IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha  pronunziato la seguente ordinanza sul ricorso n. 3002/1993 reg.
 gen., proposto da: Della Monica Felice, Cavaliere Giuseppe,  Apicella
 Angelo, Gallucci Nicola, Mansi Berardino, Orlando Giuseppe, Salvatore
 Renato,  Bonasi  Teresa,  Faino  Italia,  Gagliotta Gennaro, Giuliano
 Agnese, Iannotti Angelo, Maak Patrizia, Pugliese Giuseppe,  Vicinanza
 Carmine,  Vitale  Patrizia,  De Maio Giovanni, Ferrajolo Carlo, tutti
 rappresentati e  difesi  dall'avv.  Andrea  Di  Lieto  e  con  questi
 elettivamente  domiciliati  in  Salerno,  alla  via Roma, 16, come da
 mandato a margine del ricorso; contro:
     il Consiglio di Stato, in persona del presidente del Consiglio di
 Stato pro-tempore;
     la  Presidenza  del  Consiglio  dei  Ministri,  in  persona   del
 Presidente del Consiglio dei Ministri pro-tempore;
     il  Ministero  del  tesoro,  in persona del Ministro pro-tempore,
 tutti rapp.ti e  difesi  dall'Avvocatura  distrettuale  dello  Stato,
 domiciliataria  per  legge  nella  sua  sede  in Salerno, piazza XXIV
 Maggio n. 26;
   per l'annullamento:
     a)  del  provvedimento  n.  1451/T.E.  del  15 settembre 1993 del
 presidente del Consiglio di Stato con cui e' stata respinta l'istanza
 dei ricorrenti volta ad ottenere il pagamento delle  somme  derivanti
 dall'adeguamento  dell'indennita' giudiziaria di cui all'art. 3 legge
 n. 27 del 1981 e successive;
     b) dell'atto - di estremi ignoti  -  con  cui  il  Ministero  del
 Tesoro  - Ragioneria Generale dello Stato - I.G.O.P. - ha escluso per
 il personale di segreteria  dei  tribunali  amministrativi  regionali
 l'applicazione  dell'adeguamento  dell'indennita'  giudiziaria di cui
 sopra;
   e  per  il  riconoscimento  del   diritto   dei   ricorrenti   alla
 corresponsione  dell'indennita'  giudiziaria  di cui all'art. 1 della
 legge n. 51/89 come  rivalutata  ex  art.  3  legge  n.  27/81,  alla
 differenza tra l'indennita' giudiziaria sinora percepita e quella che
 ritengono  ad  essi spettante, ivi compresi gli interessi legali e la
 rivalutazione monetaria  a  far  data  dal  1  gennaio  1988  (o,  in
 subordine  dal  1  luglio  1989  o,  ancora, dal 1 gennaio 1991) fino
 all'effettivo soddisfo;
   Spese e competenze giudiziali rifuse;
   Visti il ricorso ed i relativi allegati;
   Visto l'atto di  costituzione  in  giudizio  delle  Amministrazioni
 intimate;
   Vista la memoria difensiva prodotta da parte ricorrente;
   Visti gli atti tutti di causa;
   Udita  alla pubblica udienza del 24 marzo 1995 la relazione del dr.
 Andrea Migliozzi;
   Uditi, altresi', l'avv. A. Di Lieto per i ricorrenti  e  l'avvocato
 dello Stato Buongiorno per la p.a.;
   Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
                               F a t t o
   I  ricorrenti,  tutti dipendenti della presidenza del Consiglio dei
 ministri in servizio presso la  sezione  di'  Salerno  del  tribunale
 amministrativo regionale della Campania, espongono di aver notificato
 in data 17 agosto 1993 al Consiglio di Stato atto di messa in mora al
 fine di ottenere la corresponsione dell'indennita' di cui all'art.  1
 della   legge  22  giugno  1988  n.  221  maggiorata  delle  inerenti
 percentuali determinate ai sensi dell'art. 3 della legge 19  febbraio
 1981 n.  27.
   Con  provvedimento  datato  15 settembre 1993 prot. n. 1451/T.E. il
 Presidente del Consiglio di Stato disattendeva l'anzidetta  richiesta
 in  quanto  "tenuto  conto della portata delle disposizioni normative
 quali emergono dal significato proprio delle parole  usate  (art.  12
 delle  preleggi)  questa  Amministrazione  non  puo'  che adeguarsi a
 quanto ritenuto dal Ministero del Tesoro - Ragioneria Generale  dello
 Stato  -  I.G.O.P.)  ...  che  ha  escluso  per tutto il personale di
 cancelleria ed amministrativo interessato al godimento  del  predetto
 emolumento...   la possibilita' di far luogo all'adeguamento previsto
 dall'art.  3  della  legge  n.  27/1981  recante  norme  in  tema  di
 provvidenze per il personale di magistratura".
   Gli  interessati  hanno  impugnato  la  determinazione  assunta dal
 Presidente  del  Consiglio   di   Stato,   chiedendo   nel   contempo
 l'accertamento  del  loro diritto a percepire l'adeguamento periodico
 di  cui  all'art.     3  della  legge  19   febbraio   1981   n.   27
 sull'"indennita'  giudiziaria"  di  cui  all'art.  1  della  legge 15
 febbraio 1989 n. 51, con rivalutazione monetaria ed interessi.
   A  sostegno  del  proposto  ricorso  sono  stati dedotti i seguenti
 motivi:
     1) Violazione e falsa applicazione del combinato disposto di  cui
 agli  artt.  1  legge  15 febbraio 1989 n. 51,  1 e 2 legge 22 giugno
 1988 n. 221, art. 3 legge 19 febbraio 1981 n. 27 e del d.m. 18 luglio
 1988 sull'assunto che  il  legislatore  nell'attribuire  l'indennita'
 giudiziaria  al personale amministrativo dei tribunali amministrativi
 regionali non ha inteso attribuire un  emolumento  fisso  nel  tempo,
 bensi'  maggiorato dell'adeguamento periodico di cui all'art. 3 della
 legge 19 febbraio 1981, n. 27;
     2) Violazione dell'art. 3 e dell'art.  8  della  legge  241/90  -
 Eccesso  di  potere  per  motivazione  erronea,  per non essere stato
 portato a conoscenza dei ricorrenti l'atto del Ministero  del  tesoro
 posto  a  fondamento  dell'impugnato provvedimento del Presidente del
 Consiglio di Stato.
   Si  Sono  costituiti  in  giudizio  per  resistere  al  ricorso  le
 menzionate Amministrazioni.
                             D i r i t t o
   Come esposto in punto di "fatto" col ricorso all'esame i ricorrenti
 tutti  dipendenti  della  Presidenza  del  Consiglio  dei Ministri in
 servizio presso la sezione di Salerno  del  tribunale  amministrativo
 regionale  della Campania, chiedono in sostanza, che sia accertato il
 loro diritto a vedersi corrispondere l'adeguamento periodico  di  cui
 all'art.  1  della  legge  19  febbraio  1981  n.  27 sull'indennita'
 prevista dall'art.  1 della legge 22 giugno 1988 n. 221.
   Tanto  premesso,  occorre  precisare  che  in  subjecta  materia  e
 intervenuta  la  legge  24  dicembre  1993 n. 537 recante "interventi
 correttivi di finanza  pubblica"  che  all'art.  3  n.  61  cosi'  ha
 disposto  "l'art.   1 della legge 22 giugno 1988 n. 221 si interpreta
 nel senso che il riferimento all'indennita' di cui all'art.  3  della
 legge  19  febbraio 1991 n. 27 e' da considerare relativo alle misure
 vigenti alla data del 1 gennaio 1988 espressamente  richiamata  dalla
 disposizione stessa".
   Con  tale norma, stante il tenore logico-letterale della stessa, si
 e' inteso sancire ex tunc il carattere fisso dell'indennita' per  cui
 e' causa, congelarla alla misura vigente alla data del 1 gennaio 1988
 ed escludere, cosi', la possibilita' di corrispondere l'indennita' di
 che trattasi maggiorata dell'adeguamento triennale.
   Sulla  scorta  dello  "sbarramento"  posto  dalla suddetta norma il
 ricorso dovrebbe essere respinto, cionondimeno  il  Collegio  ritiene
 che  la  disposizione  preclusiva  in  parola  non possa sottrarsi al
 sospetto di incostituzionalita' sotto alcuni specifici profili.
   La Corte costituzionale appositamente chiamata a pronunziarsi sulla
 vexata quaestio con sentenza n. 15 del 19 gennaio 1995 ha  dichiarato
 non fondate le questioni di legittimita' costituzionale dell'art.  3,
 sessantunesimo  comma,  della legge 24 dicembre 1993 n. 537 sollevate
 con  riferimento  a  numerosi  parametri  costituzionali  da   alcuni
 tribunali amministrativi regionali.
   Appare  utile  ai  fini per cui e' causa esaminare piu' da vicino i
 contenuti della citata decisione.
   Il giudice della legittimita' delle leggi nel respingere i dubbi di
 incostituzionalita',  ha,  innazitutto,  affermato  che  "l'art.   3,
 sessantunesimo  comma,  della  legge n. 537 del 1993 e' correttamente
 qualificato  di  interpretazione   autentica   e,   come   tale,   e'
 caratterizzata    dalla    retroattivita'".    Inoltre   non   appare
 irragionevole  la  mancata  estensione al personale del meccanismo di
 adeguamento  automatico  previsto   per   i   magistrati   che   trae
 giustificazione dalla particolare condizione dei destinatari.
   Sempre   secondo   i   giudici   della  Corte  il  citato  art.  3,
 sessantunesimo comma, nello stabilire che l'indennita' giudiziaria ai
 cancellieri e segretari giudiziari spetta nella misura vigente  al  1
 gennaio 1988 non interferisce sulla funzione giudiziaria, poiche' per
 principio generale delle leggi, salva l'autorita' dei giudicati, sono
 vincolanti per tutti.
   Secondo  la  Consulta,  infine,  la disposizione di cui all'art. 3,
 sessantunesimo comma, citato non e' in contrasto con l'art. 36  della
 Costituzione,  poiche'  la  proporzionalita'  e  la sufficienza della
 retribuzione vanno valutate in relazione non ai singoli  elementi  di
 retribuzione, bensi' considerando la retribuzione nel suo complesso.
   Cio'  posto  pare  al  Collegio  che rimane tuttavia inesplorata (o
 comunque  solo  minimamente  valutata)  dalla  Corte   costituzionale
 l'argomentazione  pure  addotta  dai vari giudici rimettenti circa la
 disuguaglianza  retributiva  introdotta  da  detta  norma  posto  che
 molteplici dipendenti della stessa amministrazione (la Presidenza del
 Consiglio  dei  Ministri) hanno gia' percepito l'indennita' in parola
 rivalutata per effetto di alcune pronunce giurisdizionali favorevoli.
   Ora  lo  jus  superveniens  rappresentato  dal   citato   art.   3,
 sessantunesimo   comma,   pare   confliggere   con   l'art.  3  della
 Costituzione  (principio  di  uguaglianza)  proprio   perche'   reca,
 comunque,  delle  disparita' di trattamento di situazioni omogenee di
 guisa che nell'ambito della medesima amministrazione cui appartengono
 i ricorrenti e quindi a fronte di  una  eguale  attivita'  lavorativa
 alcuni  dipendenti  hanno potuto percepire l'adeguamento periodico di
 che trattasi ed altri si sono  visti  ancorche'  avessero,  peraltro,
 proposto  i  relativi gravami, precludere la possibilita' di ottenere
 il beneficio in parola.
   Non sembra  possano  rinvenirsi  giustificazioni  a  tale  evidente
 disparita'  di  trattamento,  disparita'  ancora  piu'  palese ove si
 consideri  l'assoluta  identita'  delle  posizioni  di   status   del
 personale  interessato  al beneficio per cui e' causa con conseguente
 mortificazione per coloro che si vedono privare del beneficio stesso,
 rispetto ad altri colleghi piu' "fortunati".
   La norma in questione pare, peraltro,  confliggere  con  l'art.  97
 della  Costituzione  principio  del  buon  andamento  e imparzialita'
 dell'amministrazione, perche' in modo  apparentemente  irrazionale  e
 illogico va ad incidere su diritti gia' maturati.
   Il  sospetto  di  illegittimita' dell'art. 3, sessantunesimo comma,
 della legge 24 dicembre 1993 n. 537 si estende  poi  alla  violazione
 dell'art.  36  della Costituzione (principio della proporzionalita' e
 sufficienza della retribuzione).
   Pur tenendo presente l'indicazione piu' volte fornita  dalla  Corte
 costituzionale (tra le tante, sentenza n. 164 del 1994) secondo cui i
 requisiti  costituzionali  di  proporzionalita'  e  sufficienza della
 retribuzione  devono  essere   valutati   in   considerazione   della
 retribuzione  nel  suo  complesso  e non gia' in relazione ai singoli
 elementi che compongono il trattamento economico, cio'  nondimeno  il
 Collegio ritiene di dover insistere sulla fondatezza della violazione
 del suddetto parametro costituzionale.
   L'indennita'  giudiziaria  caratteristica dell'attivita' lavorativa
 svolta presso gli uffici del  Consiglio  di  Stato  e  dei  tribunali
 amministrativi   regionali  costituisce  parte  integrante  oltreche'
 rilevante  della  retribuzione  attribuita  ai  predetti  dipendenti.
 Sottrarre l'anzidetta indennita' all'adeguamento periodico e' come se
 si volesse cancellare il carattere dell'indicizzazione all'indennita'
 integrativa  speciale,  questo  per  significare la natura e il ruolo
 dell'emolumento previsto dall'art. 1 della legge 22  giugno  1988  n.
 221.
   Ritenere  che  il legislatore abbia voluto attribuire un emolumento
 fisso nel tempo significa  svuotare  di  ogni  funzione  l'indennita'
 stessa  di  guisa  che  il  dipendente  si  vedrebbe  attribuire  una
 "gratificazione" pressoche'  simbolica  assolutamente  inadeguata  al
 vorticoso aumento del costo della vita e questo non puo' non incidere
 negativamente  sulla capacita' del dipendente a far fronte ai normali
 bisogni della vita.
   D'altra parte, pur a voler accedere  alla  tesi  che  comunque  una
 indennita'  come  quella giudiziaria bloccata all'importo fisso a suo
 tempo determinato non comprometta il principio  della  sufficienza  e
 proporzionalita'   della   retribuzione  nel  suo  complesso,  appare
 veramente arduo comprendere in che modo il beneficio dell'adeguamento
 triennale  de  quo  debba  ritenersi  applicabile  al  personale   di
 magistratura   e   non   a  quello  delle  cancellerie  e  segreterie
 giudiziarie posto  che  l'indicizzazione  dell'indennita'  e'  avulsa
 dallo  svolgimento delle mansioni e risulta collegata all'esigenza di
 attenuare gli effetti della svalutazione monetaria sulle retribuzioni
 percepite.
   Se questa (e solo questa) e'  la  ratio  che  anima  il  meccanismo
 dell'adeguamento  triennale  deve  necessariamente dedursi la lesione
 dell'art. 36 della Costituzione.
   Per  le  suesposte  considerazioni  le  questioni  di  legittimita'
 costituzionale  fin  qui  prospettate  in  ordine  alla  norma di cui
 all'art. 3, sessantunesimo comma, della legge 24 dicembre 1993 n. 537
 sono rilevanti, dovendosi disporre  la  remissione  degli  atti  alla
 Corte costituzionale nonche' la sospensione del giudizio.