolto la parte privata non potrebbe essere  condannata  alle  spese
 processuali.
   In  definitiva,  si  rileva una inspiegabile differenza all'interno
 dello stesso procedimento tra due gradi di giurisdizione.
   In secondo luogo, non esiste motivo alcuno per cui il cittadino che
 venga tratto a giudizio per un qualunque reato sia,  poi,  condannato
 al  pagamento  delle  spese  in  caso  di decisione negativa nei suoi
 confronti da parte dell'a.g. mentre analoga condanna non debba essere
 inflitta  al  condannato  che  si  viene  a  trovare  nella  medesima
 situazione (v.  principio della c.d. soccombenza).
   Tanto  piu'  che  nella  fase esecutiva il condannato non "subisce"
 l'instaurazione di un procedimento bensi'  e'  egli  stesso  a  poter
 presentare  istanze  e  proporre incidenti di esecuzione (allo stesso
 modo di quanto avviene per le  impugnazioni)  senza  limiti,  per  un
 qualunque    motivo,    continuamente   ed   ingiustificatamente   (o
 pretestuosamente, come dimostra la pratica quotidiana)  senza  andare
 incontro ad alcun costo.
   E' pur vero che l'art. 181 Norme di attuazione di cui al d.lsg.  n.
 271/1989,  riguardante  il  recupero  delle  spese,  richiama solo le
 sentenze ed i decreti penali  di  condanna  mentre  il  provvedimento
 emesso ai sensi degli artt. 665 e segg. c.p.p. e' una ordinanza.
   Ma tale norma e' tutt'altro che decisiva e vincolante giacche' essa
 non  prevede  proprio  un'ordinanza, quale quella di inammissibilita'
 dell'impugnazione ex  art.  591  c.p.p.  dalla  quale,  per  espresso
 dettato   normativo  (art.  592  c.p.p.),  consegue  la  condanna  al
 pagamento delle spese processuali.
   Pertanto,   si   rileva    un    trattamento    ingiustificatamente
 differenziato fra imputato e condannato a vantaggio del secondo.
   In  terzo  luogo,  anche  colui che propone incidente di esecuzione
 procura spese allo Stato (a cominciare dalle notifiche e  per  finire
 alle  traduzioni dei detenuti) e usufruisce di un servizio pubblico -
 la giustizia - per il  quale,  al  pari  degli  atti  (comunicazioni,
 trasporti,  eccet.)  e'  normale  che venga corrisposto un contributo
 economico.
   Pertanto, il condannato ha un'incomprensibile vantaggio rispetto  a
 qualunque altro cittadino che, oltretutto, non ha arrecato con la sua
 precedente condotta un danno allo Stato, alla collettivita' e/o ad un
 privato.
   Dunque,   a   parere  di  questa  Corte,  deve  essere  dedotta  la
 illegittimita' dell'art. 666 c.p.p. in  relazione  all'art.  3  della
 Costituzione  nei sensi precedentemente riferiti e nella parte in cui
 non prevede la condanna al pagamento delle spese processuali di colui
 che  propone  un  incidente  di  esecuzione  che   venga   dichiarato
 inammissibile o venga rigettato.