ha pronunciato la seguente Sentenza nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 7 del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359, promosso con ordinanza emessa il 2 febbraio 1995 dalla Commissione tributaria di primo grado di Piacenza sul ricorso proposto da Carlo Faverzani contro l'Intendenza di Finanza di Piacenza, iscritta al n. 193 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 15, prima serie speciale, dell'anno 1995; Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nella camera di consiglio dell'8 novembre 1995 il Giudice relatore Massimo Vari. Ritenuto in fatto 1. - La Commissione tributaria di primo grado di Piacenza, con ordinanza del 2 febbraio 1995 (r.o. n. 193 del 1995) - emessa nel giudizio sul ricorso proposto da Carlo Faverzani nei confronti dell'Amministrazione finanziaria avverso il silenzio-rifiuto formatosi sull'istanza di rimborso dell'imposta straordinaria immobiliare versata nel 1992 - ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 53, 24 e 42 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 7 del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359. Il giudice rimettente, premesso che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 263 del 1994, "ha "salvato" gli estimi (benche' riferiti al valore degli immobili anziche' alla loro redditivita') solo in quanto "provvisori"" ed "in quanto la loro compatibilita' o meno con il nostro ordinamento costituzionale dovrebbe essere valutata nell'ambito delle singole imposte", sospetta di illegittimita' costituzionale la norma denunciata nella parte in cui stabilisce che l'importo del tributo e' da calcolare sulla base del valore degli immobili determinato secondo le tariffe d'estimo di cui al decreto ministeriale 27 settembre 1991. Viene in particolare lamentata violazione: 1) dell'art. 3 della Costituzione, sotto il profilo del contrasto con il principio di uguaglianza, giacche' sarebbero colpiti "solo i possessori di beni immobili (facilmente tassabili) a differenza delle altre categorie di cittadini che possiedono patrimoni di altra natura (es. mobiliari), che ne sono andati esenti"; 2) dello stesso art. 3 della Costituzione nonche' degli artt. 53 e 42, in quanto la disposizione, nel prevedere il pagamento dell'imposta "nella misura stabilita con atti amministrativi illegittimi", non si conformerebbe "ne' al principio della capacita' contributiva ne' a quello della progressivita'", essendo la tassazione stabilita su "un'ipotesi astratta di fruttuosita' del valore capitale dell'immobile determinato in base a criteri di tipo "patrimoniale", che la stessa norma mostra di voler abbandonare per i periodi di imposta successivi al 1994, palesando cosi' anche la propria intrinseca irrazionalita'". Al riguardo l'ordinanza, osservato che la stessa Corte non ha "assolto in assoluto il sistema catastale", ma anzi ha piu' volte "fatto richiamo alla necessita' di una riforma", rinvia a quelle pronunzie, secondo le quali "il principio di cui all'art. 53 si basa sull'effettivita'", per cui sono illegittime le imposte fondate su criteri che non si conformano a tale principio, "ma presuppongono solo "in astratto" la redditivita'". Osserva, inoltre, riguardo all'art. 3 della Costituzione, che la stessa Corte (sentenza n. 50 del 1965) ha affermato che "ad un indice effettivo deve farsi capo per determinare la quantita' dell'imposta che da ciascun obbligato si puo' esigere". Quanto all'art. 42 della Costituzione, si censura la mancata previsione della deducibilita', ai fini della determinazione della base imponibile, delle passivita' che gravano sull'immobile, in contrasto anche con l'art. 53 e con un effetto "al limite ablatorio" del bene, tenendo per di piu' conto della "indetraibilita'" dell'ISI ai fini IRPEF o IRPEG. Secondo il remittente, se "l'art. 53 della Costituzione non vieta l'istituzione di imposte di tipo patrimoniale" e se appartiene alle scelte del legislatore la deducibilita' delle somme corrisposte a titolo di imposta dall'imponibile ai fini delle imposte dirette, tuttavia le imposte patrimoniali sono conformi al dettato costituzionale "solo se possono essere pagate con il reddito, in quanto, diversamente, imporrebbero l'alienazione del bene assumendo carattere espropriativo". Invero, la stessa sentenza n. 263 del 1994, riferendosi al "rischio di determinazione di rendite catastali tali da superare per la loro misura il reddito effettivo", avrebbe "sostanzialmente" riconosciuto "fondato il sospetto di incostituzionalita' delle tariffe d'estimo basate sul valore dell'immobile, assolvendole poi in base a due motivi di ordine diverso e non di merito"; 3) degli stessi artt. 3 e 53 della Costituzione nonche' dell'art. 24, giacche' la norma denunciata, "differendo al periodo successivo all'entrata in vigore dei nuovi estimi la possibilita' per i contribuenti di recuperare quanto eventualmente pagato in eccedenza per l'ISI ed il relativo contenzioso", sottoporrebbe "medio tempore il contribuente ad una tassazione avulsa dalla sua capacita' contributiva e nel contempo ripristinatoria del principio solve et repete", senza peraltro prevedere il diritto alla percezione degli interessi. 2. - E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, per chiedere che la questione venga dichiarata "in parte non ammissibile ed in toto non fondata". La difesa erariale rileva, preliminarmente, l'inammissibilita' del terzo dei profili prospettati dall'ordinanza di rimessione, sia perche' l'asserita "tassazione avulsa" non e' prevista dalla disposizione denunciata, sicche' si avrebbe aberractio ictus, sia perche' la possibilita' di recuperare quanto eventualmente pagato in eccedenza (sulla base di estimi successivamente ridotti) non riguarderebbe l'ISI, ma sarebbe prevista (e non dalla norma sub iudice) ai soli fini delle imposte sui redditi e soltanto per le riduzioni eventualmente derivate dall'applicazione dei commi 1-bis e 1-ter dell'art. 2 della legge n. 75 del 1993 (i pochi concreti casi non hanno, peraltro, interessato gli immobili di che trattasi). Inammissibile sarebbe anche il profilo riguardante l'art. 24 della Costituzione, atteso che "non puo' parlarsi di solve et repete e che il parametro costituzionale riguarda solo il processo giurisdizionale". Quanto poi ai primi due profili, si rileva che l'ordinanza di rimessione ricalca argomenti esposti in ordinanze del TAR Umbria (r.o. nn. 31 e 33 del 1994) con riguardo all'ICI, osservando, nel contempo, che la Commissione remittente tende essenzialmente a valorizzare l'inciso contenuto nella sentenza n. 263 del 1994 ove si legge che "imposte ordinarie che a tali rendite si rifacessero porterebbero ad una sostanziale progressiva erosione del bene". Osservato che potrebbe risultare assorbente la considerazione che la ISI e' una imposta straordinaria, si rileva che, tuttavia, per scongiurare l'eventualita' della riproposizione di analoghi dubbi con riferimento all'ICI, andrebbe affrontata la sostanza della questione: "e cioe' se le imposte commisurate a valori patrimoniali incontrino o meno un limite pervero non previsto dalla Costituzione" che consisterebbe nella "possibilita' di far fronte all'onere di dette imposte mediante i "frutti" effettivamente conseguiti". Al riguardo l'Avvocatura osserva che le imposte su valori patrimoniali per loro natura colpiscono non i frutti ma proprio il capitale; esse chiamano a concorrere alle spese pubbliche non i percettori di redditi, ma i possessori di beni in quanto tali. Secondo la difesa erariale, il carattere di imposta patrimoniale dell'ISI - e, a fortiori, dell'ICI - resta, peraltro, tutt'altro che dimostrato, potendosi anzi addurre argomenti di segno opposto. Il parametro di cui all'art. 42 della Costituzione, d'altra parte, concerne l'espropriazione per motivi di interesse generale, non anche l'imposizione tributaria sul possesso o sul reddito o sul trasferimento di una specie di beni. Ne' puo' sostenersi che ISI (ed ICI) siano misure di confisca. 3. - In una successiva memoria, la difesa erariale rileva che l'ordinanza di rimessione non adduce che in concreto l'ISI abbia effettivamente avuto l'ipotizzato carattere espropriativo, donde l'inammissibilita' del profilo prospettato, che sarebbe, comunque, infondato nel merito. Si deduce, altresi', che, ammessa la distinzione tra imposizione tributaria sul patrimonio e/o sul reddito ed espropriazione, "la linea di confine non puo' coincidere, nel caso di imposizione patrimoniale, con il reddito effettivo" e in genere con l'ammontare dei frutti del bene. Nessuna norma costituzionale impedirebbe, peraltro, di colpire fiscalmente il patrimonio in quanto tale; ed anzi potrebbe dubitarsi della compatibilita', con l'art. 53, secondo comma, della Costituzione, di un sistema tributario che escludesse totalmente le imposte sul patrimonio. Considerato in diritto 1. - Con l'ordinanza in epigrafe, la Commissione tributaria di primo grado di Piacenza ha sollevato, in relazione agli artt. 3, 53, 24 e 42 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 7 del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359. La disposizione censurata istituisce un'imposta straordinaria immobiliare sul valore dei fabbricati, siti nel territorio dello Stato a qualsiasi uso destinati, costituito, per i fabbricati iscritti in catasto, da quello risultante dall'applicazione di un moltiplicatore all'ammontare delle rendite catastali determinate a seguito della revisione generale disposta con il decreto del Ministro delle finanze 20 gennaio 1990. Venuta meno, a seguito dell'annullamento da parte del giudice amministrativo, la disciplina contenuta in quest'ultimo decreto, unitamente a quella del successivo del 27 settembre 1991 che, in conformita' al primo, aveva stabilito le nuove tariffe di estimo per l'intero territorio nazionale con effetto dal primo gennaio 1992, il remittente implicitamente assume, in cio' conformandosi all'orientamento espresso da questa Corte (v. sentenza n. 309 del 1995), che il riferimento fatto dal comma 3 del denunciato art. 7 alle rendite catastali di cui al menzionato decreto 20 gennaio 1990 sia da ritenere tuttora operante, in ragione della nuova base di legittimazione conferita, alla disciplina dei provvedimenti annullati, dall'art. 2 del decreto-legge 23 gennaio 1993, n. 16, convertito, con modificazioni, nella legge 24 marzo 1993, n. 75. 2. - Secondo l'ordinanza, la disposizione censurata, nello stabilire che l'importo del tributo sia calcolato sulla base del valore degli immobili, determinato secondo le nuove tariffe d'estimo di cui al decreto ministeriale 20 gennaio 1990, si porrebbe in contrasto con: l'art. 3 della Costituzione, in quanto colpisce "solo i possessori di beni immobili (facilmente tassabili) a differenza delle altre categorie di cittadini che possiedono patrimoni di altra natura (es. mobiliari), che ne sono andati esenti"; lo stesso art. 3 nonche' gli artt. 53 e 42 della Costituzione, prevedendo, in contrasto con il principio della capacita' contributiva e con quello della progressivita', una tassazione stabilita su "un'ipotesi astratta di fruttuosita' del valore capitale dell'immobile determinato in base a criteri di tipo "patrimoniale", che la stessa norma mostra di voler abbandonare per i periodi di imposta successivi al 1994, palesando cosi' anche la propria intrinseca irrazionalita'"; e questo a tener conto non solo della circostanza che la giurisprudenza costituzionale non avrebbe "assolto in assoluto il sistema catastale", evidenziando, anzi, la necessita' di una sua riforma, ma anche dell'effetto, al limite, "ablatorio" del bene, derivante dalla mancata previsione della deduzione delle "passivita' che gravano sull'immobile, ai fini della determinazione della base imponibile" come pure della "indetraibilita'" dell'ISI ai fini IRPEF o IRPEG; gli stessi artt. 3 e 53 della Costituzione, nonche' l'art. 24 della Costituzione, in quanto, "differendo al periodo successivo all'entrata in vigore dei nuovi estimi la possibilita' per i contribuenti di recuperare quanto eventualmente pagato in eccedenza per l'ISI ed il relativo contenzioso", "sottopone medio tempore il contribuente ad una tassazione avulsa dalla sua capacita' contributiva e, nel contempo, ripristinatoria del principio solve et repete", "senza peraltro prevedere il diritto alla percezione degli interessi". 3. - Non fondata e', anzitutto, la questione relativa al trattamento discriminatorio di cui, secondo l'ordinanza, verrebbero fatti oggetto i possessori di immobili, per effetto dell'introduzione dell'imposta straordinaria, rispetto ai possessori di patrimoni di altra natura. In proposito non si puo' non rammentare, in linea generale, il principio ripetutamente affermato dalla giurisprudenza costituzionale, secondo il quale resta affidata alla discrezionalita' del legislatore l'individuazione delle situazioni espressive della idoneita' dei singoli cittadini all'obbligazione di imposta, salvo il controllo di costituzionalita' sotto il profilo della non arbitrarieta' e non irrazionalita' (sentenze nn. 42 del 1992 e 143 del 1995). Ma, a parte il principio teste' richiamato, la lamentata disparita' di trattamento va comunque esclusa perche' la disposizione di cui all'art. 7 in esame, nell'ambito di misure correttive della finanza pubblica, fondate, oltre che sulle riduzioni di spesa, sull'aumento delle entrate, coinvolge in tali obiettivi di risanamento del bilancio dello Stato non solo i patrimoni immobiliari, ma anche quelli rappresentati dalle liquidita' finanziarie, tanto che, al sesto comma, introduce anche la ritenuta del 6 per mille sui depositi bancari, con una norma che ha superato positivamente il controllo di costituzionalita' (v. sentenza n. 143 del 1995). E questo a tacere di altri provvedimenti, coevi, rispondenti alle medesime finalita'. 4. - La disposizione in esame forma, poi, oggetto di una complessa e articolata censura, anch'essa non fondata, che, in riferimento agli artt. 3, 53 e 42 della Costituzione, si basa essenzialmente sull'assunto della mancanza, nella situazione presa in considerazione dal legislatore, di elementi espressivi di una effettiva idoneita' del soggetto all'obbligazione di imposta, anche sotto il profilo del principio di progressivita'. Trattasi, almeno in parte, della riproposizione di profili gia' sottoposti da altri giudici all'esame della Corte e da quest'ultima ritenuti non fondati, come quello secondo il quale la tassazione delle rendite immobiliari si fonderebbe su un'ipotesi astratta di fruttuosita' del valore capitale dell'immobile, determinato in base a criteri di tipo patrimoniale che la stessa norma mostra di voler abbandonare per i periodi di imposta successivi al 1994. Al riguardo la Corte (in particolare nella sentenza n. 263 del 1994, ma anche nella successiva sentenza n. 309 del 1995), dopo aver rilevato che gli attuali criteri di determinazione delle rendite catastali si ispirano verosimilmente alla constatazione di una scarsa attuale rappresentativita' del mercato delle locazioni, in ordine alla potenziale capacita' di produrre reddito da parte del bene, ha precisato che il previsto mutamento di indirizzo normativo in materia trova la sua ragione nella piu' recente tendenza legislativa, volta, come e' noto, a superare il regime vincolistico delle locazioni. Quanto all'invocato principio di progressivita', occorre aggiungere che esso si riferisce, secondo costante giurisprudenza, all'ordinamento tributario nel suo complesso e non alle singole imposte (v. sentenze nn. 263 del 1994 e 143 del 1995). Non nuova, e del pari non fondata, nella linea della denunciata mancanza, nella situazione ipotizzata dal legislatore, di indici rivelatori di ricchezza (e quindi di una effettiva capacita' contributiva), appare anche la censura rivolta dall'ordinanza al sistema catastale. La Corte gia' a suo tempo ha affermato la non irragionevolezza dell'imposizione basata sulle rendite catastali, anche se esse non coincidono con il reddito effettivamente percepito, essendo la capacita' contributiva rivelata non solo dal reddito, ma anche dall'attitudine di un bene a produrlo (sentenza n. 16 del 1965). Occorre, peraltro, considerare che, secondo il meccanismo di tassazione previsto per l'ISI, il sistema catastale rileva non in quanto indicativo di un reddito, bensi' quale strumento per risalire al valore del bene; valore al quale e' commisurata l'imposta. Il rimittente, nel rilevare, poi, che le imposte patrimoniali sono conformi al dettato costituzionale solo se possono essere pagate con il reddito, lamenta la mancata previsione, ai fini della determinazione della base imponibile ISI, della deduzione delle passivita' gravanti sull'immobile, con un effetto che, secondo l'ordinanza, potrebbe rivelarsi al limite "ablatorio", ove anche si consideri che l'imposta straordinaria non e' deducibile dall'imponibile IRPEF e dall'imponibile IRPEG. La Corte osserva che l'imposta straordinaria sugli immobili costituisce un tributo la cui istituzione, come emerge dai lavori parlamentari, aveva il fine di reperire mezzi per il bilancio dello Stato in una situazione economica del Paese che appariva di notevole gravita', esigendo dai cittadini sacrifici straordinari - peraltro limitati ad un solo anno - sicche' sono proprio tali caratteri a consentire, secondo un canone di giudizio altre volte seguito (sentenze n. 143 del 1995 e n. 159 del 1985), di escludere la violazione degli invocati principi costituzionali, non potendosi negare il collegamento oggettivo del tributo, cosi' come disciplinato, ad un concreto presupposto impositivo. Il carattere decisivo di questi rilievi esonera, d'altro canto, la Corte dall'approfondire la problematica di principio adombrata dal giudice remittente, non solo circa la riconducibilita' dell'ISI fra le imposte patrimoniali ma anche circa i limiti in cui possono ritenersi conformi a Costituzione le stesse imposte patrimoniali come pure in ordine alla mancata previsione della deduzione delle passivita' gravanti sull'immobile; profilo, quest'ultimo, prospettato, peraltro, in linea del tutto ipotetica, senza offrire concreti elementi valutativi riferiti alla fattispecie. Fermo quanto sopra, per quanto attiene poi all'ulteriore problematica che viene adombrata nell'ordinanza, della mancata previsione della deducibilita' dell'ISI dall'imponibile IRPEF e IRPEG, la questione e' qui posta impropriamente, in quanto relativa al regime giuridico e quindi alla fase applicativa delle predette IRPEF e IRPEG. E questo non senza ricordare, in ogni caso, la discrezionalita' di cui, in materia di deducibilita' di oneri, gode, ai fini dell'imposizione sui redditi, il legislatore, secondo criteri volti a conciliare - sulla base di valutazioni politico-economiche - le esigenze finanziarie dello Stato con quelle del cittadino, chiamato a contribuire ai bisogni della vita collettiva, non meno importanti delle esigenze della vita individuale (sentenze nn. 134 e 143 del 1982; ordinanza n. 556 del 1987; sentenza n. 574 del 1988). 5. - Quanto, infine, all'ultimo profilo di censura, che attiene alla prospettata violazione degli artt. 3, 53 e 24 della Costituzione, il rimettente ritiene che la tesi da lui sostenuta di una tassazione che risulterebbe avulsa dalla capacita' contributiva trovi, nella specie, ulteriore conferma anche nel previsto differimento, al periodo successivo all'entrata in vigore dei nuovi estimi, sia della possibilita' per i contribuenti di recuperare quanto eventualmente pagato in eccedenza per l'ISI, sia del relativo contenzioso; con ripristino del principio del solve et repete e senza che sia prevista la corresponsione di interessi sulle somme versate in eccedenza. A ben vedere la censura, cosi' come prospettata, si scinde in due profili. Il primo e' inteso a ribadire, in via di principio, l'inesistenza di una effettiva capacita' contributiva in ragione del carattere non definitivo della tassazione. Al riguardo va preliminarmente precisato che il giudice remittente muove dall'erroneo assunto che secondo la disciplina vigente in materia - ove le rendite catastali, rideterminate con decreto ministeriale, secondo i nuovi criteri previsti a decorrere, in un primo momento dal 1 gennaio 1995, ma ormai dal 1 gennaio 1997 in forza dell'art. 1, comma 5, del decreto-legge 28 giugno 1995, n. 250, convertito dalla legge 8 agosto 1995, n. 349, dovessero risultare inferiori a quelle di cui al decreto ministeriale 27 settembre 1991 - il contribuente possa tenerne conto ai fini dell'imposta personale da corrispondere per il 1992. In effetti, come la Corte ha gia' avuto occasione di rilevare (sentenza n. 263 del 1994), la normativa vigente in materia, in particolare l'art. 2 del decreto-legge 23 gennaio 1993, n. 16, cosi' come modificato dalla legge di conversione n. 75 del 1993, prevede una eventualita' di revisione delle rendite catastali, con un raffronto che, pero', agli effetti sopra accennati, deve essere operato non fra le tariffe di estimo che entreranno in vigore dal 1997 e quelle di cui al decreto del Ministro delle finanze 27 settembre 1991, bensi' fra quelle di cui a quest'ultimo decreto e quelle risultanti all'esito dei ricorsi alle Commissioni censuarie, proposti dai Comuni ai sensi dei commi 1-bis, 1-ter e 1-quater dello stesso art. 2 della legge n. 75 del 1993. Ma anche in questa piu' corretta prospettiva la questione - da intendersi evidentemente come prospettazione da parte del remittente dell'esigenza che l'imposizione tributaria, per rispondere all'effettiva capacita' contributiva, debba basarsi su presupposti non suscettibili di essere rimessi in discussione - non puo' ritenersi fondata in quanto, come questa Corte ha gia' rilevato nella sentenza n. 309 del 1995, non si puo' ritenere violato il principio di capacita' contributiva per il solo fatto che una disposizione preveda, in via oltretutto eventuale, la revisione degli estimi, senza coinvolgere i criteri di determinazione delle rendite fissati dal legislatore, bensi' i soli risultati applicativi di essi, in vista di una loro piu' esatta determinazione. Quanto al secondo profilo, lo stesso, ponendosi come logicamente autonomo dal primo, appare volto a censurare una pretesa reintroduzione del principio del solve et repete, senza che sia prevista la corresponsione di interessi sulle somme versate in eccedenza. Sotto tale profilo la questione e' da ritenersi inammissibile in quanto essa investe propriamente non la disposizione oggetto di denuncia nell'ordinanza di remissione bensi' quella, diversa, contenuta nell'art. 2 della legge n. 75 del 1993 che, oltre a conferire nuova base di legittimita' ai decreti sulle rendite catastali, integrando per questa parte l'art. 7 denunciato, contiene ulteriori autonome previsioni normative, che appaiono irrilevanti in ordine all'oggetto del giudizio pendente innanzi alla Commissione tributaria remittente.