ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  34,  comma  2,
 del  codice  di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 18
 maggio 1995  dal  giudice  per  le  indagini  preliminari  presso  il
 Tribunale  di Roma nel procedimento penale a carico di Neri Giovanna,
 iscritta al n. 470 del registro ordinanze  1995  e  pubblicata  nella
 Gazzetta Ufficiale n. 36, prima serie speciale, dell'anno 1995;
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
   Udito nella camera di consiglio del 22  novembre  1995  il  Giudice
 relatore Mauro Ferri;
   Ritenuto  che  il  giudice  per  le  indagini preliminari presso il
 Tribunale di Roma ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24,  25,
 76  e 77 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale
 dell'art.  34, comma 2, del codice di procedura penale,  nella  parte
 in  cui  non prevede l'incompatibilita' a partecipare alla successiva
 udienza preliminare del giudice per le indagini preliminari che abbia
 ordinato al pubblico ministero, ai sensi dell'art. 409, comma 5,  del
 medesimo codice, di formulare l'imputazione;
     che  il  remittente  -  il  quale premette di essere a conoscenza
 delle sentenze nn. 401 e  502  del  1991,  nonche'  delle  successive
 ordinanze  (n.  162  del  1992 e n. 203 del 1994) con le quali questa
 Corte ha gia'  esaminato  la  medesima  questione  dichiarandola  non
 fondata   -   argomenta   l'odierna  riproposizione  della  questione
 basandosi su di un elemento  di  ritenuta  novita'  costituito  dalla
 soppressione  del  termine  "evidente"  dal  testo  dell'art. 425 del
 codice di procedura penale (disposta dall'art. 1 della legge 8 aprile
 1993, n. 105),  per  effetto  della  quale  il  giudice  dell'udienza
 preliminare e' ora chiamato a valutare i contenuti delle indagini con
 una  piu'  ampia capacita' di cognizione, e quindi, a suo avviso, con
 un vaglio critico assimilabile  a  quello  proprio  del  giudizio  di
 merito;
     che, quindi, la norma impugnata si porrebbe in contrasto:
      con  l'art.  3 della Costituzione: per disparita' di trattamento
 "tra l'imputato tratto avanti al giudice per l'udienza preliminare  a
 seguito  di  richiesta di rinvio a giudizio del pubblico ministero, e
 quello nei  cui  confronti  e'  incardinata  udienza  preliminare  ex
 officio",  e  cioe'  ex  art.  409,  comma 5, del codice di procedura
 penale;
      con  l'art. 24 della Costituzione: per violazione del diritto di
 difesa, in quanto le argomentazioni difensive dell'imputato sono gia'
 state valutate  dal  medesimo  giudice  e  ritenute  insufficienti  a
 suffragare la richiesta di archiviazione;
      con  l'art.  25  della  Costituzione: poiche' il giudice che da'
 ordine di formulare l'imputazione,  esprime,  per  cio'  stesso,  una
 valutazione  fortemente significativa del merito dell'accusa, e perde
 quindi la sua qualita' di giudice naturale;
      con gli artt. 76 e 77 della Costituzione: per  violazione  della
 direttiva  n.  67  dell'art.  2 della legge di delega n. 81 del 1987:
 "posto che la mancata previsione di incompatibilita' incide  altresi'
 sul   principio  della  divisione  tra  parte  requirente  ed  organo
 giudicante,  e,  per  conseguenza,   sull'affermata   terzieta'   del
 giudice";
   Considerato  che  questione  identica  e' gia' stata dichiarata non
 fondata con le sentenze nn. 401 e 502 del 1991 e 124 del  1992  nelle
 quali  si  e'  rilevato che il legislatore ha ristretto le previsioni
 d'incompatibilita' vincolandole a  due  condizioni:  che  il  giudice
 abbia   previamente   compiuto   una   valutazione   "contenutistica"
 dell'accusa e  delle  prove,  e  che  debba  poi  partecipare  ad  un
 "giudizio",  inteso  come  attivita'  finalizzata  alla decisione sul
 merito della regiudicanda;
     che nella situazione in esame - ha affermato la Corte  -  ricorre
 la  prima  condizione  ma  non  la  seconda,  in  quanto  il  giudice
 dell'udienza preliminare non e' chiamato ad esprimere valutazioni sul
 merito dell'accusa, bensi' a valutare la legittimita'  della  domanda
 di giudizio formulata dal pubblico ministero (cfr. sentenza n. 64 del
 1991);
     che  l'elemento  di novita' sulla base del quale il giudice a quo
 ripropone la questione (costituito  dalla  soppressione  del  termine
 "evidente"  dal  testo  dell'art.  425)  non  puo'  portare a diverse
 conclusioni:    ed  infatti,  posto  che  il   giudice   dell'udienza
 preliminare  allorquando  dispone  che  il pubblico ministero formuli
 l'imputazione compie una valutazione sul contenuto dell'accusa, cio',
 tuttavia, non incide sull'altro termine di riferimento  rappresentato
 dalla  mancanza  di  una valutazione sul merito della responsabilita'
 dell'imputato nella decisione conclusiva presa all'esito dell'udienza
 preliminare;
     che  al  riguardo   e'   utile   sottolineare   che   l'esplicito
 intendimento  del  legislatore  era  appunto quello di evitare che al
 provvedimento  di  rinvio  a  giudizio  fosse  attribuito  un  "peso"
 eccessivo,  e  quindi  una portata condizionante sui successivi esiti
 del  processo,  mentre  ove  si  dovesse   ritenere   che   l'udienza
 preliminare  e'  "giudizio"  a  tutti gli effetti, detta decisione si
 trasformerebbe  in  una  pesante   ipoteca   gravante   sul   destino
 processuale  dell'imputato  a  causa  della pre-delibazione della sua
 responsabilita' penale;
     che, infine, questa Corte ha gia' avuto  occasione  di  affermare
 che  l'imparzialita'  del  giudice  non  puo' dirsi, in via generale,
 intaccata da una qualsiasi valutazione  gia'  compiuta  nello  stesso
 procedimento (cfr. cit. sentenza n. 124 del 1992), e, in particolare,
 per   quanto   qui   rileva,   all'interno   della  stessa  fase  del
 procedimento, intesa quale ordinata sequenza di  atti,  ciascuno  dei
 quali  legittima,  prepara  e  condiziona quello successivo; poiche',
 infatti,  ogni provvedimento ordinatorio o istruttorio implica o puo'
 implicare  una  delibazione  del  merito,  ove  si  dovesse  ritenere
 altrimenti, ne deriverebbe un'assurda frammentazione del procedimento
 con  l'attribuzione di ciascun segmento di esso ad un giudice diverso
 (cfr. anche, per un caso analogo, sentenza n. 448 del 1995);
     che pertanto, non  ravvisandosi  argomenti  che  inducano  questa
 Corte  a  mutare  il  proprio  precedente  avviso,  la  questione  va
 dichiarata manifestamente infondata;
   Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11  marzo  1953,  n.
 87, e 9, secondo comma, della Norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.