LA COMMISSIONE TRIBUTARIA DI PRIMO GRADO Ha emesso la seguente ordinanza sul ricorso n. 745/94 presentato il 6 giugno 1994 (avverso: S/Rif. su I Rimb. num. legge 8 agosto 1992 n. 359, ISI 92) da Solari Maurizio, residente a Rovigo in via D. Gallani, 14, contro la D.R.E. Veneto (sezione Rovigo). Con il ricorso in epigrafe indicato il contribuente impugna il silenzio-rifiuto opposto dall'Intendenza di finanza di Rovigo sull'istanza prodotta dal medesimo contribuente, di rimborso della somma corrisposta mediante versamento diretto in Tesoreria, a titolo di Imposta straordinaria sugli immobili (ISI) per l'anno 1992, chiedendo, in via principale, di dichiararsi dovuto il chiesto rimborso, e in via subordinata, la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale stante l'eccepita illegittimita' della legge n. 75 del 1993 nella parte in cui regola la revisione generale delle zone censuarie, delle tariffe d'estimo, delle rendite delle unita' immobiliari urbane e dei criteri di classamento. L'ufficio depositava le proprie deduzioni scritte chiedendo di dichiararsi infondata la richiesta di rimborso, ed il ricorso veniva discusso all'udienza del 22 marzo 1995. La commissione, ritenendo anche d'ufficio rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 7, d.-l. 11 luglio 1991, n. 333, convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1982, n. 359 nonche' dall'art. 2, primo comma, d.-l. 23 gennaio 1993, n. 16, convertito con modificazioni, nella legge 24 marzo 1993, n. 75, osserva quanto segue. La complessa problematica va risolta anche alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 263 del 20-24 giugno 1994 nonche' del sopravvenuto d.-l. n. 48 del 25 febbraio 1995, che all'art. 1, quarto comma, ha prorogato sino al 1 gennaio 1998 il termine del 1 gennaio 1995 previsto dall'art. 2, primo comma, secondo periodo del d.-l. 23 gennaio 1993, n. 16, convertito dalla legge 24 marzo 1993, n. 75, per l'efficacia delle zone censuarie, delle tariffe d'estimo, delle rendite delle unita' immobiliari urbane, stabilendo che fino al 31 dicembre 1997 continuano ad applicarsi le tariffe d'estimo e le rendite determinate in esecuzione del decreto del Ministro delle finanze 20 gennaio 1990. In linea generale va osservato che con la precitata sentenza su ICI - estimi catastali, la Corte costituzionale sostanzialmente ha "salvato" gli estimi (benche' riferiti al valore degli immobili invece che alla loro redditivita') solo in quanto "provvisori" ed in quanto - secondo i giudici costituzionali - la loro compatibilita' o meno con il nostro ordinamento costituzionale dovrebbe essere valutata nell'ambito delle singole imposte. Nella fattispecie si verte in materia di imposta straordinaria immobiliare (ISI) il cui importo e' stato calcolato, come prescritto dall'art. 7 del d.-l. n. 333/1992, sulla base del valore catastale degli immobili. determinato secondo le nuove tariffe d'estimo stabilite con d.m. 27 settembre 1991. Va a questo punto ricordato brevemente l'excursus legislativo che riguarda la materia della revisione degli estimi catastali, direttamente connessa con la presente controversia tributaria. Con legge 30 dicembre 1989, n. 427, il legislatore prevedeva l'aggiornamento del catasto edilizio urbano e del catasto terreni limitandosi pero' a statuire in ordine alle spese e all'efficacia della revisione, senza pero' dettare i nuovi criteri della stessa: si faceva infatti riferimento a precedenti leggi (in particolare la legge 7 marzo 1986, n. 60, di conversione del d.-l. 6 gennaio 1986, n. 2, e la legge 17 febbraio 1985, n. 17, di conversione del d.-l. 19 dicembre 1984, n. 153) che pero', a loro volta, nulla disponevano circa i criteri della revisione. L'argomento veniva affrontato nella circolare del Ministro delle finanze 9 gennaio 1990, n. 2, che stabilisce: "la rendita non sara' piu' calcolata in base al canone di fitto annuo, ma determinata come fruttuosita', con adeguato saggio di interesse, del capitale rappresentato dal valore ordinario dell'immobile". Evidente a questo punto e' il passaggio (non previsto dalla legge) dal criterio del reddito (ossia calcolato in base al canone di fitto annuo) a quello del valore dell'immobile, ai fini della determinazione delle nuove tariffe d'estimo. Questa impostazione e' stata poi confermata con decreto ministeriale 20 gennaio 1990, (che dettava i criteri appunto per la revisione delle tariffe d'estimo) ove si stabiliva al riguardo che "il valore unitario di mercato da porre a base per la determinazione delle tariffe nonche' per le rendite catastali delle unita' immobiliari a destinazione speciale o particolare, sara' determinato come media dei valori riscontrati nel biennio 1988-1989". Con d.m. 27 settembre 1991 il Ministro delle finanze stabiliva infine che "le tariffe d'estimo delle unita' immobiliari urbane sono determinate per l'intero territorio nazionale, con effetto dal 1 gennaio 1992, in conformita' dei prospetti annessi al presente decreto"; e, nello stesso decreto, veniva richiamato come presupposto il predetto d.m. 20 gennaio 1990 (con cui, come anzidetto, si stabiliva di prendere a base del calcolo il criterio rapportato al valore dell'immobile). Entrambi i predetti decreti ministeriali venivano impugnati davanti al giudice amministrativo (T.a.r. Lazio) per aver illegittimamente introdotto - secondo i ricorrenti - il criterio del valore dell'immobile invece di quello reddituale, ai fini della determinazione delle tariffe d'estimo. Con sentenza 6 maggio 1992, n. 1184 il T.a.r. Lazio, poi seguita dalla sentenza n. 1417/92 (entrambe immediatamente esecutive), accoglieva i ricorsi annullando i provvedimenti de quibus, sottolineando in decisione che, se i criteri stabiliti dai decreti ministeriali si fossero dovuti far risalire ad una disciplina legislativa, quella stessa disciplina non sarebbe stata esente da fondati dubbi di costituzionalita': ovverosia per il giudice amministrativo un criterio di determinazione delle tariffe d'estimo fondato soltanto sul "valore" dell'immobile sarebbe stato comunque illegittimo (anche se prevista da una fonte primaria, ossia dalla legge) "perche' l'inversione dei criteri di determinazione delle tariffe d'estimo operata dai decreti ministeriali impugnati, non solo viola le norme di regolamento n. 1142 del 1949, ma introduce una disarmonia complessiva del sistema che su di esse si e' sviluppato". A tale pronuncia amministrativa seguiva da parte del Governo l'emanazione del d.-l. n. 298/1992 che all'art. 2, secondo comma, in versione "interpretativa", in sostanza innovava ex post il contenuto dei decreti ministeriali annullati dal T.a.r. Lazio, ma tale decreto non veniva convertito in legge. Seguivano nell'ordine dapprima il d.-l. 24 luglio 1992, n. 348, anch'esso decaduto per mancata conversione in termini, indi il d.-l. 24 settembre 1992, n. 388, e il d.-l. 24 novembre 1992, n. 455 (a loro volta decaduti) che sempre - rispettivamente all'art. 3 il primo e all'art. 2 i successivi - reintroducevano legislativamente le tariffe gia' dichiarate illegittime dal giudice amministrativo. L'ultima reiterazione, costituita dall'art. 2 del d.-l. 23 gennaio 1993, n. 16, veniva convertito con modificazioni dal Parlamento nella legge 24 marzo 1993, n. 75. Tale norma dispone che le nuove tariffe e rendite che deriveranno all'esito di apposito procedimento entreranno in vigore il 1 gennaio 1995 (termine recentemente prorogato, come gia' detto, al 1 gennaio 1998) ma, nel caso in cui risultassero inferiori a quelle attuali, potranno essere recuperate (nel 1998 .........) sotto forma di credito d'imposta, alla prima dichiarazione de redditi succesiva all'approvazione delle nuove tariffe. Orbene, questa commissione reputa non manifestatamente infondate le eccezioni di incostituzionalita' sollevate dal contribuente, ritenendo anche d'ufficio che il contenuto della normativa in questione (art. 7 del d.-l. 11 luglio 1992, n. 333) nella parte in cui stabilisce che l'importo del tributo sia calcolato sulla base del valore degli immobili determinato secondo le nuove tariffe d'estimo di cui al d.m. 27 settembre 1991, presti il fianco a gravi dubbi di incostituzionalita', cosi' come l'art. 2, primo comma, del d.-l. 23 gennaio 1993, n. 16, convertito con modificazioni, dalla legge 24 marzo 1993, n. 75. I - Violazione dell'art. 3 della Costituzione. Le norme sull'ISI violano il principio dell'uguaglianza dei cittadini, colpendo solo i possessori di beni immobili (facilmente tassabili) a differenza delle altre categorie di cittadini che possiedono patrimoni di altra natura (es. mobiliari), che ne sono andati esenti. II - Violazione, sotto un altro profilo, dell'art. 3 nonche' degli artt. 53 e 42 della Costituzione Essendo stato imposto al contribuente di pagare l'imposta - sia pur una tantum - nella misura stabilita con atti amministrativi illegittimi, sorge il fondato dubbio che cio' non sia conforme ne' al principio della capacita' contributiva ne' a quello della progressivita', essendo stabilita la tassazione delle rendite immobiliari su un'ipotesi astratta di fruttuosita' del valore capitale dell'immobile determinato in base a criteri di tipo "patrimoniale", che la stessa norma mostra di voler abbandonare per i periodi di imposta successivi al 1994, palesando cosi', anche la propria intrinseca irrazionalita'. E' vero che il giudice costituzionale ha affermato, nella precitata sentenza, che il criterio della progressivita' si riferisce al sistema tributario nel suo complesso e non ai singoli tributi nonche' - nel merito - che il sistema catastale aveva gia' superato il vaglio di costituzionalita' e che nel caso in esame il "criterio del valore" era fondato su un "implicito presupposto" tratto dall'esperienza: quello della connessione tra il bene e l'idoneita' dello stesso a produrre reddito. Ma al riguardo siano consentite due osservazioni: a) quanto ai precedenti, la stessa Corte non aveva assolto in assoluto il sistema catastale, ma anzi aveva piu' volte fatto richiamo alla necessita' di una riforma; b) la tesi prospettata secondo cui il criterio del valore presuporrebbe una astratta redditivita' risulta contraddetta dai precedenti orientamenti dello stesso giudice costituzionale che, nella sua giurisprudenza in materia tributaria, ci ha insegnato che il principio di cui all'art. 53 si basa sulla effettivita', per cui sono illegittime le imposte fondate su criteri che non assolvono a tale principio, ma presuppongono solo "in astratto" la redditivita'. Con riferimento poi all'art. 3 della Costituzione, e' la stessa Corte ad insegnarci che il riferimento alla capacita' contributiva "alla sfera dell'obbligato deve risultare da un collegamento effettivo, e che ad un indice effettivo deve farsi capo per determinare la quantita' dell'imposta che da ciascun obbligato si puo' esigere" (sent. n. 50/1965). Con riferimento all'art. 42 della Costituzione, va inoltre rilevato che la mancata previsione delle passivita' che gravano sull'immobile, ai fini della determinazione della base imponibile costituisce certamente violazione del principio dettato dall'art. 53 della Costituzione, con effetto al limite "ablatorio" dell'imposta, effetto ancor piu' probabile tenendo conto dell'indetraibilita' dell'ISI da parte del contribuente ai fini IRPEF o IRPEG. E' ben vero - come osservato dall'Avvocatura dello Stato nel giudizio avanti la Corte costituzionale e riportato nella precitata sentenza - che l'art. 53 della Costituzione non vieta l'istituzione di imposte di tipo patrimoniale, e che rientra nelle scelte del legislatore l'esclusione delle somme corrisposte a titolo di imposta (nella specie si trattava di ICI) dalla deduzione dell'imponibilita' ai fini delle imposte dirette. Ma e' altrettanto vero che le imposte patrimoniali sono conformi al dettato istituzionale solo se possono essere pagate con il reddito in quanto, diversamente, imporrebbero l'alienazione del bene assumendo carattere espropriativo, intaccando le fonti produttive a disposizione del privato in violazione dell'art. 53, inteso alla luce dell'art. 42 della Costituzione. Carattere ablatorio ancor piu' accentuato dal combinato disposto di divieto di detrazione dall'imponibile ai fini IRPEF e IRPEG. In presenza di tale rischio effettivo, peraltro, sulla lettura della parte motiva della precitata sentenza 263/94, sembra di intendere che la stessa Corte costituzionale ritenga possibile sussistere l'illegittimita' costituzionale dei criteri di determinazione delle tariffe d'estimo dettati con i dd.mm. 20 genanio 1990 e 27 settembre 1991: "E' pur vero che i criteri di determinazione delle tariffe d'estimo e delle rendite catastali, ove non ispirati a principi di ragionevolezza, potrebbero, benche' le tariffe non siano di per se' atti di imposizione tributaria, porre le premesse per l'incostituzionalita' delle singole imposte che su di essi si fondino. Peraltro, nel momento in cui per determinare tariffe di estimo e rendite catastali, si abbandona il tradizionale ancoraggio al reddito ritraibile e si privilegia il valore di mercato del bene, si opera una scelta procedimentale alla quale non e' logicamente estraneo il rischio di determinazione di rendite catastali tali da superare per la loro misura il reddito effettivo, sicche' le imposte ordinarie, che a tali rendite si rifacessero, porterebbero ad una sostanziale progressiva erosione del bene". Con questa parte della decisione, dunque, la stessa Corte sostanzialmente riconosce fondato il sospetto di incostituzionalita' delle tariffe d'estimo basate sul valore dell'immobile: assolvendole poi in base a due motivi di ordine diverso, e non di merito (mancata prospettazione concreta nelle ordinanze di rimessione dei profili di incostituzionalita'; "transitorieta'" della disciplina: carattere, che allo stato, alla luce della sopravvenuta proroga legale sta rivelandosi non piu' rispondente - di fatto - alla realta', risolvendosi in una procastinazione potenzialmente sine die). III - Violazione degli stessi artt. 3 e 53 della Costituzione nonche' dell'art. 24 della Costituzione. In quanto, differendo al periodo successivo all'entrata in vigore dei nuovi estimi la possibilita' per i contribuenti di recuperare quanto eventualmente pagato in eccedenza per l'ISI ed il relativo contenzioso, sottopone medio tempore il contribuente ad una tassazione avulsa della sua capacita' contributiva e nel contempo ripristinatoria del principio solve et repete, per l'effetto dell'applicazione in via provvisoria (provvisorieta' peraltro, abbiamo rilevato, del tutto relativa: inizialmente sino al 1994, termine ora prorogato sino al 1 gennaio 1998, da ultimo dall'art. 4 del d.-l. 2 febbraio 1995, n. 48) delle tariffe annullate essendo previsto appunto il varo dal 1 gennaio 1995 (attualmente dilazionato al 1 gennaio 1998) dei nuovi estimi che sostiuiranno quelli illegittimi, con la possibilita' per il contribuente - anche ai fini dell'ISI - di recuperare quanto eventualmente versato indebitamente in eccesso, senza peraltro prevedere il diritto alla percezione degli interessi maturati medio tempore, dal di' del pagamento. Invero il fatto che la legge imponga un pagamento provvisorio provoca discriminazione tra il contribuente che avra' gli estimi confermati e il contribuente che avra' gli estimi ridotti e, quindi, realizzera' un credito nei confronti dell'erario. Quest'ultimo infatti: 1) sara' costretto ad assolvere un tributo in parte non dovuto (violazione degli artt. 3 e 53); 2) realizzera' un credito e ripetera' la somma indebitamente versata, senza che la legge gli riconosca i legittimi interessi (violazione degli artt. 3 e 53); 3) sara' leso nel suo legittimo diritto di tutela del suo credito, soprattutto nell'ipotesi in cui non dovra' piu' fare la dichiarazione dei redditi o presentera' una dichiarazione negativa (violazione degli artt. 3 e 24). In ordine al primo punto e' chiara la violazione del principio di capacita' contributiva e del principio di eguaglianza consacrato dall'art. 3 della Costituzione. Tale principio si sostanzia, secondo l'ormai costante orientamento dottrinale e giurisprudenziale, nella necessita' di collegare conseguenze eguali a fattispecie analoghe e diverse a fattispecie diverse, avendo riguardo, nello stabilire l'analogia e le diversita', al fine perseguito, vale a dire alla ratio della norma. Orbene, non potendosi revocare in dubbio che la ratio legis del provvedimento istitutivo del tributo de quo preordinato alla istituzione di un'imposta applicata su una base imponibile costituita dalla rendita catastale di un bene, non determina alcuna distinzione, sotto il profilo soggettivo, nella compagine sociale cui il dettato normativo si rivolge, balza all'evidenza come le concrete possibilita' applicative della legge siano tali da creare una diversa disciplina impositiva, discriminando, proprio per la provvisorieta' della determinazione del tributo esigibile, le posizioni dei contribuenti, a seconda che il tributo risulti assolto su una rendita successivamente riconfermata ovvero risulti corrisposto su una rendita successivamete ridotta. In sostanza, nell'ambito della stessa categoria di contribuenti viene a prodursi, senza alcun fondamento di ragionevolezza, una netta distinzione tra coloro i quali, assolvendo esattamente il tributo in base alle attuali tariffe, rendono definitiva la loro posizione contributiva e coloro che, assolvendo anch'essi esattamente il tributo in base alle attuali tariffe, sono costretti ad esercitare ulteriori azioni a tutela del credito derivante da una successiva definizione del rapporto. E la stessa Corte costituzionale ha gia' avuto modo di affermare (sentenze n. 85 del 1965 e n. 121 del 1967) che si pongono fuori dal principio di ragionevolezza e, percio', violano il principio costituzionale di eguaglianza, i provvedimenti legislativi che condizionano la definizione di un rapporto (nell'ipotesi ivi considerata, l'applicazione del c.d. condono tributario) ad un atto dell'amministrazione finanziaria; ed e' proprio cio' che si verifica nel caso in esame, dipendendo la differente definizione del rapporto esclusivamente dall'attivita' svolta dall'amministrazione finanziaria nella formazione delle attuali tariffe. Ancora piu' palese e', poi, la discriminazione evidenziata al secondo punto, considerando la formazione, in capo al contribuente che abbia assolto il tributo su una rendita successivamente ridotta, di un credito d'imposta per il quale la legge prevede la possibilita' di recupero, in tempi anche lunghi e sotto forma di compensazione, ma con il riferimento al solo capitale. Il mancato riconoscimento degli interessi accresce, pertanto, l'incidenza dell'imposizione sulla sfera patrimoniale del soggetto e, nel provocare ulteriore discriminazione nei confronti dei contribuenti che tale onere finanziario non sopportano, si pone anche in ulteriore contrasto con il principio affermato dall'art. 53. Infine, in ordine al terzo punto, non va trascurata la circostanza che l'ipotesi di compensazione prevista dalla legge potrebbe anche non realizzarsi nel caso in cui il contribuente creditore non fosse piu' tenuto alla presentazione della dichiarazione dei redditi ovvero dovesse presentare una dichiarazione negativa; nella circostanza, se la disposizione che prevede la particolare forma di rimborso dovesse intendersi esaustiva e, cioe', configurarsi come esclusiva possibilita' di recupero, il contribuente verrebbe addirittura leso nel suo legittimo diritto di tutela del suo credito; ma, anche a voler ammettere la possibilita', non prevista dalla particolare disposizione, di accesso alla ordinaria procedura di rimborso, egualmente si prospetterebbe, sempre in concorrenza con la violazione del principio di uguaglianza, l'aaperta violazione del principio di difesa, sancito dall'art. 24 della Costituzione, considerando che tale procedura, stante la connessa aleatorieta' del recupero determinata dai brevi termini prescrizionali e dalle complesse formalita' di rito, renderebbe, comunque, incerto e difficoltoso l'esercizio del diritto costituzionalmente tutelato. IV - Violazione dell'art. 47 della Costituzione. Essendo l'imposta ISI, come sopra abbondatamente chiarito, totalmente svincolata da qualsivoglia parametro di redditivita' effettiva dell'imoobile, l'importo della stessa, calcolata secondo i criteri di determinazione delle tariffe d'estimo dettati con i dd.mm. 20 gennaio 1990 e 27 settembre 1991, potrebbe rivelarsi totalmente iniquo e sproporzionato nei confronti di quei contribuenti soggetti alla medesima imposta in quanto, ad esempio, proprietari di un unico immobile adibito ad abitazione propria e della famiglia. Nei confronti di tali soggetti non si realizzano pertanto le condizioni favorevoli per l'accesso alla proprieta' dell'abitazione in spregio del dettato di cui al secondo comma dell'art. 47 della Costituzione, che sancisce il diritto all'accesso al risparmio in tutte le sue forme, da parte del cittadino.