IL TRIBUNALE
   Ha deliberato la seguente ordinanza nel  procedimento  iscritto  al
 numero  410  del  registro  delle impugnazioni delle misure cautelari
 personali dell'anno 1995;
   In sede di rinvio dalla Corte Suprema di Cassazione e  sul  riesame
 proposto  da  Mosciaro Emiliano, avverso la ordinanza 7 ottobre 1994,
 di applicazione della misura cautelare  della  custodia  in  carcere,
 emessa dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di
 Catanzaro;
   Esaminati gli atti di causa;
   Udito il relatore;
                               PREMETTE
   Con  ordinanza  in  data  7 ottobre 1994 il giudice per le indagini
 preliminari presso questo tribunale  emetteva,  in  fase  processuale
 (per  l'intervenuto  esercizio della azione penale mediante richiesta
 di rinvio a giudizio), ordinanza di custodia cautelare in carcere nei
 confronti di centootto imputati, tra i quali  Mosciaro  Emiliano,  in
 relazione,  quanto a costui, ai reati di cui agli artt. 416-bis c.p.,
 10-12-14 legge n. 497/1974 e 624-625 nn. 1 e 5 c.p.
   Con ordinanza 29 ottobre 1994, questo tribunale in accoglimento del
 proposto riesame, revocava il provvedimento restrittivo.
   La Corte Suprema, adita dal, p.m.,  con  sentenza  14  marzo  1995,
 annullava la citata ordinanza, con rinvio per nuovo esame.
   Ha  evidenziato  la  Corte  "carenza  e manifesta illogicita' della
 motivazione perche' erroneamente era stato assunto che:
     la prognosi di probabilita' colpevolistica imponeva la  "identica
 modulazione valutativa" ex art. 192 c.p.p.;
     la  chiamata in correita' era affetta da "genetica presunzione di
 inattendibilita';
   e perche':
     era stato omesso il vaglio dei riscontri contenuti nei  fascicoli
 allegati;
   mentre, in relazione alla specifica posizione del Mosciaro:
     non   era  stata  verificata  la  attendibilita'  intrinseca  del
 racconto dei collaboranti;
     non  si  era  tenuto  conto  dei   riscontri   costituiti   dalle
 dichiarazioni   "incrociate"   e   dagli   accertamenti   di  polizia
 giudiziaria;
     non si era tenuto conto dell'attentato subito dal Mosciaro il  21
 luglio 1991;
     si   era   valorizzato   erroneamente   l'esito   favorevole  del
 procedimento di prevenzione.
   In proposito, aveva puntualizzato questo giudice:
     che gli indizi richiesti dall'art. 273, ai fini della adozione di
 una misura cautelare, divergevano da quelli indicati dall'art.    192
 c.p.p.,  risolvendosi  in "qualsiasi elemento di prova acquisito agli
 atti";
     che  la  prognosi  di  probabilita'  colpevolistica  imponeva  la
 medesima  modulazione  valutativa,  qualunque  fosse  lo  stato della
 indagine (e non invece,  rispetto  alla  prova  di  responsabilita'),
 fermo il fatto che, nel caso in esame, le indagini erano concluse con
 la avvenuta formulazione dell'accusa;
     che  la  (mera) chiamata in correita' non era idonea a sorreggere
 il quadro di gravita' indiziaria, occorrendo  anche  la  presenza  di
 necessari riscontri;
     che  le fonti dichiarative difettavano di "contenuti espositivi",
 essendosi, tutte, limitate ad indicare (tra  una  serie  di  elenchi,
 nemmeno  coincidenti  nelle  rispettive  dichiarazioni) "il nome" del
 Mosciaro, senza nulla aggiungere sul "fatto partecipativo";
     che, di conseguenza, era  parso  inutile  ogni  ulteriore  vaglio
 sulla attendibilita' dei collaboratori e sulla ricerca dei riscontri,
 limitandosi,  peraltro, le allegazioni di polizia, a dati informativi
 di  tipo  prevenzionale   (sicche'   era   parsa,   correlativamente,
 pertinente  la  valutazione del giudizio sulla misura di prevenzione,
 fondato su dati di minor valenza dimostrativa).
   Occorre, ora, prendere atto che, con  decreto  4  maggio  1995,  il
 giudice  per le indagini preliminari ha disposto il rinvio a giudizio
 del Mosciaro per il delitto associativo.
   Tanto premesso,  e  senza  alcuna  necessita'  di  rifissazione  di
 udienza camerale, per evidenti ragioni di economia processuale;
                              R i l e v a
   E' noto l'orientamento giurisprudenziale, secondo il quale: "Attesa
 l'intervenuta  modifica  dell'art.  425  c.p.p.,  dal  cui testo, per
 effetto della legge 8 aprile 1993  n.  105,  e'  stata  eliminata  la
 parola  "evidente"  (riferita  alla  presenza  delle  condizioni che,
 all'esito   dell'udienza   preliminare,   debbono   dar   luogo    al
 proscioglimento  dell'imputato), deve ritenersi nuovamente vigente il
 principio, gia' affermato nella vigenza del codice abrogato,  secondo
 il  quale, in tema di provvedimenti riguardanti la liberta' personale
 dell'imputato, l'avvenuto rinvio a giudizio di costui  si  pone  come
 motivo di preclusione in ordine alla proposizione e all'esame di ogni
 questione   attinente   alla   sussistenza   dei   gravi   indizi  di
 colpevolezza"  (cfr,  da ultimo, Cass. sez. V, 5 maggio 1994 n. 1652,
 Bonifati ed altri, a conferma di  un  orientamento  prevalente  della
 Cassazione,   in  specie  dopo  la  abolizione  del  requisito  della
 "evidenza"  probatoria  ai  fini  del  rinvio   a   giudizio;   cfr.,
 anteriormente  e  tra  le piu' recenti, Cass., sez. V, 17 marzo 1994,
 Morando e, sez. I, 12 febbraio 1994 n. 5196, Russo).
   In linea con il citato indirizzo (ed in relazione a  casi  diversi,
 ma ugualmente significativi), le due pronunce che seguono:
     A)  "Detto  principio  non soffre deroga nemmeno nel caso in cui,
 intervenuta sentenza di condanna, questa, in  sede  di  legittimita',
 sia  stata  annullata  con  rinvio  per  difetto  di motivazione, non
 comportando  una  tale  pronuncia  il  venir  meno  degli  indizi  di
 colpevolezza  che  a  suo  tempo  avevano  determinato  il  rinvio  a
 giudizio" (Cass., sez.  I, 7 gennaio 1994 n. 5120, Bontempo Scavo);
     B) "E'  invece  possibile,  anche  successivamente  al  rinvio  a
 giudizio,  rimettere  in discussione il principio, allorquando si sia
 in presenza di fatti nuovi o sopravvenuti che, per cio'  stesso,  non
 vengono  ad essere in contrasto con la intervenuta decisione" (Cass.,
 sez. I, 4 febbraio 1994 n. 5257, Mancion).
   La forza  dell'evidenziato  principio  trova,  dunque,  il  proprio
 fondamento in due argomenti di non trascurabile rilievo:
     1)  la  introduzione  della  modifica  legislativa alla regola di
 giudizio per la emissione del decreto dispositivo del  giudizio,  con
 la  conseguenza  che  la soppressione dell'inciso "evidente" (dopo il
 verbo "risulta") postulando "la insussistenza di  elementi  denotanti
 una  situazione  di  incolpevolezza  o  di  impunita' dell'imputato",
 comporta che "gli elementi di colpevolezza, la  cui  sussistenza  per
 definizione  normativa,  costituisce  motivo  di  legittimazione  del
 provvedimento di rinvio a giudizio, si rendono valutabili  nuovamente
 soltanto all'esito delle indagini dibattimentali";
      2)  la  rivalutazione della disciplina del rinvio a giudizio nei
 termini  fissati  dall'art.   374   c.p.p.   abrogato,   laddove   la
 giurisprudenza  era  consolidata nell'escludere, una volta emanata la
 ordinanza di rinvio a giudizio, qualsiasi discussione sul  fondamento
 dell'accusa,   sulla  qualificazione  giuridica  del  fatto  e  sulla
 sufficienza  degli   indizi:   conseguentemente,   le   contestazioni
 contenute  in  tale  ordinanza  non  erano modificabili ai fini della
 pronuncia sulla liberta' personale e quindi non erano sindacabili  in
 sede processuale dibattimentale.
    La  forza del principio rende necessitato il ricorso alla verifica
 di costituzionalita'.
   La questione e' rilevante poiche' la norma di  cui  si  segnala  la
 incostituzionalita'  (il  disposto degli artt. 311 e 309 in relazione
 al comb. disp. degli artt. 425 e 429 c.p.p. nella parte in cui,  alla
 stregua   dell'orientamento  esaminato,  e'  consentito  omettere  la
 motivazione sul requisito di "gravita' indiziaria di colpevolezza" e,
 correlativamente,  e'  precluso  ogni  controllo,  sia  formale   che
 sostanziale,  sul  punto,  in  sede di riesame e di rinvio, per nuovo
 esame) e' di immediata e diretta applicazione nel procedimento.
   La questione non e' manifestamente infondata.
   La riforma del 1993, abolitiva del requisito della "evidenza" posto
 dall'art. 425 c.p.p., non ha, in effetti, delineato  alcun  parametro
 sui   poteri   valutativi   del  giudice  a  conclusione  della  fase
 processuale preliminare.
   Non   solo   nessun   dato  normativo  puo'  avallare  la  asserita
 coincidenza del criterio della gravita' indiziaria anche ai fini  del
 rinvio  a  giudizio,  quanto vi ostano precisi, e contrari, argomenti
 sistematici, all'interno del nuovo codice  e  nel  raffronto  con  il
 vecchio regime.
   1.  -  Incontroverso  che  la  valutazione del giudice dell'udienza
 preliminare non puo' fondarsi "sugli stessi parametri delibativi alla
 stregua dei quali il giudice del dibattimento e' chiamato a  decidere
 se  pronunciare  sentenza  di  proscioglimento  o di condanna" (cfr.,
 testualmente, Corte costituzionale sent. n. 82/93), ne  consegue  che
 il   criterio  decisorio  preliminare  non  puo'  individuarsi  nella
 "probabile  condanna  dell'imputato",  poiche'  la  prova  "idonea  a
 sostenere  una  futura  condanna"  e' soltanto quella che si presenti
 "non insufficiente" (in relazione alla completezza  investigativa)  e
 "non   contraddittoria"   (in   relazione   al  profilo  valutativo),
 imponendo, al contrario, al suddetto  giudice,  nel  primo  caso  (di
 prova   "non   sufficiente"),   la   sollecitazione  ad  integrazione
 probatoria  ex  art.  422  c.p.p.   e,   nel   secondo   (di   "prova
 contraddittoria"),   la   emanazione  di  sentenza  di  non  luogo  a
 procedere.
   Invece, la armonizzazione del sistema, nella combinata  valutazione
 dei criteri sottostanti alle disposizioni di cui agli artt. 429, 425,
 409 c.p.p. e 125 disp. att. stesso codice, imporrebbe di ritenere che
 il  rinvio a giudizio sia legittimato dalla "idoneita' degli elementi
 acquisiti nelle  indagini  preliminari  a  sostenere  la  accusa  nel
 giudizio", con la esclusione di una prognosi di colpevolezza.
   2.  -  Non  puo'  reggere,  parallelamente, la assimilazione con il
 vecchio "proscioglimento  istruttorio",  sia  perche'  la  istruzione
 "doveva"  essere  completa, sia perche', nel dubbio, era privilegiata
 la formula favorevole al giudicabile, secondo gli schemi propri di un
 superato modello inquisitorio.
   Oltretutto, la "gravita'  indiziaria  di  colpevolezza"  impone  un
 vaglio  probatorio  critico  di  tasso  piu'  elevato  rispetto  alla
 "sufficienza probatoria", all'epoca reputata idonea per il  rinvio  a
 giudizio.
   3.  -  Il  procedimento  in  materia  cautelare  personale e' stato
 concepito in termini di autonomia rispetto a quello di merito, per la
 privilegiata garanzia del bene compresso (della liberta',  o  meglio,
 delle liberta' della persona) e per la specificita' valutativa.
   Nulla  esclude  che,  nel  rispetto  della separazione dei giudizi,
 l'imputato sia rinviato a giudizio in stato di liberta'.
    La questione  si  prospetta,  come  parametro  costituzionale,  in
 relazione:
      a)  al disposto dell'art. 13, secondo comma, della Costituzione,
 che  pone  come  imprescindibile  la  presenza  di   "atto   motivato
 dell'autorita'  giudiziaria"  quale titolo idoneo per la costituzione
 ed il mantenimento dello stato detentivo, mentre, nel caso in  esame,
 la   motivazione   sul  fondante  requisito  (della  verifica)  della
 sussistenza della "gravita' indiziaria di  colpevolezza"  sarebbe  ex
 lege superflua;
      b) al disposto dell'art. 111, secondo comma, della Costituzione,
 che  salvaguarda  la  tutela  di legittimita', contro i provvedimenti
 sulla liberta'  personale,  per  "violazione  di  legge",  violazione
 riscontrabile  vieppiu'  nel  preliminare controllo di merito, eppure
 preclusa, nel caso in esame, in virtu' di una presunzione assoluta di
 "probabile colpevolezza insita nel decretato rinvio a giudizio;
      c)  al disposto dell'art. 3 della Costituzione, per una evidente
 disparita' di trattamento, in contrasto con ogni coerenza sistematica
 e ragionevolezza normativa, sul tema primario di tutela  del  diritto
 di  liberta',  tra  indagati  ed  imputati e, per quel che interessa,
 anche tra imputati, avuto riguardo alla fase  processuale  precedente
 la  decisione  finale  di udienza preliminare e quella immediatamente
 successiva, fino alla emissione della sentenza conclusiva del  grado,
 in specie, laddove:
      la scelta operata dal p.m., del momento procedimentale nel quale
 azionare  la pretesa cautelare, e' insindacabile e non e' motivata da
 specifiche ragioni o dalla sopravvenienza di elementi  nuovi  che  ne
 sollecitino l'esercizio di un potere prima non ritenuto cogente;
      detta  scelta si coordina con una decisione preliminare, a tasso
 garantistico non ben definito (perche' un errore di prospettiva sulla
 utilita'  del  dibattimento   si   ripercuote   inevitabilmente   sul
 condizionato potere cautelare e senza che sia ammesso un controllo di
 merito,   ne'   sul   decreto  di  rinvio  a  giudizio,  notoriamente
 inoppugnabile,  eppure  del  tutto  immotivato  (a  differenza  della
 parallela  ordinanza  dell'abrogato  regime  processuale),  ne' sulla
 ordinanza cautelare, come si e' gia notato, altrettanto insindacabile
 nel  primario  e  fondante  requisito   sostanziale   di   "probabile
 colpevolezza";
     d)  al  disposto dell'art. 24, secondo comma, della Costituzione,
 perche', per le ragioni gia' dette, restringendosi la sfera di tutela
 sulle  censure  proponibili  avverso   il   provvedimento   cautelare
 impugnato, ne resta ingiustificatamente ed aleatoriamente sacrificato
 il  diritto  di  difesa in relazione al bene primario della liberta',
 tanto piu' tutelabile, quanto piu' il sacrificio di esso si ponga con
 predominante   efficienza   e   senza   l'adeguato   controllo    sul
 corrispondente fondamento sostanziale di merito.