IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento penale n. 208/95-21 r.g. e n. 228/95 r.g. g.i.p a carico di Rossi Carlo e Stefanini Marco, imputati in concorso tra loro del delitto di cui all'art. 323 cpv. codice penale. Ritenuto in fatto Con ordinanza 22 aprile 1995 questo giudice per le indagini peliminari disponeva, richiesta del p.m., applicazione della misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di Rossi Carlo e Stefanini Marco ritenendo sussistenti a carico di costoro gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati di cui agli artt. 110, 323 cpv. e 319 c.p. In esito alle indagini preliminari il p.m. ha chiesto il rinvio a giudizio dei predetti indagati - nel frattempo rimessi in liberta' - per il delitto di cui agli artt. 110-323 cpv. c.p. e questo g.i.p. ha fissato la relativa udienza preliminare. All'udienza il p.m. ha insistito nella richiesta, mentre i difensori hanno instato per sentenza di non luogo a procedere per insussistenza del fatto. Il g.i.p ha riservato la decisione. Considerato in diritto Con sentenza 6-15 settembre 1995, n. 432 la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio dibattimentale il giudice per le indagini preliminari che abbia applicato una misura cautelare nei confronti dell'imputato. La suddetta pronunzia prende in considerazione un'ipotesi di incompatibilita' del g.i.p con riguardo alla fase dibattimentale, fase a cognizione piena, che puo' concludersi con sentenza di condanna (ed invero la Corte accentua fortemente proprio la prospettiva di una pronunzia sfavorevole per l'imputato, pronunzia che potrebbe risultare o comunque apparire influenzata da precedenti valutazioni operate dal g.i.p., che prende parte al dibattimento, in ordine alla sussistenza di illeciti penali attribuibili all'imputato). La ricordata sentenza della Corte costituzionale, tuttavia, enuncia principi di tale ampiezza e profondita' da apparire applicabili anche alla fase dell'udienza preliminare, la quale non puo' concludersi con sentenza di condanna (salvo il caso in cui sia stato richiesto ed accordato il giudizio abbreviato), ma eventualmente con decreto che dispone il giudizio, ovvero con sentenza di non luogo a procedere ex art. 425 c.p.p. con sentenza di proscioglimento pieno ex art. 129 c.p.p. (norma, questa, di obbligatoria applicazione in ogni stato e grado del processo, e dunque anche in sede di udienza preliminare. La Corte pone invero in evidenza, in primo luogo, la necessita' "di dover affermare un piu' pregnante significato dei valori costituzionali del giusto processo", osservando peraltro che "l'analisi del problema non si esaurisce nell'esame della differenza tra valutazioni di tipo indiziario, che il giudice compie in sede di indagini preliminari, e giudizio sul merito dell'accusa all'esito del dibattimento, ma deve anche considerare, piu' specificamente, la possibilita' che alcuni apprezzamenti sui risultati delle indagini preliminari determinino un'anticipazione del giudizio suscettibile di minare l'imparzialita' del giudice"; sottolinea, in secondo luogo, che, essendo indefettibile presupposto per l'emissione di qualsiasi misura cautelare la sussistenza di "gravi indizi di colpevolezza", il giudice, valutando positivamente una tale sussistenza, formula un giudizio di "ragionevole probabilita' di colpevolezza dell'indagato", ovvero, secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione richiamata nella sentenza de qua, "di alta probabilita' dell'esistenza del reato e della sua attribuibilita' all'indagato": conclude, in sintesi, che le valutazioni che il g.i.p. deve compiere allorquando disponga una misura cautelare comporta la formulazione di un giudizio non di mera legittimita', ma di merito (sia pure prognostico ed allo stato degli atti) sulla colpevolezza dell'imputato, ed afferma, dopo la disamina di altre incompatibilita' rilevate in precedenti sentenze, che deve evitarsi "che la valutazione conclusiva sulla responsabilita' dell'imputato sia, o possa apparire, condizionata dalla cosiddetta forza della prevenzione, e cioe' da quella naturale tendenza a mantenere un giudizio gia' espresso o un atteggiamento gia' assunto in altri momenti decisionali dello stesso procedimento". Orbene, precisato che la Corte ha fatto riferimento anche alla valutazione relativa alla possibilita' che l'imputato possa ottenere con la sentenza la sospensione condizionale, valutazione prevista dalla legge n. 332/1995 che ha introdotto il comma 2-bis nell'art. 275 c.p.p., ma che non pare decisiva ai fini che qui interessano posto che anche nel sistema previgente il giudice doveva comunque proporzionare la misura cautelare all'entita' del fatto "e alla sanzione che si ritiene possa essere irrogata" (art. 275, comma 2, c.p.p.), con sentenza evidentemente ritenuta, anche in questo caso, di condanna; precisato altresi' che la questione non pare superabile con il ricorso all'astensione ex art. 36 c.p.p. (neppure ai sensi della lettera H del primo comma di tale norma), atteso che e' insita nel sistema la previsione che l'udienza preliminare possa (o debba, nel caso, non infrequente, di ufficio composto da unico g.i.p.) essere tenuta dallo stesso giudice che abbia emesso nel corso delle indagini preliminari provvedimenti cautelari nei confronti dell'imputato; cio' dunque precisato, ritiene questo giudice che i principi enunciati dalla Corte costituzionale nella citata sentenza possano trovare applicazione anche con riguardo all'udienza preliminare (ancorche' non siano stati richiesti riti alternativi, nei quali casi l'incompatibilita' parrebbe risultare vieppiu' evidente). Benche', infatti, come accennato, l'udienza preliminare non sia finalizzata all'accertamento della eventuale colpevolezza dell'imputato, ma solo alla valutazione della sussistenza di elementi di prova sufficienti a giustificare il dibattimento, nella stessa udienza, pero', deve valutarsi anche l'insussistenza di elementi che giustifichino una sentenza di non luogo a procedere ex art. 425 c.p.p.ovvero una sentenza di proscioglimento pieno ex art. 129 c.p.p. Ma se l'imputato ha diritto ad un giusto processo e se tal diritto si sostanzia in primo luogo in un giudizio reso da un giudice che non sia o comunque non appaia condizionato dalla "forza della prevenzione", allora il diritto stesso non pare possa essere confinato alla sola fase dibattimentale, atteso che, nel sistema vigente, l'udienza preliminare e' uno dei momenti in assoluto piu' rilevanti del procedimento, essendo essa destinata alla valutazione degli esiti delle indagini preliminari e dunque ad una decisione destinata ad incidere in modo determinante sulla posizione dell'imputato: ed e' quasi inutile ricordare come una eventuale valutazione negativa per l'imputato stesso - con conseguente emissione del decreto che dispone il giudizio - possa essere foriera di conseguenze pregiudizievoli tanto quanto una sentenza, e come non sempre tali conseguenze possano del tutto essere rimediate da un'eventuale successiva sentenza di assoluzione. Nella concreta fattispecie, e' lo stesso g.i.p. che a suo tempo emise ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti dei due imputati a dover decidere se gli stessi debbano essere rimessi al giudizio del tribunale o se nei loro confronti debba essere emessa sentenza ex art. 425 c.p.p. o ex art. 129 c.p.p. Indubbiamente questo giudice non deve formulare un giudizio di colpevolezza o meno nei confronti dei predetti imputati, ed un eventuale giudizio sfavorevole per costoro avrebbe natura meramente processuale, pur se, come detto, gravida di negative conseguenze sul piano sostanziale (ad esempio in campo professionale, economico e, non ultimo, morale); ma questo stesso g.i.p., che pure nel corso delle indagini preliminari ha operato quelle pregnanti valutazioni prognostiche in ordine alla probabile colpevolezza degli indagati di cui tratta ampiamente la Corte costituzionale nella sentenza che qui si richiama, e' chiamato anche a decidere in ordine alla eventuale insussistenza della fattispecie criminosa contestata o all'estraneita' ad essa degli interessati. Pare evidente come il "giudizio gia' espresso" o l'"atteggiamento gia' assunto" in altro momento di questo stesso procedimento possa quanto meno apparire condizionante in relazione alla decisione da assumere, ponendo cosi' in discussione la imparzialita' del giudice: in altri termini, l'eventuale decreto che dispone il giudizio potrebbe apparire segnato da quelle precedenti valutazioni espresse dal g.i.p., portando cosi' alla celebrazione di un dibattimento geneticamente ingiusto, in quanto disposto da un giudice (anche solo in apparenza) influenzato dalla "forza della prevenzione". La questione di costituzionalita' puo' peraltro essere prospettata sotto un secondo profilo che, in certa misura, e' il riflesso del primo. L'imputato in sede di udienza preliminare ha facolta' di proporre il c.d. "patteggiamento" (art. 444 c.p.p.) e di chiedere il giudizio abbreviato (art. 438 c.p.p.). Pare di intuitiva evidenza come il comportamento processuale dell'imputato possa subire radicale condizionamento dal fatto che il giudice dell'udienza preliminare sia quello stesso che in precedenza ha gia' formulato una prognosi di colpevolezza: l'imputato stesso potrebbe dunque indursi a rinunziare ad avvalersi delle suddette facolta' in quanto portato a dubitare della imparzialita' del giudicante, il quale, in caso di patteggiamento, dovrebbe valutare la sussistenza o meno dei presupposti per il proscioglimento ex art. 129 c.p.p.; prma di applicare la pena richiesta (art. 444 c.p.p.), mentre nel giudizio abbreviato avrebbe cognizione piena, al pari del giudice del dibattimento. E' vero che nella specie nessuno degli imputati ha optato per l'uno o per l'altro dei riti alternativi, ne' ha sviluppato sul punto argomentazione alcuna, ma da questo fatto contingente non puo', a parere di questo giudice, trarsi la conclusione della irrilevanza della questione di costituzionalita' che sotto questo profilo qui si propone: la scelta di non ricorrere a tali riti, invero, potrebbe essere stata dettata proprio dalla considerazione del fatto che a giudicare sarebbe stato lo stesso giudice che ha a suo tempo emesso le ordinanze di custodia cautelare in carcere, di tal che gli imputati potrebbero avere preferito accettare il "rischio" di un eventuale rinvio a giudizio, rinvio a giudizio che, pero', avrebbe loro successivamente garantito la presenza di un organo giudicante non sospetto di parzialita'. Questi imputati, dunque, al pari di altri che vengono a trovarsi in analoghe situazioni, si trovano ad affrontare l'udienza preliminare in condizioni svantaggiate rispetto ad altri imputati, i quali, per non avere in precedenza subito alcuna valutazione in ordine ad una loro probabile colpevolezza da parte del g.i.p., possono con maggiore liberta' morale optare per un rito alternativo, contando sull'insussistenza di un effettivo o potenziale condizionamento del giudice per effetto della ricordata "forza della prevenzione". ll processo - nel suo complesso - puo' prospettarsi per gli attuali imputati ingiusto anche sotto questo profilo, potendo isultare condizionata la loro liberta' di scelta, in ordine a facolta' riconosciute dall'ordinamento, dalla persona fisica del giudice chiamato a tenere l'udienza preliminare. Per quanto sin qui esposto si ritiene doveroso sollevare d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale, per violazione degli artt. 3, primo comma, e 24, secondo comma, della Costituzione - alla luce dei principi enunciati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 432 del 6/15 settembre 1995 - dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale nella parte in cui non prevede che non possa partecipare all'udienza preliminare il giudice per le indagini preliminari che abbia applicato una misura cautelare nei confronti dell'imputato; questione, per quanto detto, che non appare manifestamente infondata e che risulta all'evidenza rilevante nel giudizio in corso, nel quale, appunto, lo stesso g.i.p. che ha emesso ordinanze di custodia cautelare in carcere e' chiamato a tenere l'udienza preliminare riguardante i due imputati, dei quali deve decidere le ulteriori sorti processuali.