IL TRIBUNALE
   Ha  deliberato  la  seguente ordinanza nel procedimento iscritto al
 numero 255 del registro delle  impugnazioni  delle  misure  cautelari
 personali  dell'anno  1995,  riservato  per la decisione alla udienza
 camerale del 30 maggio 1995;
   Sull'appello proposto nell'interesse di Serretti  Antonio,  nato  a
 Cutro   il  23  marzo  1952  ed  in  atto  detenuto  presso  la  casa
 circondariale di Catanzaro, avverso la  ordinanza  di  rigetto  della
 istanza  di  revoca della misura cautelare della custodia in carcere,
 emessa dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di
 Catanzaro in data 27 marzo 1995;
   Sentiti i difensori, avv.ti Luigi Ciambrone  e  Salvatore  Staiano,
 del foro di Catanzaro;
   Esaminati gli atti di causa;
   Udito il relatore;
                            P r e m e t t e
   Avverso  la  ordinanza  sopra  citata  e' stato proposto appello da
 parte della difesa, con atto del 4 aprile 1995.
   Con nota in data 8 aprile 1995 il pubblico ministero  ha  trasmesso
 gli  atti  e,  in  data  29  maggio,  ha  trasmesso  copia di decreto
 dispositivo del giudizio del 16 maggio 1995, anche nei confronti  del
 Serretti.
   Alla  odierna  udienza  camerale,  fissata  per  la trattazione del
 gravame, celebrata in assenza del p.m.,  la  difesa  ha  eccepito  la
 inutilizzabilita'  della  produzione  del p.m., perche' tardiva e non
 rilevante sul piano probatorio, e, nel merito, ha concluso insistendo
 per l'accoglimento dell'appello.
   All'esito il tribunale ha riservato la decisione.
                              R i l e v a
   La  produzione  del  p.m.  e'  legittima,  sia  per  la   ravvisata
 applicabilita'  del disposto dell'art. 603 c.p.p. anche in materia di
 appello cautelare,  sia,  soprattutto,  perche'  si  tratta  di  atto
 procedimentale sopravvenuto.
   Preso  atto  del disposto rinvio a giudizio, e' noto l'orientamento
 giurisprudenziale, secondo il quale: "Attesa  l'intervenuta  modifica
 dell'art. 425 c.p.p., dal cui testo, per effetto della legge 8 aprile
 1993  n.  105, e' stata eliminata la parola "evidente" (riferita alla
 presenza delle condizioni che,  all'esito  dell'udienza  preliminare,
 debbono  dar  luogo al proscioglimento dell'imputato), deve ritenersi
 nuovamente vigente il principio, gia'  affermato  nella  vigenza  del
 codice   abrogato,   secondo  il  quale,  in  tema  di  provvedimenti
 riguardanti la liberta' personale dell'imputato, l'avvenuto rinvio  a
 giudizio  di costui si pone come motivo di preclusione in ordine alla
 proposizione e all'esame di ogni questione attinente alla sussistenza
 de gravi indizi di colpevolezza" (cfr., da ultimo, Cass.  sez.  V,  5
 maggio 1994 n. 1652, Bonifati ed altri, a conferma di un orientamento
 prevalente  della  Cassazione,  in  specie  dopo  la  abolizione  del
 requisito della "evidenza" probatoria ai fini del rinvio a  giudizio;
 cfr.,  anteriormente  e  tra le piu' recenti, Cass., sez. V, 17 marzo
 1994, Morando e, sez.  I, 12 febbraio 1994 n. 5196, Russo).
    In linea con il citato indirizzo (ed in relazione a casi  diversi,
 ma ugualmente significativi), le due pronunce che seguono:
     A)  "Detto  principio  non soffre deroga nemmeno nel caso in cui,
 intervenuta sentenza di condanna, questa, in  sede  di  legittimita',
 sia  stata  annullata  con  rinvio  per  difetto  di motivazione, non
 comportando  una  tale  pronuncia  il  venir  meno  degli  indizi  di
 colpevolezza  che  a  suo  tempo  avevano  determinato  il  rinvio  a
 giudizio" (Cass., sez.  I, 7 gennaio 1994 n. 5120, Bontempo Scavo);
     B) "E'  invece  possibile,  anche  successivamente  al  rinvio  a
 giudizio,  rimettere  in discussione il principio, allorquando si sia
 in presenza di fatti nuovi o sopravvenuti che, per cio'  stesso,  non
 vengono  ad essere in contrasto con la intervenuta decisione" (Cass.,
 sez. I, 4 febbraio 1994 n. 5257, Mancion).
   La  forza  dell'evidenziato  principio  trova,  dunque  il  proprio
 fondamento in due argomenti di non trascurabile rilievo:
     1)  la  introduzione  della  modifica  legislativa alla regola di
 giudizio per la emissione del decreto dispositivo del  giudizio,  con
 la  conseguenza  che  la soppressione dell'inciso "evidente" (dopo il
 verbo "risulta") postulando "la insussistenza di  elementi  denotanti
 una  situazione  di  incolpevolezza  o  di  impunita' dell'imputato",
 comporta che gli "elementi di colpevolezza, la  cui  sussistenza  per
 definizione  normativa,  costituisce  motivio  di  legittimazione del
 provvedimento di rinvio a giudizio, si rendono valutabili  nuovamente
 soltanto all'esito delle indagini dibattimentali";
     2)  la  rivalutazione  della disciplina del rinvio a giudizio nei
 termini  fissati  dall'art.   374   c.p.p.   abrogato,   laddove   la
 giurisprudenza  era  consolidata nell'escludere, una volta emanata la
 ordinanza di rinvio a giudizio, qualsiasi discussione sul  fondamento
 dell'accusa,   sulla  qualificazione  giuridica  del  fatto  e  sulla
 sufficienza  degli   indizi:   conseguentemente,   le   contestazioni
 contenute  in  tale  ordinanza  non  erano modificabili ai fini della
 pronuncia sulla liberta' personale e  quindi  non  erano  sindacabili
 neppure in sede di riesame del relativo provvedimento.
   La  forza  del principio rende necessitato il ricorso alla verifica
 di costituzionalita'.
   La questione e' rilevante poiche' la norma di  cui  si  segnala  la
 incostituzionalita'  (il  disposto  dell'art.  309  in relazione agli
 artt.  292.2  e  425  c.p.p.  nella  parte  in  cui,   alla   stregua
 dell'orientamento  esaminato,  e'  consentito omettere la motivazione
 sul  requisito  di  "gravita'   indiziaria   di   colpevolezza",   e,
 correlativamente,   e'  precluso  ogni  controllo,  sia  formale  che
 sostanziale, sul punto, in sede di riesame) e' di immediata e diretta
 applicazione nel procedimento.
   La questione non e' manifestamente infondata, in relazione:
     a)  al  disposto dell'art. 13.2 della Costituzione, che pone come
 imprescindibile  la  presenza  di   "atto   motivato   dell'autorita'
 giudiziaria",  quale  idoneo  titolo  detentivo,  mentre  nel caso in
 esame, la motivazione sarebbe ex lege superflua;
     b)  al  disposto  dell'art.   111.2   della   Costituzione,   che
 salvaguarda  la  tutela di legittimita', contro i provvedimenti sulla
 liberta'   personale,   per   "violazione   di   legge",   violazione
 riscontrabile  vieppu'  nel  preliminare  controllo di merito, eppure
 preclusa, nel caso in esame, in virtu' di una presunzione assoluta di
 "probabile colpevolezza" insita nel decretato rinvio a giudizio;
     c) al disposto dell'art. 3 della Costituzione, per  una  evidente
 disparita' di trattamento, in contrasto con ogni coerenza sistematica
 e  ragionevolezza  normativa, sul tema primario di tema di tutela del
 diritto di liberta', tra indagati ed imputati ed anche tra  imputati,
 avuto  riguardo  alla fase processuale precedente la decisione finale
 di udienza preliminare e quella immediatamente successiva, fino  alla
 emissione della sentenza conclusiva del grado, in specie, laddove:
      la scelta operata dal p.m., del momento procedimentale nel quale
 azionare  la pretesa cautelare, e' insindacabile e non e' motivata da
 specifiche ragioni o dalla sopravvenienza di elementi  nuovi  che  ne
 sollecitino l'esercizio di un potere prima non ritenuto cogente;
      detta  scelta si coordina con una decisione preliminare, a tasso
 garantistico non ben definito (perche' un errore di prospettiva sulla
 utilita'  del  dibattimento   si   ripercuote   inevitabilmente   sul
 condizionato potere cautelare e senza che sia ammesso un controllo di
 merito,   ne'   sul   decreto  di  rinvio  a  giudizio,  notoriamente
 inoppugnabile,  eppure  del  tutto  immotivato  (a  differenza  della
 parallela  ordinanza  dell'abrogato  regime  processuale),  ne' sulla
 ordinanza  cautelare,   come   si   e'   gia'   notato,   altrettanto
 insindacabile  nel  primario  e  fondante  requisito  sostanziale  di
 "probabile colpevolezza";
      dal combinarsi delle due  incontrollabili  potesta'  (di  azione
 cautelare  e  di  provvedimento  conseguente)  puo' derivare, come e'
 certo quanto al caso in esame (posto che gli  elementi  fattuali  non
 erano  mutati  dopo la richiesta di rinvio a giudizio), un verosimile
 "aggiramento" dell'istituto del riesame, effettivo nel  controllo  di
 merito  solo  su  provvedimenti restrittivi antecedenti al decreto ex
 art. 429 c.p.p.;
     d) al disposto dell'art. 24.2 della Costituzione, perche', per le
 ragioni gia' dette, restringendosi la sfera di tutela  sulle  censure
 proponibili  avverso  il  provvedimento cautelare impugnato, ne resta
 ingiustificatamente  ed  aleatoriamente  sacrificato  il  diritto  di
 difesa  in  relazione  al  bene  primario  della liberta', tanto piu'
 tutelabile,  quanto  piu'  il  sacrificio  di  esso  si   ponga   con
 predominante    efficienza   e   senza   l'adeguato   controllo   sul
 corrispondente fondamento sostanziale di merito.
   La involuzione sistematica  e  di  principi,  che  sempre  maggiori
 lamentele  suscita  nella  attuazione  pratica  del  nuovo codice, si
 coglie  in  uno  degli  aspetti  piu'  rilevanti  in  relazione  alla
 questione  agitata,  dal momento che una pericolosa linea di tendenza
 nel senso prospettato instaurerebbe una prassi dai risvolti ingiusti,
 incontrollabili  ed  antigarantistici,  tali  da   compromettere   la
 coerenza  stessa  del modello processuale, con l'ovvia conseguenza di
 produrre risultati non di rado insoddisfacenti sul piano della tutela
 sostanziale dei valori coinvolti.
                                P. Q. M.
   Letti ed  applicati  gli  artt.  1  della  legge  costituzionale  9
 febbraio 1948, n. 1 e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
   Dichiara  rilevante  nel  presente  giudizio  e  non manifestamente
 infondata la questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  309
 del  c.p.p.,  in  relazione  agli artt. 292.2 e 425 del c.p.p., nella
 parte in cui precludono, dopo il  decretato  rinvio  a  giudizio,  il
 controllo  sulla sussistenza del requisito di "gravita' indiziaria di
 colpevolezza" ai fini della legittimita' della ordinanza  custodiale,
 in relazione agli artt. 3, 13.2, 24.2, e 111.2 della Costituzione;
   Ordina  che,  a  cura  della cancelleria, la presente ordinanza sia
 notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e  comunicata  ai
 Presidenti  del  Senato della Repubblica e della Camera dei deputati,
 oltre che alle parti;
   Sospende  il  procedimento  in  corso  e   dispone   la   immediata
 trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
   Cosi' decisio in Catanzaro, addi' 30 maggio 1995
                         Il presidente:  Baudi
                                   I giudici:  Talerico, est. - Garcea
                                ------
                             IL TRIBUNALE
   Ha  pronunciato  la  seguente ordinanza letta l'ordinanza 30 maggio
 1995 nel procedimento penale n. 255/95 a carico di Sanetti Antonio;
    Rilevato che, per  errore  di  trascrizione,  e'  stata  sollevata
 questione di costituzionalita' concernente il riesame, mentre invece,
 nel  caso in esame, si trattava nella questione concernente e' quella
 cautelare;
    Considerata  la  revocabilita'   nella   ordinanza,   di   impulso
 processuale;
                                P. Q. M.
   Revoca la ordinanza sopra citata e provvede come da atto separato.
     Catanzaro, addi' 3 giugno 1995
                         Il presidente:  Baudi
                             IL TRIBUNALE
    Ha  deliberato  la seguente ordinanza nel procedimento iscritto al
 numero 255 del registro delle  impugnazioni  delle  misure  cautelari
 personali  dell'anno  1995,  riservato  per la decisione alla udienza
 camerale del 30 maggio 1995:
    Sull'appello proposto nell'interesse di Serretti Antonio,  nato  a
 Cutro   il  23  marzo  1952  ed  in  atto  detenuto  presso  la  casa
 circondariale di Catanzaro, avverso la  ordinanza  di  rigetto  della
 istanza  di  revoca della misura cautelare della custodia in carcere,
 emessa dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di
 Catanzaro in data 27 marzo 1995;
    Sentiti i difensori, avv.ti Luigi Ciambrone e  Salvatore  Staiano,
 del foro di Catanzaro;
   Esaminati gli atti di causa;
   Udito il relatore;
                            P r e m e t t e
   Avverso  la  ordinanza  sopra  citata  e' stato proposto appello da
 parte della difesa, con atto del 4 aprile 1995.
   Con nota in data 8 aprile 1995 il pubblico ministero  ha  trasmesso
 gli  atti  e,  in  data  29  maggio,  ha  trasmesso  copia di decreto
 dispositivo del giudizio del 16 maggio 1995, anche nei confronti  del
 Serretti.
   Alla  odierna  udienza  camerale,  fissata  per  la trattazione del
 gravame, celebrata in assenza del p.m.,  la  difesa  ha  eccepito  la
 inutilizzabilita'  della  produzione  del p.m., perche' tardiva e non
 rilevante sul piano probatorio, e, nel merito, ha concluso insistendo
 per l'accoglimento dell'appello.
   All'esito il tribunale ha riservato la decisione.
                              R i l e v a
   La produzione del p.m. e'  legittimamente,  sia  per  la  ravvisata
 applicabilita'  del disposto dell'art. 603 c.p.p. anche in materia di
 appello cautelare,  sia,  soprattutto,  perche'  si  tratta  di  atto
 procedimentale sopravvenuto.
   L'appellante   ha   dedotto  che  l'impianto  indiziario  si  regge
 unicamente  sulle  dichiarazioni  del  collaboratore  di   giustizia,
 Santise   Fortunato,  non  soltanto  rimaste  prive  di  verifiche  a
 riscontro, quanto compromesse dalla ritenuta (e sopravvenuta,  quindi
 allegata  come  "elemento  nuovo")  inattendibilita' intrinseca della
 fonte, comprovata dalle risultanze  di  altre  ordinanze  in  materia
 cautelare, prodotte a sostegno della originaria istanza di revoca.
   Occorre,  pero',  prendere atto che, nel frattempo, con decreto del
 16 maggio 1995, l'ufficio del giudice  per  le  indagini  preliminari
 presso  questo tribunale ha disposto il rinvio a giudizio dell'Arena,
 assieme ad altri imputati.
   E' noto, in proposito, l'orientamento giurisprudenziale, secondo il
 quale: "Attesa l'intervenuta modifica dell'art. 425 c.p.p.,  dal  cui
 testo,  per  effetto  dalla  legge  8  aprile  1993  n. 105, e' stata
 eliminata  la  parola  "evidente"  (riferita  alla   presenza   delle
 condizioni che, all'esito dell'udienza preliminare, debbono dar luogo
 al  proscioglimento dell'imputato), deve ritenersi nuovamente vigente
 il principio, gia'  affermato  nella  vigenza  del  codice  abrogato,
 secondo  il  quale,  in tema di provvedimenti riguardanti la liberta'
 personale dell'imputato, l'avvenuto rinvio a giudizio  di  costui  si
 pone  come  motivo  di  preclusione  in  ordine  alla  proposizione e
 all'esame di ogni questione  attinente  alla  sussistenza  dei  gravi
 indizi  di  colpevolezza"  (cfr.,  da ultimo, Cass., sez. I, sent. 11
 ottobre 1994 n. 4446, Falcone e, sez.  V,  5  maggio  1994  n.  1652,
 Bonifati  ed  altri,  a  conferma di un orientamento prevalente della
 Cassazione,  in  specie  dopo  la  abolizione  del  requisito   della
 "evidenza"   probatoria   ai   fini  del  rinvio  a  giudizio;  cfr.,
 anteriormente e tra le piu' recenti, Cass., sez. V,  17  marzo  1994,
 Morando e, sez. I, 12 febbraio 1994 n. 5196, Russo).
   In  linea  con il citato indirizzo (ed in relazione a casi diversi,
 ma ugualmente significativi), le due pronunce che seguono:
     A) "Detto principio non soffre deroga nemmeno nel  caso  in  cui,
 intervenuta  sentenza  di  condanna, questa, in sede di legittimita',
 sia stata annullata  con  rinvio  per  difetto  di  motivazione,  non
 comportando  una  tale  pronuncia  il  venir  meno  degli  indizi  di
 colpevolezza  che  a  suo  tempo  avevano  determinato  il  rinvio  a
 giudizio" (Cass., sez.  I, 7 gennaio 1994 n. 5120, Bontempo Scavo);
     B)  "E'  invece  possibile,  anche  successivamente  al  rinvio a
 giudizio, rimettere in discussione il principio, allorquando  si  sia
 in  presenza  di fatti nuovi o sopravvenuti che, per cio' stesso, non
 vengono ad essere in contrasto con la intervenuta decisione"  (Cass.,
 sez. I, 4 febbraio 1994 n. 5257, Mancion).
   La  forza  dell'evidenziato  principio  trova,  dunque  il  proprio
 fondamento in due argomenti di non trascurabile rilevo:
     1) la introduzione della  modifica  legislativa  alla  regola  di
 giudizio  per  la emissione del decreto dispositivo del giudizio, con
 la conseguenza che la soppressione dell'inciso  "evidente"  (dopo  il
 verbo  "risulta")  postulando "la insussistenza di elementi denotanti
 una situazione  di  incolpevolezza  o  di  impunita'  dell'imputato",
 comporta  che  gli  "elementi di colpevolezza, la cui sussistenza per
 definizione normativa,  costituisce  motivio  di  legittimazione  del
 provvedimento  di rinvio a giudizio, si rendono valutabili nuovamente
 soltanto all'esito delle indagini dibattimentali";
     2) la rivalutazione della disciplina del rinvio  a  giudizio  nei
 termini   fissati   dall'art.   374   c.p.p.   abrogato,  laddove  la
 giurisprudenza era consolidata nell'escludere, una volta  emanata  la
 ordinanza  di rinvio a giudizio, qualsiasi discussione sul fondamento
 dell'accusa,  sulla  qualificazione  giuridica  del  fatto  e   sulla
 sufficienza   degli   indizi:   conseguentemente,   le  contestazioni
 contenute in tale ordinanza non  erano  modificabili  ai  fini  della
 pronuncia sulla liberta' personale.
   La  forza del principio, nel senso che l'apprezzamento degli indizi
 deve considerarsi rimesso definitivamente al giudice del dibattimento
 nei suoi vari gradi, rende necessitato il ricorso  alla  verifica  di
 costituzionalita'.
   La  questione  e'  rilevante  poiche' la norma di cui si segnala la
 incostituzionalita' (il disposto dell'art. 310 in relazione agli art.
 429  c.p.p.  nella  parte  in  cui,  alla  stregua  dell'orientamento
 esaminato,  e'  precluso ogni controllo, sia formale che sostanziale,
 in sede di appello cautelare circa la persistenza dei gravi indizi di
 colpevolezza, dopo il rinvio a giudizio decretato) e' di immediata  e
 diretta applicazione nel procedimento.
   Inoltre,  la  incidenza  e'  di  particolare  pregnanza, atteso che
 l'intervenuto rinvio  precluderebbe  l'esame  del  merito  cautelare,
 fatto  valere  in sede di appello, e fondato su dati probatori nuovi,
 idonei alla revisione del quadro indiziario, rispetto  ai  quali  non
 risultano  addotte  ulteriori  contrapposte  acquisizioni,  se non il
 (mero) fatto processuale dell'adottato decreto ex art. 429 del codice
 di rito penale.
   La questione non e' manifestamente infondata.
   La riforma del 1993, abolitiva del requisito della "evidenza" posto
 dall'art. 425 c.p.p., non ha, in effetti, delineato  alcun  parametro
 sui   poteri   valutativi   del  giudice  a  conclusione  della  fase
 processuale preliminare.
   Non  solo  nessun  dato  normativo  puo'   avallare   la   asserita
 coincidenza  del criterio della gravita' indiziaria anche ai fini del
 rinvio a giudizio, quando vi ostano precisi,  e  contrari,  argomenti
 sistematici,  all'interno  del  nuovo  codice  e nel raffronto con il
 vecchio regime.
   1. - Incontroverso che  la  valutazione  del  giudice  dell'udienza
 preliminare non puo' fondarsi "sugli stessi parametri delibativi alla
 stregua  dei quali il giudice del dibattimento e' chiamato a decidere
 se pronunciare sentenza di  proscioglimento  o  di  condanna"  (cfr.,
 testualmente,  C.  cost. sent. n. 82/93), ne consegue che il criterio
 decisorio preliminare non puo' individuarsi nella "probabile condanna
 dell'imputato", poiche' la  prova  "idonea  a  sostenere  una  futura
 condanna"  e' soltanto quella che si presenti "non insufficiente" (in
 relazione alla completezza investigativa) e "non contraddittoria" (in
 relazione  al  profilo  valutativo),  imponendo,  al  contrario,   al
 suddetto  giudice,  nel  primo  caso (di prova "non sufficiente"), la
 sollecitazione ad integrazione  probatoria  ex  art.  c.p.p.  e,  nel
 secondo  (di  "prova  contraddittoria"), la emanazione di sentenza di
 non luogo a procedere.
   Invece, la armonizzazione del sistema, nella combinata  valutazione
 dei criteri sottostanti alle disposizioni di cui agli artt. 429, 425,
 409 c.p.p. e 125 disp. att. stesso codice, imporrebbe di ritenere che
 il  rinvio a giudizio sia legittimato dalla "idoneita' degli elementi
 acquisiti  nella  indagini  preliminri  a  sostenere  la  accusa  nel
 giudizio", con la esclusione di una prognosi di colpevolezza.
   2.  -  Non  puo'  reggere,  parallelamente, la assimilazione con il
 vecchio "proscioglimento  istruttorio",  sia  perche'  la  istruzione
 "doveva"  essere  completa, sia perche', nel dubbio, era privilegiata
 la formula favorevole al giudicabile, secondo gli schemi propri di un
 superato modello inquisitorio.
   Oltretutto, la "gravita'  indiziaria  di  colpevolezza"  impone  un
 vaglio  probatorio  critico  di  tasso  piu'  elevato  rispetto  alla
 "sufficienza probatoria", all'epoca reputata idonea per il  rinvio  a
 giudizio.
   3.  -  Il  procedimento  in  materia  cautelare  personale e' stato
 concepito in termini di autonomia rispetto a quello di merito, per la
 privilegiata garanzia del bene compresso (della liberta',  o  meglio,
 della liberta' della persona) e per la specificita' valutativa.
   Nulla  esclude  che,  nel  rispetto  della separazione dei giudizi,
 l'imputato sia rinviato a giudizio in stato di liberta'.
   Si indicano a parametro:
     a)  il  disposto  dell'art.   111.2   della   Costituzione,   che
 salvaguarda  la  tutela di legittimita', contro i provvedimenti sulla
 liberta'   personale,   per   "violazione   di   legge",   violazione
 riscontrabile  vieppiu'  nel  preliminare controllo di merito, eppure
 preclusa,  nel  caso  in  esame,  in  virtu'   di   una   presunzione
 (insuperabile  allo  stato degli atti e preclusiva della rilevanza di
 ogni  intermedia   evenienza   addotta   dalla   parte   a   sostegno
 dell'interposto  gravame)  di  "probabile  colpevolezza",  insita nel
 (nelle more) decretato rinvio a giudizio;
     b) il disposto dell'art. 3 della Costituzione, per  una  evidente
 disparita' di trattamento, in contrasto con ogni coerenza sistematica
 e  ragionevolezza  normativa, sul tema primario di tutela del diritto
 di liberta', tra indagati ed imputati ed anche  tra  imputati,  avuto
 riguardo  alla  fase  processuale  precedente  la decisione finale di
 udienza preliminare e quella  immediatamente  successiva,  fino  alla
 emissione della sentenza conclusiva del grado, in specie, laddove:
      detta  scelta si coordina con una decisione preliminare, a tasso
 garantistico non ben definito, perche' un errore di prospettiva sulla
 utilita'  del  dibattimento   si   ripercuote   inevitabilmente   sul
 condizionato potere cautelare e senza che sia ammesso un controllo di
 merito,  nemmeno  sul  decreto  di  rinvio  a  giudizio, notoriamente
 inoppugnabile,  eppure  del  tutto  immotivato  (a  differenza  della
 parallela ordinanza dell'abrogato regime processuale);
      l'incidenza del decreto dispositivo del giudizio  si  pone  come
 fatto  occasionale  e  sopravvenuto,  rispetto  a  giudizi  cautelari
 pendenti, come quello in esame;
     c) il disposto dell'art. 24.2 della Costituzione, perche', per le
 ragioni gia' dette, restringendosi la sfera di tutela  sulle  censure
 proponibili  avverso  il  provvedimento cautelare impugnato, ne resta
 ingiustificatamente  ed  aleatoriamente  sacrificato  il  diritto  di
 difesa  in  relazione  al  bene  primario  della liberta', tanto piu'
 tutelabile,  quanto  piu'  il  sacrificio  di  esso  si   ponga   con
 predominante    efficienza   e   senza   l'adeguato   controllo   sul
 corrispondente fondamento sostanziale di merito.
   Pertanto, il procedimento va sospeso con ogni conseguenza di legge.