ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale   dell'art.   7   del
 decreto-legge   11  luglio  1992,  n.  333  (Misure  urgenti  per  il
 risanamento della finanza pubblica), convertito,  con  modificazioni,
 nella legge 8 agosto 1992, n. 359, promosso con ordinanza emessa il 2
 febbraio 1995 dalla Commissione tributaria di primo grado di Piacenza
 sul  ricorso  proposto  da  Carlo  Faverzani  contro  l'Intendenza di
 Finanza di Piacenza, iscritta al n. 193 del registro ordinanze 1995 e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  15,  prima
 serie speciale, dell'anno 1995;
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
   Udito nella camera di consiglio dell'8  novembre  1995  il  Giudice
 relatore Massimo Vari.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -  La  Commissione  tributaria  di primo grado di Piacenza, con
 ordinanza del 2 febbraio 1995 (r.o. n. 193 del  1995)  -  emessa  nel
 giudizio  sul  ricorso  proposto  da  Carlo  Faverzani  nei confronti
 dell'Amministrazione   finanziaria   avverso   il    silenzio-rifiuto
 formatosi   sull'istanza   di   rimborso  dell'imposta  straordinaria
 immobiliare versata nel 1992 -  ha  sollevato,  in  riferimento  agli
 artt.  3,  53,  24 e 42 della Costituzione, questione di legittimita'
 costituzionale dell'art. 7 del decreto-legge 11 luglio 1992,  n.  333
 (Misure   urgenti   per   il  risanamento  della  finanza  pubblica),
 convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359.
   Il giudice rimettente, premesso che la Corte costituzionale, con la
 sentenza n. 263 del 1994, "ha "salvato" gli estimi (benche'  riferiti
 al  valore  degli  immobili  anziche' alla loro redditivita') solo in
 quanto "provvisori"" ed "in quanto la loro compatibilita' o meno  con
 il   nostro   ordinamento  costituzionale  dovrebbe  essere  valutata
 nell'ambito  delle  singole  imposte",  sospetta  di   illegittimita'
 costituzionale  la norma denunciata nella parte in cui stabilisce che
 l'importo del tributo e' da calcolare sulla  base  del  valore  degli
 immobili  determinato  secondo  le tariffe d'estimo di cui al decreto
 ministeriale 27 settembre 1991.
    Viene in particolare lamentata violazione:
     1) dell'art. 3 della Costituzione, sotto il profilo del contrasto
 con il principio di uguaglianza, giacche' sarebbero colpiti  "solo  i
 possessori di beni immobili (facilmente tassabili) a differenza delle
 altre categorie di cittadini che possiedono patrimoni di altra natura
 (es. mobiliari), che ne sono andati esenti";
     2) dello stesso art. 3 della Costituzione nonche' degli artt.  53
 e   42,  in  quanto  la  disposizione,  nel  prevedere  il  pagamento
 dell'imposta  "nella  misura  stabilita   con   atti   amministrativi
 illegittimi",  non si conformerebbe "ne' al principio della capacita'
 contributiva  ne'  a  quello  della   progressivita'",   essendo   la
 tassazione  stabilita  su  "un'ipotesi  astratta  di fruttuosita' del
 valore capitale dell'immobile determinato in base a criteri  di  tipo
 "patrimoniale", che la stessa norma mostra di voler abbandonare per i
 periodi  di  imposta  successivi  al  1994,  palesando cosi' anche la
 propria  intrinseca  irrazionalita'".     Al  riguardo   l'ordinanza,
 osservato  che la stessa Corte non ha "assolto in assoluto il sistema
 catastale", ma anzi ha piu' volte "fatto richiamo alla necessita'  di
 una  riforma",  rinvia  a  quelle  pronunzie,  secondo  le  quali "il
 principio di cui all'art. 53 si basa sull'effettivita'", per cui sono
 illegittime le imposte fondate su criteri che  non  si  conformano  a
 tale   principio,   "ma   presuppongono   solo   "in   astratto"   la
 redditivita'".  Osserva,   inoltre,   riguardo   all'art.   3   della
 Costituzione,  che  la  stessa  Corte  (sentenza  n.  50 del 1965) ha
 affermato che "ad un indice effettivo deve farsi capo per determinare
 la quantita' dell'imposta che da ciascun obbligato si puo' esigere".
   Quanto all'art.  42  della  Costituzione,  si  censura  la  mancata
 previsione  della  deducibilita',  ai fini della determinazione della
 base imponibile,  delle  passivita'  che  gravano  sull'immobile,  in
 contrasto  anche con l'art. 53 e con un effetto "al limite ablatorio"
 del bene, tenendo per di piu' conto della "indetraibilita'"  dell'ISI
 ai  fini  IRPEF  o  IRPEG. Secondo il remittente, se "l'art. 53 della
 Costituzione non vieta l'istituzione di imposte di tipo patrimoniale"
 e se appartiene alle scelte del legislatore  la  deducibilita'  delle
 somme  corrisposte  a titolo di imposta dall'imponibile ai fini delle
 imposte dirette, tuttavia le imposte patrimoniali  sono  conformi  al
 dettato costituzionale "solo se possono essere pagate con il reddito,
 in   quanto,   diversamente,   imporrebbero  l'alienazione  del  bene
 assumendo carattere espropriativo".   Invero, la stessa  sentenza  n.
 263  del  1994,  riferendosi al "rischio di determinazione di rendite
 catastali tali da superare per la loro misura il reddito  effettivo",
 avrebbe   "sostanzialmente"  riconosciuto  "fondato  il  sospetto  di
 incostituzionalita'  delle  tariffe  d'estimo   basate   sul   valore
 dell'immobile,  assolvendole  poi  in  base  a  due  motivi di ordine
 diverso e non di merito";
     3) degli stessi artt. 3 e 53 della Costituzione nonche' dell'art.
 24, giacche' la norma denunciata, "differendo al  periodo  successivo
 all'entrata  in  vigore  dei  nuovi  estimi  la  possibilita'  per  i
 contribuenti di recuperare quanto eventualmente pagato  in  eccedenza
 per  l'ISI  ed il relativo contenzioso", sottoporrebbe "medio tempore
 il  contribuente  ad  una  tassazione  avulsa  dalla  sua   capacita'
 contributiva  e  nel  contempo ripristinatoria del principio solve et
 repete", senza peraltro prevedere il diritto  alla  percezione  degli
 interessi.
   2.  -  E'  intervenuto  il  Presidente  del Consiglio dei ministri,
 rappresentato e difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  per
 chiedere  che la questione venga dichiarata "in parte non ammissibile
 ed in toto non fondata".
   La difesa erariale rileva, preliminarmente, l'inammissibilita'  del
 terzo  dei  profili  prospettati  dall'ordinanza  di  rimessione, sia
 perche'  l'asserita  "tassazione  avulsa"  non  e'   prevista   dalla
 disposizione  denunciata,  sicche'  si  avrebbe aberractio ictus, sia
 perche' la possibilita' di recuperare quanto eventualmente pagato  in
 eccedenza   (sulla   base  di  estimi  successivamente  ridotti)  non
 riguarderebbe l'ISI, ma sarebbe  prevista  (e  non  dalla  norma  sub
 iudice)  ai  soli  fini  delle  imposte sui redditi e soltanto per le
 riduzioni eventualmente derivate dall'applicazione dei commi 1-bis  e
 1-ter  dell'art.  2 della legge n. 75 del 1993 (i pochi concreti casi
 non hanno, peraltro,  interessato  gli  immobili  di  che  trattasi).
 Inammissibile  sarebbe  anche  il profilo riguardante l'art. 24 della
 Costituzione, atteso che "non puo' parlarsi di solve et repete e  che
 il    parametro    costituzionale    riguarda    solo   il   processo
 giurisdizionale".
   Quanto poi ai primi due  profili,  si  rileva  che  l'ordinanza  di
 rimessione  ricalca  argomenti  esposti  in  ordinanze del TAR Umbria
 (r.o. nn. 31 e 33 del 1994) con  riguardo  all'ICI,  osservando,  nel
 contempo,  che  la  Commissione  remittente  tende  essenzialmente  a
 valorizzare l'inciso contenuto nella sentenza n. 263 del 1994 ove  si
 legge  che  "imposte  ordinarie  che  a  tali  rendite si rifacessero
 porterebbero ad  una  sostanziale  progressiva  erosione  del  bene".
 Osservato  che potrebbe risultare assorbente la considerazione che la
 ISI e' una  imposta  straordinaria,  si  rileva  che,  tuttavia,  per
 scongiurare l'eventualita' della riproposizione di analoghi dubbi con
 riferimento all'ICI, andrebbe affrontata la sostanza della questione:
 "e cioe' se le imposte commisurate a valori patrimoniali incontrino o
 meno   un   limite  pervero  non  previsto  dalla  Costituzione"  che
 consisterebbe nella "possibilita' di far fronte  all'onere  di  dette
 imposte mediante i "frutti" effettivamente conseguiti".
   Al   riguardo   l'Avvocatura  osserva  che  le  imposte  su  valori
 patrimoniali per loro natura colpiscono non i frutti  ma  proprio  il
 capitale;  esse  chiamano  a  concorrere  alle  spese pubbliche non i
 percettori di redditi, ma  i  possessori  di  beni  in  quanto  tali.
 Secondo  la  difesa  erariale,  il  carattere di imposta patrimoniale
 dell'ISI - e, a fortiori, dell'ICI - resta, peraltro, tutt'altro  che
 dimostrato,  potendosi  anzi  addurre  argomenti di segno opposto. Il
 parametro di cui  all'art.  42  della  Costituzione,  d'altra  parte,
 concerne l'espropriazione per motivi di interesse generale, non anche
 l'imposizione   tributaria   sul   possesso   o  sul  reddito  o  sul
 trasferimento di una specie di beni. Ne' puo' sostenersi che ISI  (ed
 ICI) siano misure di confisca.
   3.  -  In  una  successiva  memoria,  la difesa erariale rileva che
 l'ordinanza di rimessione non adduce  che  in  concreto  l'ISI  abbia
 effettivamente  avuto  l'ipotizzato  carattere  espropriativo,  donde
 l'inammissibilita' del profilo prospettato,  che  sarebbe,  comunque,
 infondato nel merito.
   Si  deduce,  altresi',  che, ammessa la distinzione tra imposizione
 tributaria sul patrimonio e/o  sul  reddito  ed  espropriazione,  "la
 linea  di  confine  non  puo'  coincidere,  nel  caso  di imposizione
 patrimoniale, con il reddito effettivo" e in genere  con  l'ammontare
 dei frutti del bene.
   Nessuna  norma  costituzionale  impedirebbe,  peraltro,  di colpire
 fiscalmente il patrimonio in quanto tale; ed anzi potrebbe  dubitarsi
 della   compatibilita',   con   l'art.   53,   secondo  comma,  della
 Costituzione, di un sistema tributario che escludesse  totalmente  le
 imposte sul patrimonio.
                        Considerato in diritto
   1.  -  Con  l'ordinanza  in  epigrafe, la Commissione tributaria di
 primo grado di Piacenza ha sollevato, in relazione agli artt. 3,  53,
 24  e 42 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 7 del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure  urgenti
 per   il   risanamento   della  finanza  pubblica),  convertito,  con
 modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359.
   La  disposizione  censurata  istituisce  un'imposta   straordinaria
 immobiliare  sul  valore  dei  fabbricati,  siti nel territorio dello
 Stato  a  qualsiasi  uso  destinati,  costituito,  per  i  fabbricati
 iscritti  in  catasto,  da  quello risultante dall'applicazione di un
 moltiplicatore all'ammontare delle rendite  catastali  determinate  a
 seguito della revisione generale disposta con il decreto del Ministro
 delle finanze 20 gennaio 1990.
   Venuta  meno,  a  seguito  dell'annullamento  da  parte del giudice
 amministrativo, la  disciplina  contenuta  in  quest'ultimo  decreto,
 unitamente  a  quella  del  successivo  del 27 settembre 1991 che, in
 conformita' al primo, aveva stabilito le nuove tariffe di estimo  per
 l'intero  territorio nazionale con effetto dal primo gennaio 1992, il
 remittente   implicitamente    assume,    in    cio'    conformandosi
 all'orientamento  espresso  da  questa  Corte (v. sentenza n. 309 del
 1995), che il riferimento fatto dal comma 3  del  denunciato  art.  7
 alle  rendite  catastali di cui al menzionato decreto 20 gennaio 1990
 sia da ritenere tuttora operante, in  ragione  della  nuova  base  di
 legittimazione   conferita,   alla   disciplina   dei   provvedimenti
 annullati, dall'art. 2 del decreto-legge  23  gennaio  1993,  n.  16,
 convertito, con modificazioni, nella legge 24 marzo 1993, n. 75.
    2.   -  Secondo  l'ordinanza,  la  disposizione  censurata,  nello
 stabilire che l'importo del tributo  sia  calcolato  sulla  base  del
 valore  degli immobili, determinato secondo le nuove tariffe d'estimo
 di cui al decreto  ministeriale  20  gennaio  1990,  si  porrebbe  in
 contrasto con:
     l'art.   3   della  Costituzione,  in  quanto  colpisce  "solo  i
 possessori di beni immobili (facilmente tassabili) a differenza delle
 altre categorie di cittadini che possiedono patrimoni di altra natura
 (es.  mobiliari), che ne sono andati esenti";
     lo stesso art. 3 nonche' gli artt. 53 e  42  della  Costituzione,
 prevedendo,   in   contrasto   con   il   principio  della  capacita'
 contributiva  e  con  quello  della  progressivita',  una  tassazione
 stabilita su "un'ipotesi astratta di fruttuosita' del valore capitale
 dell'immobile  determinato  in base a criteri di tipo "patrimoniale",
 che la stessa norma mostra di voler  abbandonare  per  i  periodi  di
 imposta   successivi  al  1994,  palesando  cosi'  anche  la  propria
 intrinseca irrazionalita'"; e questo a tener  conto  non  solo  della
 circostanza che la giurisprudenza costituzionale non avrebbe "assolto
 in  assoluto il sistema catastale", evidenziando, anzi, la necessita'
 di una sua riforma, ma anche dell'effetto, al limite, "ablatorio" del
 bene,  derivante  dalla  mancata  previsione  della  deduzione  delle
 "passivita'  che  gravano sull'immobile, ai fini della determinazione
 della base imponibile" come pure della "indetraibilita'" dell'ISI  ai
 fini IRPEF o IRPEG;
     gli  stessi  artt.  3  e 53 della Costituzione, nonche' l'art. 24
 della Costituzione, in  quanto,  "differendo  al  periodo  successivo
 all'entrata  in  vigore  dei  nuovi  estimi  la  possibilita'  per  i
 contribuenti di recuperare quanto eventualmente pagato  in  eccedenza
 per  l'ISI  ed  il relativo contenzioso", "sottopone medio tempore il
 contribuente  ad  una   tassazione   avulsa   dalla   sua   capacita'
 contributiva  e, nel contempo, ripristinatoria del principio solve et
 repete",  "senza  peraltro prevedere il diritto alla percezione degli
 interessi".
   3.  -  Non  fondata  e',  anzitutto,  la  questione   relativa   al
 trattamento  discriminatorio  di cui, secondo l'ordinanza, verrebbero
 fatti oggetto i possessori di immobili, per effetto dell'introduzione
 dell'imposta straordinaria, rispetto ai possessori  di  patrimoni  di
 altra  natura.    In  proposito  non si puo' non rammentare, in linea
 generale, il principio ripetutamente affermato  dalla  giurisprudenza
 costituzionale, secondo il quale resta affidata alla discrezionalita'
 del  legislatore  l'individuazione  delle situazioni espressive della
 idoneita' dei singoli cittadini all'obbligazione di imposta, salvo il
 controllo  di  costituzionalita'   sotto   il   profilo   della   non
 arbitrarieta'  e  non  irrazionalita' (sentenze nn. 42 del 1992 e 143
 del 1995).
   Ma, a parte il principio teste' richiamato, la lamentata disparita'
 di trattamento va comunque esclusa perche'  la  disposizione  di  cui
 all'art.  7  in esame, nell'ambito di misure correttive della finanza
 pubblica, fondate, oltre che sulle riduzioni di  spesa,  sull'aumento
 delle  entrate,  coinvolge  in  tali  obiettivi  di  risanamento  del
 bilancio dello Stato non  solo  i  patrimoni  immobiliari,  ma  anche
 quelli  rappresentati  dalle  liquidita'  finanziarie,  tanto che, al
 sesto comma, introduce anche la ritenuta del 6 per mille sui depositi
 bancari, con una norma che ha superato positivamente il controllo  di
 costituzionalita'  (v.   sentenza n. 143 del 1995). E questo a tacere
 di altri provvedimenti, coevi, rispondenti alle medesime finalita'.
   4. - La disposizione in esame forma, poi, oggetto di una  complessa
 e articolata censura, anch'essa non fondata, che, in riferimento agli
 artt.   3,  53  e  42  della  Costituzione,  si  basa  essenzialmente
 sull'assunto della mancanza, nella situazione presa in considerazione
 dal legislatore, di elementi espressivi di  una  effettiva  idoneita'
 del  soggetto all'obbligazione di imposta, anche sotto il profilo del
 principio  di  progressivita'.  Trattasi,  almeno  in  parte,   della
 riproposizione  di profili gia' sottoposti da altri giudici all'esame
 della Corte e da  quest'ultima  ritenuti  non  fondati,  come  quello
 secondo   il   quale  la  tassazione  delle  rendite  immobiliari  si
 fonderebbe su un'ipotesi astratta di fruttuosita' del valore capitale
 dell'immobile, determinato in base a criteri di tipo patrimoniale che
 la stessa norma mostra di voler abbandonare per i periodi di  imposta
 successivi al 1994.
   Al  riguardo  la  Corte  (in  particolare nella sentenza n. 263 del
 1994, ma anche nella successiva sentenza n. 309 del 1995), dopo  aver
 rilevato  che  gli  attuali  criteri  di determinazione delle rendite
 catastali si ispirano verosimilmente alla constatazione di una scarsa
 attuale rappresentativita' del mercato  delle  locazioni,  in  ordine
 alla  potenziale  capacita' di produrre reddito da parte del bene, ha
 precisato che il previsto mutamento di indirizzo normativo in materia
 trova la sua ragione nella piu' recente tendenza legislativa,  volta,
 come e' noto, a superare il regime vincolistico delle locazioni.
   Quanto all'invocato principio di progressivita', occorre aggiungere
 che    esso    si   riferisce,   secondo   costante   giurisprudenza,
 all'ordinamento tributario nel  suo  complesso  e  non  alle  singole
 imposte (v. sentenze nn. 263 del 1994 e 143 del 1995).
    Non  nuova,  e  del pari non fondata, nella linea della denunciata
 mancanza, nella situazione  ipotizzata  dal  legislatore,  di  indici
 rivelatori   di  ricchezza  (e  quindi  di  una  effettiva  capacita'
 contributiva), appare anche  la  censura  rivolta  dall'ordinanza  al
 sistema  catastale.    La  Corte gia' a suo tempo ha affermato la non
 irragionevolezza dell'imposizione  basata  sulle  rendite  catastali,
 anche se esse non coincidono con il reddito effettivamente percepito,
 essendo  la  capacita' contributiva rivelata non solo dal reddito, ma
 anche dall'attitudine di un bene  a  produrlo  (sentenza  n.  16  del
 1965).
   Occorre,  peraltro,  considerare  che,  secondo  il  meccanismo  di
 tassazione previsto per l'ISI, il sistema  catastale  rileva  non  in
 quanto  indicativo di un reddito, bensi' quale strumento per risalire
 al valore del bene; valore al quale e' commisurata l'imposta.
   Il rimittente, nel rilevare, poi, che le imposte patrimoniali  sono
 conformi  al dettato costituzionale solo se possono essere pagate con
 il  reddito,  lamenta  la   mancata   previsione,   ai   fini   della
 determinazione  della  base  imponibile  ISI,  della  deduzione delle
 passivita'  gravanti  sull'immobile,  con  un  effetto  che,  secondo
 l'ordinanza,  potrebbe  rivelarsi al limite "ablatorio", ove anche si
 consideri   che   l'imposta   straordinaria   non    e'    deducibile
 dall'imponibile IRPEF e dall'imponibile IRPEG.
   La   Corte  osserva  che  l'imposta  straordinaria  sugli  immobili
 costituisce un tributo la cui istituzione,  come  emerge  dai  lavori
 parlamentari,  aveva  il fine di reperire mezzi per il bilancio dello
 Stato in una situazione economica del Paese che appariva di  notevole
 gravita',  esigendo  dai  cittadini sacrifici straordinari - peraltro
 limitati ad un solo anno - sicche'  sono  proprio  tali  caratteri  a
 consentire,  secondo  un  canone  di  giudizio  altre  volte  seguito
 (sentenze n. 143 del 1995  e  n.  159  del  1985),  di  escludere  la
 violazione  degli  invocati  principi  costituzionali,  non potendosi
 negare  il   collegamento   oggettivo   del   tributo,   cosi'   come
 disciplinato, ad un concreto presupposto impositivo.
   Il  carattere decisivo di questi rilievi esonera, d'altro canto, la
 Corte dall'approfondire la problematica di  principio  adombrata  dal
 giudice  remittente,  non solo circa la riconducibilita' dell'ISI fra
 le imposte patrimoniali ma  anche  circa  i  limiti  in  cui  possono
 ritenersi conformi a Costituzione le stesse imposte patrimoniali come
 pure   in  ordine  alla  mancata  previsione  della  deduzione  delle
 passivita'    gravanti    sull'immobile;    profilo,    quest'ultimo,
 prospettato,  peraltro,  in  linea del tutto ipotetica, senza offrire
 concreti elementi valutativi riferiti alla fattispecie.
   Fermo  quanto  sopra,  per   quanto   attiene   poi   all'ulteriore
 problematica   che  viene  adombrata  nell'ordinanza,  della  mancata
 previsione  della  deducibilita'  dell'ISI  dall'imponibile  IRPEF  e
 IRPEG,  la  questione e' qui posta impropriamente, in quanto relativa
 al regime giuridico e quindi alla  fase  applicativa  delle  predette
 IRPEF  e  IRPEG.  E  questo  non  senza  ricordare,  in ogni caso, la
 discrezionalita' di cui, in materia di deducibilita' di oneri,  gode,
 ai fini dell'imposizione sui redditi, il legislatore, secondo criteri
 volti  a conciliare - sulla base di valutazioni politico-economiche -
 le  esigenze  finanziarie  dello  Stato  con  quelle  del  cittadino,
 chiamato  a  contribuire  ai  bisogni della vita collettiva, non meno
 importanti delle esigenze della vita individuale (sentenze nn. 134  e
 143 del 1982; ordinanza n. 556 del 1987; sentenza n. 574 del 1988).
   5.  -  Quanto,  infine,  all'ultimo profilo di censura, che attiene
 alla  prospettata  violazione  degli  artt.  3,   53   e   24   della
 Costituzione,  il  rimettente ritiene che la tesi da lui sostenuta di
 una tassazione che risulterebbe avulsa dalla  capacita'  contributiva
 trovi,   nella   specie,   ulteriore   conferma  anche  nel  previsto
 differimento, al periodo successivo all'entrata in vigore  dei  nuovi
 estimi,  sia  della  possibilita'  per  i  contribuenti di recuperare
 quanto eventualmente pagato in eccedenza per l'ISI, sia del  relativo
 contenzioso; con ripristino del principio del solve et repete e senza
 che  sia  prevista la corresponsione di interessi sulle somme versate
 in eccedenza.
   A ben vedere la censura, cosi' come prospettata, si scinde  in  due
 profili.
   Il  primo  e' inteso a ribadire, in via di principio, l'inesistenza
 di una effettiva capacita' contributiva in ragione del carattere  non
 definitivo della tassazione.
   Al  riguardo va preliminarmente precisato che il giudice remittente
 muove dall'erroneo assunto  che  secondo  la  disciplina  vigente  in
 materia  -  ove  le  rendite  catastali,  rideterminate  con  decreto
 ministeriale, secondo i nuovi criteri previsti  a  decorrere,  in  un
 primo  momento  dal  1  gennaio  1995, ma ormai dal 1 gennaio 1997 in
 forza dell'art.  1, comma 5, del decreto-legge  28  giugno  1995,  n.
 250,  convertito  dalla  legge  8  agosto  1995,  n.  349,  dovessero
 risultare inferiori a  quelle  di  cui  al  decreto  ministeriale  27
 settembre  1991  -  il  contribuente  possa  tenerne  conto  ai  fini
 dell'imposta personale da corrispondere per il 1992.
    In effetti, come la Corte ha  gia'  avuto  occasione  di  rilevare
 (sentenza  n.  263  del  1994),  la  normativa vigente in materia, in
 particolare l'art. 2 del decreto-legge 23 gennaio 1993, n. 16,  cosi'
 come  modificato  dalla  legge di conversione n. 75 del 1993, prevede
 una  eventualita'  di  revisione  delle  rendite  catastali,  con  un
 raffronto  che,  pero',  agli  effetti  sopra  accennati, deve essere
 operato non fra le tariffe di estimo che  entreranno  in  vigore  dal
 1997  e  quelle  di  cui  al  decreto  del  Ministro delle finanze 27
 settembre 1991, bensi' fra quelle di cui  a  quest'ultimo  decreto  e
 quelle  risultanti  all'esito dei ricorsi alle Commissioni censuarie,
 proposti dai Comuni ai sensi dei commi 1-bis, 1-ter e 1-quater  dello
 stesso art. 2 della legge n. 75 del 1993.
   Ma  anche  in  questa  piu'  corretta prospettiva la questione - da
 intendersi evidentemente come prospettazione da parte del  remittente
 dell'esigenza    che   l'imposizione   tributaria,   per   rispondere
 all'effettiva capacita' contributiva, debba  basarsi  su  presupposti
 non  suscettibili  di  essere  rimessi  in  discussione  -  non  puo'
 ritenersi fondata in quanto, come questa Corte ha gia' rilevato nella
 sentenza n. 309 del 1995, non si puo' ritenere violato  il  principio
 di  capacita'  contributiva  per  il  solo fatto che una disposizione
 preveda, in via oltretutto  eventuale,  la  revisione  degli  estimi,
 senza  coinvolgere  i criteri di determinazione delle rendite fissati
 dal legislatore, bensi' i soli  risultati  applicativi  di  essi,  in
 vista di una loro piu' esatta determinazione.
   Quanto  al  secondo  profilo, lo stesso, ponendosi come logicamente
 autonomo  dal  primo,  appare   volto   a   censurare   una   pretesa
 reintroduzione  del  principio  del  solve  et  repete, senza che sia
 prevista la  corresponsione  di  interessi  sulle  somme  versate  in
 eccedenza.
   Sotto  tale  profilo  la questione e' da ritenersi inammissibile in
 quanto essa investe  propriamente  non  la  disposizione  oggetto  di
 denuncia   nell'ordinanza   di  remissione  bensi'  quella,  diversa,
 contenuta nell'art.   2 della legge n.  75  del  1993  che,  oltre  a
 conferire  nuova  base  di  legittimita'  ai  decreti  sulle  rendite
 catastali, integrando per questa parte l'art. 7 denunciato,  contiene
 ulteriori  autonome previsioni normative, che appaiono irrilevanti in
 ordine all'oggetto del giudizio  pendente  innanzi  alla  Commissione
 tributaria remittente.