Ricorso per la regione Toscana, in persona del presidente in carica
 pro-tempore, autorizzato con delibera  della Giunta regionale n.   31
 del  15  gennaio  1996, rappresentata e difesa, per mandato a margine
 del presente atto, dagli avvocati Vito Vacchi e  Fabio  Lorenzoni  ed
 elettivamente  domiciliata presso lo studio di quest'ultimo, in Roma,
 via Alessandria n.  130,  contro  la  Presidenza  del  Consiglio  dei
 Ministri, in persona del Presidente del  Consiglio pro-tempore per la
 dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale  delle disposizioni
 contenute nell'art.  2, comma 46, lett. d), e), f) e comma 47,  lett.
 b)   della  legge  28  dicembre  1995,  n.  549  recante  "Misure  di
 razionalizzazione della finanza pubblica" per violazione degli  artt.
 3, 76, 115, 117, 118 e 128 della Costituzione.
   La  legge  28  dicembre  1995,  n.  549, pubblicata sul supplemento
 ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 302  del  29  dicembre  1995,  e
 contenente  "Misure  di razionalizzazione della finanza pubblica", al
 quarantaseiesimo comma dell'art. 2, ha delegato il Governo ad emanare
 decreti legislativi diretti a:
     a) trasferire  alle  regioni  ulteriori  funzioni  amministrative
 nelle  materie  di  turismo  e  industria  alberghiera, agricoltura e
 foreste, edilizia residenziale pubblica, formazione professionale  ed
 artigianato  nonche'  a  riordinare la composizione e le attribuzioni
 della Conferenza di cui all'art. 12 della legge n. 400/1988;
     b) delegare alle regioni  funzioni  in  materia  di  industria  e
 commercio;  di  impiantistica  sportiva,  di  trasporti  di interesse
 regionale e locale, con qualsiasi modalita' effettuati, ivi  compresi
 i   servizi   ferroviari  in  concessione  e  gestione  commissariale
 governativa nonche' i servizi  locali  svolti  dalle  Ferrovie  dello
 Stato S.p.a.;
     c)  riclassificare  la  rete  viaria  statale  e regolamentare il
 trasferimento, di intesa con le regioni,  delle  competenze  e  delle
 proprieta'  di  tronchi di strade dall'ANAS alle regioni, fatte salve
 le eccezioni previste dalla stessa disposizione;
     d) delegare alle regioni ulteriori funzioni amministrative  nelle
 materie  di  cui  alla  sopracitata  lett. a) per gli aspetti e per i
 profili che restano nelle attribuzioni statali;
     e) attribuire alle province, ai comuni e agli altri  enti  locali
 funzioni  amministrative  per  le materie di interesse esclusivamente
 locale nei settori di cui alle lett. a), b), c) e d);
     f) prevedere, con particolare riguardo ai compiti di gestione,  i
 settori   prioritari   per   cui   opera  la  delega  delle  funzioni
 amministrative regionali agli enti locali, ai  sensi  dell'art.  118,
 primo comma, della Costituzione;
     g)  prevedere,  con  riguardo  alle funzioni attinenti al sistema
 delle imprese, che le  regioni  nell'ambito  delle  materie  ad  esse
 delegate  o  trasferite,  possano  delegare  le  camere di commercio,
 industria, artigianato e agricoltura.
   Il successivo quarantasettesimo comma del medesimo art. 2 detta poi
 i  principi  ed  i  criteri   cui   il   Governo   dovra'   attenersi
 nell'emanazione dei decreti delegati di cui al precedente comma.
   Le  disposizioni  contenute  nelle lettere d), e), f) del comma 46,
 nonche' nella lettera b) del comma 47 invadono ambiti riservati  alla
 potesta'   legislativa   ed   amministrativa   delle   Regioni.  Piu'
 precisamente esse si pongono in contrasto con gli  artt.  117  e  118
 oltre  che  con  gli  artt.  76,  115,  128  e  3  (sotto  il profilo
 dell'irragionevolezza)  della  Costituzione,  anche  in   riferimento
 all'art. 3, primo e secondo comma, della legge 8 giugno 1990, n. 142,
 per i seguenti motivi di
                             D I R I T T O
   1. - La prima disposizione che si censura e' quella contenuta nella
 lett.  d)  del  comma  46  citato,  anche  in collegamento con quanto
 previsto dalla lettera b) del comma 47 dell'art. 2.
   Si  dispone  che  i  futuri  decreti  governativi delegheranno alle
 regioni ulteriori funzioni amministrative nelle materie regionali  di
 cui  alla  precedente  lettera  a),  per gli aspetti ed i profili che
 restano nelle attribuzioni statali.
   Dalla lettura coordinata delle lettere a) e d)  del  comma  46,  si
 ricava  che  nelle  materie  regionali  elencate  lo Stato tratterra'
 competenze, da delegare poi alle regioni.
   La disposizione della lettera d) non chiarisce pero' se  la  delega
 ivi    prevista    debba    avere    i    caratteri    della   delega
 devolutiva-traslativa ovvero della delega c.d. libera e,  quindi,  se
 la  stessa  dovra'  o  meno  costituire un'integrazione necessaria di
 funzioni "proprie" delle regioni, con una  saldatura  funzionale  tra
 competenze  trasferite  e delegate, tale da consentire, nonostante la
 diversita'  del  titolo  attributivo  l'esplicazione   coordinata   e
 programmata  di  un'azione  regionale globale riospetto alle funzioni
 cosi' accorpate.
   La mancata indicazione di  tale  aspetto  circa  la  configurazione
 della futura delega non viene recuperata nel comma 47, la cui lettera
 b)  non  detta  a  tal  fine  alcun  criterio  che  dovra' guidare il
 legislatore delegato.
   In tal modo, nel silenzio della disposizione di cui alla lett.   d)
 del  comma  46 e nell'assenza di criteri nella lett. b) del comma 47,
 la conformazione della  futura  delega  di  funzioni  verra'  rimessa
 totalmente  alle  decisioni e alle valutazioni governative, la' dove,
 invece, spetta solo al legislatore definire i caratteri della  delega
 amministrativa  dallo Stato alle regioni, conferendo ad essa maggiore
 o minore stabilita' a seconda che il legislatore  stesso  ritenga  di
 dover  mantenere  in  capo allo Stato poteri concorrenti sui medesimi
 oggetti della delega (Corte  costituzionale  n.  579/1988;  278/1991;
 282/1992).
   Il  fatto che tale decisione venga di fatto rimessa al Governo lede
 l'art. 76 della  Costituzione,  per  mancanza  di  criteri  direttivi
 chiari  ed univoci cui dovra' attenersi l'autorita' delegata, nonche'
 gli artt. 117 e 118 della Costituzione ai sensi dei quali  spetta  al
 potere  legislativo  e  non  all'esecutivo determinare il contenuto e
 l'ampiezza delle potesta' legislative  ed  amministrative  regionali,
 nel rispetto delle materie costituzionalmente attribuite alle regioni
 stesse.
   2.  -  La  seconda  disposizione che si censura e' quella contenuta
 nella lett. e) del comma 46.
   Questa infatti viene ad incidere sull'ordine delle funzioni e delle
 competenze degli enti locali e sul ruolo in materia riconosciuto alla
 regione dalla legge 8 giugno 1990, n. 142 che e' legge  di  principio
 (art. 1, comma 1) e non puo' essere derogata, ai sensi dell'art.  128
 della Costituzione, "se non mediante espressa modificazione delle sue
 disposizioni"  (art.  1,  comma 3); le disposizioni in essa contenute
 sono interpretative e direttamente  attuative  della  Costituzione  e
 pertanto  contengono  una  disciplina  organica  atta  a  fungere  da
 parametro interposto nei giudizi di costituzionalita'  concernenti  i
 rapporti Stato-regioni.
   Com'e'  noto  tale  normativa  di  riforma  ha  spezzato l'uniforme
 identita'  degli  enti  locali  configurata  dalle  previgenti  leggi
 comunali  e  provinciali;  nella  sua  qualita'  di legge di principi
 attuativa  dell'art.  128  della  Costituzione  essa  stabilisce  che
 l'assetto  delle  funzioni  locali  debba  essere  improntato secondo
 criteri di flessibilita' per cui alla legge statale spetta definire i
 principi di detto assetto e alle regioni e' demandato il  compito  di
 renderlo  concreto  e  completo,  con l'allocazione delle funzioni in
 capo agli enti locali secondo il criterio della natura dell'interesse
 sotteso alle singole funzioni.
   L'art. 3 di tale  legge  ha  conferito  alla  potesta'  legislativa
 regionale  notevoli  ambiti  di intervento, di ordine organizzativo e
 sostanziale, in vista della realizzazione di un nuovo "sistema  delle
 autonomie locali".
   Per  quel  che  qui  piu' direttamente rileva, ai sensi del primo e
 secondo comma di detto articolo, le regioni  organizzano  l'esercizio
 delle  funzioni amministrative a livello locale attraverso i comuni e
 le province, identificando nelle materie di cui  all'art.  117  della
 Costituzione  gli  interessi  comunali e provinciali in rapporto alle
 caratteristiche della popolazione e del territorio.
   Cio' rende  le  regioni  "centro  propulsore  e  di  coordinamento"
 dell'intero  sistema  delle  autonomie  locali, con un incisivo ruolo
 reso necessaro proprio dalla nuova differenziazione di compiti  degli
 enti  locali  rispetto  alla  previgente  astratta uniformita' (Corte
 Costituzionale n. 343/1991).
   Perche' le regioni poossano esercitare effettivamente  tale  ruolo,
 il loro ambito di intervento deve essere completo e pertanto:
     A)   "le   regioni   potranno  (e  dovranno)  disporre  non  solo
 nell'ambito delle materie di ordinaria spettanza regionale, ma  anche
 per  tutti  quegli  ambiti  ulteriori  di  materia per cui esse siano
 investite di funzioni amministrative delegate e di potesta' normativa
 integrativa"  (Pastori  "Il  riordino  delle  funzioni  locali  e  le
 regioni"  in  Le  Regioni  n.  2/1991,  pag.  340; Colucci "Regioni e
 costruzione delle nuove province", Sorace "La  redistribuzione  delle
 funzioni  degli enti locali (ed altro) nell'art. 3 della legge n. 142
 del 1990" in "Regioni e riforma delle autonomie" Giuffre' 1995,  pag.
 17  ss.; Romano-Tassone "Breve la vita facile dell'art. 3 della legge
 n. 142 del 1990?" ivi, pag. 67 ss.; Tassi "La legislazione  regionale
 di  attuazione  della  legge n. 142 del 1990", ivi pag. 182); secondo
 tale insegnamento ha disposto la regione Toscana nell'art.  1,  primo
 comma,  lett.  b) della legge regionale 19 luglio 1995, n. 77 emanata
 in attuazione della legge n. 142/1990);
     B) l'azione regionale ex art. 3  riguardera'  anche  le  funzioni
 direttamente  attribuite  dallo  Stato  agli  enti  locali  in virtu'
 dell'interesse esclusivamente locale, come chiarito da questa  ecc.ma
 Corte costituzionale nella richiamata sentenza n. 343/1991.
   In  tali ambiti di intervento, l'opera regionale dovra' allocare le
 funzioni in capo agli enti locali rispettando un limite minimo ed  un
 limite massimo.
   Il  c.d.  "limite  minimo"  e'  rappresentato  dal nucleo minimo ed
 indefettibile di funzioni degli enti locali, da ritenersi connaturato
 ed immanente a comuni e province, oltre  il  quale  risulta  leso  il
 principio  di  autonomia  e  di  rappresentanza  delle  collettivita'
 territoriali; il limite massimo e' rappresentato  dalle  esigenze  di
 unitarieta'  che  le  regioni  dovranno  identificare  nei rispettivi
 territori seguendo  il  criterio  dell'interesse  "insuscettibile  di
 frazionamento   e   di   localizzazione   territoriale   che   sfugge
 necessariamente,  per  natura  e  dimensione, all'apprezzamento delle
 amministrazioni locali" (Corte costituzionale n. 340/1983).
   L'art. 3 della legge n. 142/1990  affida  quindi  alle  regioni  il
 suddetto  rilevante compito di completare la definizione dell'assetto
 delle funzioni degli enti locali complessivamente.
   Se e' incontestabile il potere statale di  attribuire  direttamente
 agli  enti locali funzioni di interesse esclusivamente locale, e' pur
 vero che la citata legge di riforma delle autonomie  locali  richiede
 che  vi  sia  la preventiva individuazione da parte delle regioni del
 carattere non unitario dell'interesse sotteso alle varie funzioni:  e
 dunque  l'intervento  regionale  identificativo  degli  interessi  e'
 imprescindibile per la trasformazione dell'imputazione delle funzioni
 da potenziale in attuale.
   Invece  la lettera e) impugnata non tiene conto del descritto ruolo
 regionale non richiamando neppure l'applicabilita' dell'art. 3  della
 legge  n.  142/1990 e deroga implicitamente a detta legge consentendo
 che l'attribuzione delle funzioni dallo Stato agli enti locali  operi
 automaticamente   e   a   prescindere   dalla  previa  individuazione
 dell'interesse operata dall'amministrazione regionale.
   Da cio' deriva:
     che l'attribuzione automatica di funzioni da  parte  dello  Stato
 verra' ad avere il carattere dell'uniformita' ponendosi, pertanto, in
 contraddizione  con il principio di differenziazione al quale si lega
 il riconoscimento alle regioni di una posizione  di  centralita'  nel
 sistema delle autonomie locali;
     che   vi  sara'  una  interruzione  dell'unita'  del  sistema  di
 allocazione delle funzioni, con l'impossibilita' per   la regione  di
 esercitare  il  suo  incisivo  ruolo di governo teso a realizzare una
 disciplina omogenea e ad evitare, cosi', il riproporsi  di  occasioni
 di  frantumazione  e  sovrapposizione  di  funzioni  che  la legge n.
 142/1990 ha voluto abbandonare;
     che si incide negativamente sull'attuazione delle leggi regionali
 approvate a seguire della legge n. 142/1990 e sul complessivo sistema
 di riordino di funzioni che le regioni stanno  compiendo.  Cosi',  ad
 esempio,  la  regione  ricorrente  ha  gia' determinato il modello da
 perseguire nella richiamata legge n. 77/1995 ed in  tale  quadro  sta
 elaborando   le   ulteriori  conseguenti  modifiche  legislative.  E'
 evidente che gli interventi che  verranno  adottati  dal  legislatore
 delegato in base alla norma impugnata, non coordinandosi con l'art. 3
 della  legge  n.  142/1990  e  derogando  alla  stessa,  avranno  una
 incidenza negativa con il sistema delle autonomie definito a  livello
 regionale.
   Per  i motivi esposti la disposizione impugnata, nella parte in cui
 non prevede che le funzioni attribuite agli enti locali  direttamente
 dallo Stato siano subordinate alla preventiva individuazione da parte
 delle  regioni  del  carattere  dell'interesse, e' lesiva degli artt.
 115, 117,  118  e  128  della  Costituzione,  cosi'  come  attuati  e
 completati  dalla  legge  n.  142/1990  che,  come gia' rilevato, non
 ammette deroghe implicite da parte di una legge particolare  come  la
 finanziaria  che disciplina i piu' disparati argomenti ed e' pertanto
 priva del carattere di legge organica generale.
   La disposizione impugnata appare illegittima anche  per  violazione
 dell'art.    3    della   Costituzione   sotto   il   profilo   della
 irragionevolezza, essendo del tutto illogico ed  irrazionale  che  il
 ruolo  di coordinamento regionale si esplichi, secondo l'insegnamento
 della  Corte costituzionale, nei settori di cui agli artt. 9, 14 e 15
 della legge  n.  142/1990  e  non  venga  invece  richiamato  e  reso
 effettivo  anche  nei  settori  di intervento individuati dalla norma
 impugnata; cio' contrasta evidentemente con il citato  art.  3  della
 Costituzione,  in  quanto  non  "consonante  con  il  criterio  della
 ragionevolezza" richiamato dalla Corte costituzionale come  parametro
 per  la  valutazione  della  legittimita'  costituzionale delle leggi
 (sentenze nn. 301/1992 e 454/1991).
   3. - La terza censura - che per i motivi su  cui  si  fonda  e'  in
 parte   ricollegata   alle  precedenti  -  concerne  la  disposizione
 contenuta nella lett. f) del comma 46 del medesimo art. 2.
   Il  legislatore  ha  disposto  che  i  decreti  delegati   dovranno
 prevedere  i  settori  prioritari  per  i  quali  opera  la delega di
 funzioni amministrative regionali agli enti locali.
   Tale disposizione - riferendosi alle materie di  cui  all'art.  117
 della   Costituzione   -   incide   sulla   potesta'   regionale   di
 autoorganizzazione e di autodeterminazione circa le  materie  per  le
 quali  si  ritenga opportuno fare ricorso allo strumento della delega
 agli enti locali.
   Da cio' la dedotta censura per contrasto con gli artt. 115  e  118,
 terzo comma, della Costituzione.
   La norma si presenta poi illegittima per un ulteriore profilo.
   La  citata  legge  n.  142/1990  (ad  es.  art. 2, quinto comma) ha
 introdotto la possibile diretta attribuzione delle funzioni agli enti
 locali da  parte  delle  regioni,  superando  "le  due  correlazioni:
 attribuzione-Stato e delega-regione.
   In  tal  modo,  la  distinzione  tra le due figure non attiene alla
 provenienza statale o regionale della norma, ma al tipo di disciplina
 posta in essere, al regime della funzione, al fatto che si sia dentro
 o fuori dall'autonomia locale.
   Per l'appunto si dovrebbe riservare  la  qualificazione  "delegate"
 (dallo  Stato  o  dalla  regione)  alle  funzioni  degli  enti locali
 integralmente disciplinate dalla legge o  rispetto  alle  quali  sono
 previste interferenze dei livelli superiori di governo; alle funzioni
 svolte  nell'interesse  di  altri  e  non come soggetto di autonomia"
 (Mor. "Interessi locali
  e garanzia costituzionale delle autonomie territoriali" in  "Regioni
 e riforma delle autonomie", Giuffre' 1995,  pag. 130 ss.).
   Nell'attuare  e  nel  dar  corpo  al sistema delle autonomie locali
 compete alle regioni decidere se delegare o    trasferire  agli  enti
 locali   le   funzioni,   ovviamente   nel   rispetto   delle   norme
 costituzionali e dei principi posti  dalla  legislazione  statale  e,
 specificatamente,   della   necessaria  attribuzione  delle  funzioni
 correlate  ad  interessi  individuati  dalla  stessa   regione   come
 provinciali o comunali; del principio di sussidiarieta' assunto dalla
 legge  30  dicembre  1989,  n. 439 come criterio ordinatore del nuovo
 assetto costituzionale a garanzia dell'autonomia locale  intesa  come
 "il  diritto e la capacita' effettiva, per le collettivita' locali di
 regolamentare ed amministrare nell'ambito della legge, sotto la  loro
 responsabilita',  e  a favore delle popolazioni, una parte importante
 di affari pubblici", e con "competenze complete ed integrali"  (artt.
 3  e  4  della  legge  n.  439/1989  di  ratifica ed esecuzione della
 convenzione  europea  relativa  alla  carta  europea   dell'autonomia
 locale).
   Per  l'aspetto  che  qui  si  sta  esaminando, la gia' citata legge
 regionale Toscana n. 77/1995, in attuazione  di  detti  principi,  ha
 attuato  una  scelta  univoca  nel  senso  della valorizzazione delle
 autonomie, superando la delega a favore della  diretta  attribuzione;
 gli  enti  locali  hanno titolarita' delle funzioni che esercitano in
 pienezza di autonomia (art. 8, comma  secondo),  con  i  soli  limiti
 della  programmazione  regionale  (artt.  12 e 13). Cio' implica: una
 attribuzione ampia e non dettagliata; il concorso degli  enti  locali
 alla  elaborazione  degli atti di programmazione regionale (art. 18);
 il superamento di procedimenti che prevedono la coesistenza  di  atti
 regionali e degli enti locali.
   E'  allora  chiaro  che la norma che si impugna interferisce con le
 competenze regionali (che la regione  ricorrente  ha  in  parte  gia'
 esercitato),  perche' si fa riferimento alla sola delega di funzioni,
 quando e' invece ammessa la diretta attribuzione agli enti locali.
   Da cio' la dedotta censura per  contrasto  con  l'art.  118,  terzo
 comma, della Costituzione, come attuato dalla legge n. 142/1990.