IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
   Ha pronunciato la seguente ordinanza  di  trasmissione  degli  atti
 alla  Corte  coastituzionale a seguito di eccezione di illegittimita'
 costituzionale (art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87).
   Rilevato che all'udienza preliminare del 5 dicembre 1995, in  corso
 di  procedimento  con  rito  abbreviato  per  reato  di detenzione di
 sostanze stupefacenti nei confronti di  Menad  Miloud,  detenuto  per
 questa  causa,  la  difesa  dell'imputato,  constatato  che lo stesso
 giudice durante le  indagini  preliminari  aveva  adottato  ordinanza
 applicativa  nei  di  lui  confronti  della  misura  cautelare  della
 custodia  in   carcere,   sollevava   questione   di   illegittimita'
 costituzionale  dell'art.  3,  secondo  comma del c.p.p. in relazione
 agli articoli 3, primo comma, e 27 secondo comma, della  Costituzione
 nella  parte  in  cui non prevede, tra le ipotesi di incompatibilita'
 determinata  da  atti  compiuti  nel   procedimento,   quella   della
 partecipazione   al  giudizio  abbreviato  del  giudice  dell'udienza
 preliminare  che,  in  qualita'  di  g.i.p.,  applicando  una  misura
 cautelare   personale,   si  sia  gia'  pronunciato  nel  merito  del
 procedimento dichiarando sussistere gravi indizi di  colpevolezza  ex
 art. 273 c.p.p.
   La  questione  veniva  motivata  dal difensore con riferimento alla
 sentenza n. 432 del 1995 della Corte costituzionale con la quale,  in
 ipotesi simile veniva dichiarata l'incostituzionalita' dell'art.  34,
 secondo  comma,  del  c.p.p.  nella  parte in cui non prevede che non
 possa partecipare  al  giudizio  dibattimentale  il  giudice  per  le
 indagini   preliminari  che  abbia  applicato  una  misura  cautelare
 personale   nei   confronti   dell'imputato.   Veniva   al  proposito
 evidenziato come nella motivazione della suddetta sentenza  la  Corte
 costituzionale  aveva fatto esplicito riferimento a ipotesi, ritenute
 adeguate a radicare l'incompatibilita', in cui il g.i.p.  non  poteva
 pronunciarsi  in  sede di giudizio abbreviato sulla res iudicanda per
 avere gia' svolto incisive valutazioni di merito, atte a  fondare  un
 giudizio  di  responsabilita' dell'imputato, quali la disposizione al
 P.M.  di  formulare  l'accusa  dopo  la  reizione  di  richiesta   di
 archiviazione  (sentenza  n. 401 del 12 novembre 1991) e la reiezione
 di richiesta di applicazione di  pena  concordata  ex  art.  444  del
 c.p.p. (sentenza n. 409 del 16 gennaio 1993).
   La  recente  individuazione  di  nuova  causa di incompatibilita' a
 esercitare  funzioni  di  giudice  nei  gradi  del   processo   nella
 situazione  del g.i.p. che si e' pronunciato nel merito delle prove a
 carico  dell'imputato,  adottando  nei   suoi   confronti   ordinanza
 applicativa  di  misura  cautelare personale, individuata dalla Corte
 costituzionale con la citata sentenza  n.  432  del  1995  -  sarebbe
 conseguenzialmente  trasferibile,  per  identita'  di motivazioni, al
 giudizio abbreviato tenuto in udienza preliminare dallo stesso g.i.p.
 delle misure cautelari personali. Situazione,  quest'ultima,  in  cui
 g.u.p.  e'  chiamato  a  decidere  nel  pieno  merito delle questioni
 dedotte in imputazione e nella quale  insorgerebbe  conflitto  con  i
 principi  costituzionali della parita' di tutti i cittadini di fronte
 alla  legge,  che  verrebbe  leso   rispetto   ai   giudicabili   non
 assoggettati  a  cautele  personali, e della presunzione che verrebbe
 leso il principio di non colpevolezza  fino  al  giudizio  definitivo
 dalla precedente prognosi di colpevolezza svolta in sede cautelare.
   E'  pacifico  in  atti  che  con  ordinanza in data 16 ottobre 1995
 questo g.i.p. ha applicato alla persona  sottoposta  ad  indagini  la
 misura  cautelare coercitiva personale della custodia in carcere, con
 cio' pronunciandosi anche  sulla  sussistenza  dei  gravi  indizi  di
 colpevolezza  richiesti  dall'art.  273  c.p.p.  ravvisati  nel  caso
 specifico nella individuazione  in  base  a  scheda  fotografica  del
 Miluod   da   parte   di  un  poliziotto  che  lo  aveva  fisicamente
 riconosciuto poco prima  nel  mentre  armeggiava  con  fare  sospetto
 attorno  ad un cespuglio ove furono poi rinvenuti 16 ovuli di eroina,
 non riuscendo a fermarlo perche' lo straniero si  era  nel  frattempo
 allontanato.
   Rileva  questo  giudice, pertanto, che l'eccezione e' rilevante nel
 presente giudizio, con riferimento alla citata sentenza  della  Corte
 costituzionale  n. 432/1995, in quanto questo stesso g.i.p., seguendo
 la motivazione della pronuncia della Consulta,  avrebbe  gia'  svolto
 nello stesso procedimento, con la positiva valutazione di sussistenza
 di  gravi  indizi  di  colpevolezza in sede di applicazione di misura
 cautelare, un giudizio prognostico sul merito della res iudicanda che
 si presume idoneo a minare l'imparzialita' della decisione conclusiva
 del processo.
   Ritiene  in  diritto  questo  g.i.p.  quanto  alla  non   manifesta
 infondatezza   della   questione,   che   va,   sottolineata  la  non
 paragonabilita', ai fini di una estensione automatica  del  principio
 affermato  dalla  Corte  al  presente  caso, delle situazioni poste a
 raffronto  dal  difensore  dell'imputato,  e   cioe'   quella   della
 partecipazione  al  giudizio  dibattimentale  di un giudice che abbia
 gia' applicato, in qualita' di g.i.p., una misura custodiale  (tenuta
 presente  dalla  Corte nella sentenza n.  432/95) e quella del g.u.p.
 chiamato  a  decidere  in  giudizio  abbreviato,  che  nello   stesso
 procedimento  abbia  gia'  applicato come g.i.p. una misura cautelare
 personale all'indagato.
   Numerose sono le osservazioni da svolgere al proposito.
   1. - L'accoglimento di una siffatta estensione dei  casi  tassativi
 di   incompatibilita'   del   giudice  per  atti  gia'  compiuti  nel
 procedimento implicherebbe lo spostamento di tutti i processi in  cui
 sono  state adottate misure personali ad una figura g.u.p. diversa da
 quella del g.i.p.,  con  inevitabile  duplicazione  dei  giudici  che
 devono  occuparsi  degli  stessi  procedimenti  e aggravio di risorse
 organizzative e di attivita' processuali.
   Si verrebbe, cioe', a definire una situazione, comune  a  tutte  le
 ipotesi  in  cui  il  g.i.p. si sia pronunciato incidentalmente sulla
 sussistenza di gravi indizi adeguati all'adozione  del  singolo  atto
 richiestogli,  in cui nel corso dell'udienza preliminare, ove venisse
 svolta richiesta di giudizio abbreviato, il processo dovrebbe  essere
 assegnato a giudice diverso da quello procedente.
   Cio' con necessita' di rimessione degli atti al capo ufficio per la
 designazione del nuovo g.u.p., sospensione e rinvio ad altra data del
 processo,  attesa  dei tempi afferenti le disponibilita' di ruolo del
 nuovo giudice assegnatario.
   Ne  conseguirebbe,  secondo  lo  schema   processuale   attualmente
 vigente,  un aggravio di lavoro per gli uffici del g.i.p., la pratica
 impossibilita' per i Tribunali  di  modeste  dimensioni  di  reperire
 magistrati  che,  per applicazione di misure o diniego di revoca, non
 si siano gia' pronunciati come g.i.p. nello stesso procedimento, e il
 rallentamento  dei  processi  a  causa  del  necessario  rinvio   cui
 andrebbero sottoposti a seguito della riassegnazione (imprevedibile e
 senza  causa  fino  all'udienza preliminare) del giudizio abbreviato.
 Cio' a dispetto delle finalita' di semplificazione e  di  snellimento
 del  processo  ordinario  che  i  procedimenti  speciali - in diretta
 esecuzione della direttiva n. 1 dell'art. 2 della legge delega - sono
 chiamati  a  svolgere  e  del  connesso   principio   della   massima
 concentrazione  nello stesso giudice di tutti gli atti concernenti lo
 stesso procedimento alle stesse  finalita'  di  economia  processuale
 rivolto,  stabilito dall'art.   7-ter del r.d. 30 gennaio 1941 n. 12,
 introdotto  dall'art.  3  del  d.P.R.  n.  449/1988  di   adeguamento
 dell'ordinamento giudiziario al nuovo processo penale.
   Situazione, quella in esame, oltretutto estensibile ad una serie di
 giudizi speciali, quali il giudizio per decreto (ove lo stesso g.i.p.
 prima condanna inaudita altera parte, poi giudica con rito abbreviato
 ex art. 464 del c.p.p.), i giudizi dlrettissimi sia del Tribunale che
 del  Pretore  (ove lo stesso organo e' chiamato a giudicare nel pieno
 merito dopo essersi appena pronunciato sulle richieste  del  p.m.  in
 ordine   alla   custodia  cautelare),  nonche',  sempre  in  tema  di
 abbreviato tenuto dal g.u.p., alle ipotesi in cui  lo  stesso,  quale
 g.i.p.,  abbia  autorizzato  l'intercettazione  telefonica (valutando
 anche in quel caso la sussistenza di gravi indizi ex 266 del c.p.p.).
 In  altre  parole,  si  verrebbero  a  creare  piu'  incompatibilita'
 processuali  suscettibili  di  compromettere  seriamente  la  pratica
 esperibilita' delle funzioni giudiziarie  in  ipotesi  di  precedenti
 valutazioni  incidentali  compiute  dagli  stessi  giudici chiamati a
 decidere nell'ambito di taluni procedimenti speciali.
   Tale   aggravio  dell'attuale  processo  penale  (nel  quale,  vale
 ricordare,  i  procedimenti  speciali  hanno  lo  scopo  di   rendere
 realizzabile  la riforma attraverso deflazione del rito ordinario con
 riti piu' snelli) comporterebbe, ove estrapolata dallo schema globale
 del codice di rito, compromissione del principio del  buon  andamento
 dell'amministrazione, tutelato dall'art. 97 della Costituzione.
   Occorre,  a  questo  punto,  valutare se il conflitto dell'art. 34,
 secondo comma, del c.p.p. con gli articoli 3 e 27, da  una  parte,  e
 quello,  conseguente  alla sua richiesta riforma, con l'art. 97 della
 Costituzione, dall'altra, debba  essere  risolto  a  discapito  della
 tutela  costituzionale  di quest'ultimo ovvero se sia affermabile che
 nei procedimenti speciali  la  compressione  di  certi  diritti,  pur
 costituzionalmente garantito nell'ordinarieta', e' interno al sistema
 di  economia  processuale cui e' ispirata la stessa specialita'. Vale
 al proposito rilevare come, in ipotesi assai simili, la stessa  Corte
 costituzionale  abbia  ritenuto  prevalente l'esigenza di snellimento
 processuale su altri istituti posti a garanzia dell'imputato (vedasi,
 ad esempio, l'ordinanza 19 gennaio 1995 n. 22 con la quale  e'  stata
 respinta  per  manifesta  infondatezza la questione di illegittimita'
 costituzionale dell'art.  554 del c.p.p. nella parte in  cui  esclude
 l'udienza  preliminare nel procedimento pretorile, osservandosi dalla
 Corte che, gia' fissando la direttiva n.  1  della  legge  delega  il
 principio  della  massima semplificazione del processo, la diversita'
 tra il rito pretorile, meno garantista, e quello del tribunale  trova
 giustificazione   nel   principio   della   snellezza  del  rito  che
 contraddistingue il secondo).
   Il principio suddetto potrebbe, quindi, trovare applicazione  anche
 nell'ipotesi  sopra  affrontata, posto che l'identita' del g.u.p. con
 il  g.i.p.,  nell'ambito  della   semplificazione   delle   procedure
 speciali, e' principio ricavabile dalla identica direttiva e dal gia'
 citato art. 7-ter dell'ordinamento giudiziario.
   2.   -  Le  necessita'  di  genuinita'  completa  del  giudice  del
 dibattimento non si ripresentano per il giudice del rito  abbreviato.
 Nel  primo, infatti, la prova su cui si deve formare il convincimento
 dei giudicanti si forma ex novo  nell'istruttoria  dibattimentale,  e
 presuppone  un  giudice  che  non  conosca  gli  atti per non esserne
 influenzato;  nel  secondo,  il  giudice  deve  fondare  il   proprio
 convincimento  su  tutti  gli  atti del processo, ivi compresi quelli
 gia'  personalmente  compiuti,  e  non  subisce  pregiudizio,   nella
 formazione    del   convincimento,   dall'averli   gia'   conosciuti,
 quest'ultimo formandosi  non  solo  sulle  conoscenze  incidentali  e
 parziali  degli  atti,  ma  sulla loro complessita', conoscibile solo
 all'udienza preliminare.
   Ben differenti sono, quindi,  le  esigenze  di  evitare  pregiudizi
 nella  fase  del  dibattimento,  come  esaminato  dalla  Corte con la
 sentenza n. 432/1995, che non in quella del giudizio abbreviato. Cio'
 altro a voler presumere che il  giudice  dell'abbreviato,  una  volta
 espostosi  in una fase incidentale (spesso iniziale e inaudita altera
 parte) con l'applicazione di misure, non abbia la  forza  psicologica
 di  discostarsi  dalla  originaria  valutazione di colpevoleza pur in
 presenza di elementi nuovi e  a  indagini  definitivamente  concluse.
 Argomento  non  condivisibile,  stante  l'opposta  presunzione legale
 ricavabile dall'art. 7-ter dell'ordinamento  giudiziario,  sul  quale
 non e' stata sollevata questione.
   Va,  ultimo,  rilevato,  che  la  sentenza  a  seguito  di giudizio
 abbreviato non e' soggetta a limiti di  appello  nel  merito  e  che,
 quindi,  eventuali radicamenti ingiustificati del g.u.p. alle proprie
 prognosi di g.i.p.  potranno essere riformati in secondo grado.
   3. - Al giudizio abbreviato si perviene su richiesta dell'imputato:
 richiesta che viene formulata rebus sic stantibus. Cioe'  allo  stato
 degli  atti  e  con l'ufficio dell'udienza preliminare composto dallo
 stesso  che  adotto'  le  misure  come  g.i.p.   La   speditezza   ed
 economicita'  del  rito giustifica lo sconto di pena per l'ipotesi di
 condanna ma non puo' costituire un diritto ad un rito con  sconto  di
 pena  modellato  sui presupposti del rito ordinario. Inoltre, il rito
 abbreviato non  e'  obbligatorio.  Ove  non  ritenga  di  aderire  al
 procedimento  speciale  l'imputato puo' pur sempre optare per il rito
 ordinario,  con  le  maggiori  garanzie  di  un  giudice   collegiale
 totalmente  genuino e di una istruttoria dibattimentale integralmente
 nuova rispetto agli atti gia' compiuti.
   Come si e' osservato, una riforma del regime delle incompatibilita'
 di cui all'art. 34 c.p.p. nel senso  proposto  dalla  difesa  non  si
 esaurirebbe   nella   modifica  del  singolo  istituto  del  giudizio
 abbreviato, ma sarebbe foriera di  uno  sconvolgimento  dell'impianto
 codicistico  dei  riti  speciali  e  implicherebbe  una vasta riforma
 organizzativa degli uffici, oltre che  alla  istituzionalizzazione  -
 attualmente non solo non prevista ma negata - di una figura di g.u.p.
 diversa  da  quella  di  g.i.p., contrariamente al disposto dell'art.
 7-ter  dell'Ordinamento  giudiziario,  come  appositamente  riformato
 coevamente  all'entrata  in  vigore  del  nuovo  codice  di procedura
 penale.
   Il principio affermato nella sentenza n. 432/1995 puo' ben  restare
 valido  con  esclusivo  riferimento  alla situazione ivi considerata,
 cioe' per l'incompatibilita'  del  g.i.p  delle  misure  personali  a
 partecipare  al giudizio dibattimentale, e non deve essere esteso per
 necessita' logica al g.u.p. del giudizio abbreviato che, come  g.i.p.
 abbia  applicato  una  misura  cautelare personale. A cio' ostando la
 diversita'  delle  situazioni  e   delle   discipline   che   rendono
 inequiparabili gli affiancati istituti processuali.
   Alla   stregua   delle   considerazioni   sopra   esposte,  quindi,
 l'applicazione   anche   al   giudizio    abbreviato    del    g.u.p.
 dell'incompatibilita' gia' rilevata dalla Corte costituzionale per il
 g.i.p. delle misure cautelari personali che partecipi al dibattimento
 e'  tutt'altro che automatica, opponendosi alle valutazioni afferenti
 il giudizio dibattimentale ordinario avanti al Tribunale una serie di
 considerazioni tipiche del procedimento speciale con rito  abbreviato
 davanti  al  Giudice  dell'udienza  preliminare che pongono in dubbio
 l'estensibilita' del principio affermato nella sentenza  n.  432/1995
 ad  altre  ipotesi di giudizi speciali per la diversita' dei principi
 sottostanti   ai   relativi    procedimenti.    La    questione    di
 incostituzionalita',   nonostante   le   avverse  considerazioni,  e'
 tutt'altro che pacifica e non risolvibile in  via  interpretativa  in
 ragione  del  precedente  piu'  volte  rammentato.   La situazione di
 dubbio - sintomatica di una non manifesta infondatezza della medesima
 - ne impone la rimessione alla Corte costituzionale a mente dell'art.
 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87.