ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 4, 5 e 6 della
 legge  regionale  dell'Emilia-Romagna   29   gennaio   1987,   n.   4
 (Applicazione di sanzione amministrativa a carico dei viaggiatori dei
 servizi pubblici di linea sprovvisti di valido documento di viaggio),
 promossi  con  ordinanze  emesse il 1 giugno 1995 e il 31 maggio 1995
 dal Pretore di Bologna e il 24 luglio 1995 dal  Giudice  di  pace  di
 Bologna,  rispettivamente iscritte ai nn. 450, 484 e 603 del registro
 ordinanze 1995 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 nn. 35, 37 e 41, prima serie speciale, dell'anno 1995.
   Visti gli atti di intervento della Regione Emilia-Romagna;
   Udito nella camera di consiglio del 13  dicembre  1995  il  Giudice
 relatore Gustavo Zagrebelsky.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -  Nel  corso  di  un  procedimento  di opposizione avverso due
 ordinanze-ingiunzioni emesse  dal  direttore  dell'Azienda  trasporti
 consorziali   -   A.T.C.      di  Bologna,  applicative  di  sanzioni
 amministrative pecuniarie  per  circolazione  su  automezzi  pubblici
 senza  titolo  di  viaggio,  il  Pretore di Bologna ha sollevato, con
 ordinanza del 1  giugno  1995  (r.o.  450  del  1995),  questione  di
 legittimita'  costituzionale  degli  articoli  4,  5  e 6 della legge
 regionale  dell'Emilia-Romagna 29 gennaio 1987, n. 4, "nella parte in
 cui essi attribuiscono rispettivamente la  funzione  di  ricevere  il
 rapporto   e  la  potesta'  di  emettere  l'ordinanza-ingiunzione  al
 direttore  dell'azienda  speciale  che  gestisce  il  servizio  nello
 svolgimento   del   quale  e'  avvenuta  l'inadempienza  dell'utente,
 devolvendo altresi' all'azienda speciale di cui il medesimo e' organo
 i proventi delle sanzioni irrogate", in riferimento agli artt. 3, 97,
 117 e 118 della Costituzione.
   1.1.  -  Previa  illustrazione della vicenda dedotta nel giudizio a
 quo, il Pretore rimettente sottolinea la rilevanza  della  questione,
 che investe il presupposto stesso della potesta' sanzionatoria, quale
 attribuita   dalle  disposizioni  impugnate  all'organo  dell'azienda
 speciale che ha emesso le ordinanze contestate.
   Una prima censura e' svolta  con  riferimento  all'art.  117  della
 Costituzione,  assumendosi  la  violazione  del  limite all'esercizio
 della potesta'  legislativa  regionale,  rappresentato  dai  principi
 fondamentali  stabiliti  dalle leggi dello Stato. In tema di sanzioni
 amministrative, i principi fondamentali sono dettati dalla  legge  24
 novembre  1981,  n.  689,  che,  al capo I, regola in via generale la
 materia. Tra le disposizioni che rivestono  l'accennato  carattere  e
 che  vincolano, percio', il legislatore regionale, vi sono - aggiunge
 il rimettente - quelle degli artt. 17 e 18 della legge in  argomento:
 l'art.  17  prevede  (al terzo comma) che il rapporto per le sanzioni
 amministrative nelle materie di competenza delle  regioni  o  per  le
 funzioni  amministrative  ad esse delegate sia presentato all'ufficio
 regionale  competente;  l'art.  18  stabilisce  che  sia  la   stessa
 autorita'  competente a ricevere il rapporto a valutare la fondatezza
 dell'accertamento e a determinare, con ordinanza motivata,  l'entita'
 della  somma  dovuta  per  la  violazione,  ingiungendo  il pagamento
 dell'importo stabilito.
   Dall'insieme di queste due norme si enuclea, quindi,  il  principio
 per cui, nelle materie di competenza della regione, solo a un ufficio
 dell'ente territoriale, in quanto titolare di autorita' nei confronti
 dei  terzi,  puo' essere attribuita, da parte di una legge regionale,
 una potesta' sanzionatoria. Un principio  del  resto  ribadito  dalla
 legge regionale dell'Emilia-Romagna 28 aprile 1984, n. 21, recante la
 disciplina  generale  dell'applicazione di sanzioni amministrative di
 competenza  regionale,  i  cui  artt.  5,  14  e   15   attribuiscono
 esclusivamente a organi individuati dagli enti locali territoriali la
 funzione di ricevere il rapporto e, quindi, la potesta' sanzionatoria
 correlativa.
   Posta  questa  premessa,  osserva  il  rimettente che gli impugnati
 artt.  4  e  5  della  legge  regionale  n.   4   del   1987   hanno,
 incoerentemente, attribuito la competenza a ricevere il rapporto e la
 potesta'   di  determinare  ed  irrogare  la  sanzione  al  direttore
 dell'azienda speciale A.T.C. di Bologna, che non puo' in  alcun  caso
 essere  considerato  un  "ufficio"  della  regione. Si tratta infatti
 dell'organo di una azienda speciale che, a norma dell'art.  23  della
 legge  n.  142  del  1990,  e'  definita  "ente strumentale dell'ente
 locale,   dotato   di   personalita'    giuridica,    di    autonomia
 imprenditoriale e di proprio statuto"; indici, questi ultimi, che non
 consentono  di  classificarla  come  "ufficio  regionale"  a  termini
 dell'art. 17 della legge n. 689 del 1981.
   L'attribuzione di potesta' sanzionatoria ad  un  soggetto  estraneo
 all'organizzazione  dell'ente  territoriale  costituisce  dunque  una
 violazione del principio contenuto nella legge statale e si  pone  in
 contrasto con l'art. 117 della Costituzione.
   1.2. - L'anzidetta estraneita' dell'azienda speciale alla struttura
 dell'ente  territoriale  implica  poi,  ad  avviso del rimettente, un
 secondo profilo di censura, riferito al parametro dell'art. 118 della
 Costituzione.
   A norma di detto parametro, le funzioni di competenza della regione
 potrebbero essere delegate ad  altri  enti,  o  esercitate  valendosi
 degli  uffici  di  questi  ultimi, in quanto qualificabili come "enti
 locali". Ma tale qualificazione va esclusa con  riguardo  all'azienda
 speciale,  sia  alla  luce del gia' richiamato art. 23 della legge n.
 142 del 1990 che ne delinea le caratteristiche, sia perche' la stessa
 legge n. 142 ricomprende nella nozione di "ente locale"  soltanto  il
 comune, la provincia, la citta' metropolitana e la comunita' montana.
   Anche  se ipotizzata una delega di attribuzioni o dell'esercizio di
 funzioni, quindi, si profila un contrasto  con  la  Costituzione  per
 difetto  dei  requisiti  soggettivi del delegato, non definibile come
 ente locale.
   1.3.  -  Una  terza  censura  e'  svolta  dal  giudice  a  quo,  in
 riferimento   al   principio   di  ragionevolezza,  alla  luce  della
 giurisprudenza costituzionale che  individua  una  lesione  di  detto
 principio  quando  una legge regionale disponga in contraddizione con
 principi  di  carattere  generale  posti  dalla  stessa  legislazione
 regionale.  Un'ipotesi,  questa,  rilevata dalla Corte costituzionale
 nella sentenza n. 375 del 1993, che  ha  dichiarato  incostituzionale
 una  norma  di  legge  regionale  in quanto essa aveva incongruamente
 apportato una deroga alla legislazione regionale generale in tema  di
 applicazione  di  sanzioni amministrative.  "Analoga incongruenza" e'
 ravvisabile, per il giudice a quo, attraverso  il  raffronto  tra  le
 norme  impugnate  e  gli  artt.  5,  14  e  15  della legge regionale
 Emilia-Romagna n. 21 del 1984, i quali ultimi  attribuiscono  solo  a
 organi  degli  enti  locali territoriali la funzione di ricezione del
 rapporto di  violazione  amministrativa  e  la  conseguente  potesta'
 sanzionatoria.
   Diversamente  da  quanto prescritto in quest'ultima legge, le norme
 impugnate affidano al direttore dell'azienda speciale la  funzione  e
 la  potesta' anzidette, operando una scelta irragionevole, perche' in
 conflitto con l'indicazione normativa  generale  posta  dallo  stesso
 legislatore  regionale,  ed  ulteriormente perche' la deroga riguarda
 non l'intera procedura di accertamento della violazione  ma  soltanto
 l'individuazione dell'autorita' competente a ricevere il rapporto e a
 sanzionare la violazione.
   1.4. - Ultimo profilo di non conformita' a Costituzione dedotto dal
 Pretore  e'  quello  riferito  ai  principi  di  imparzialita' e buon
 andamento   dell'amministrazione,   imposti   dall'art.   97    della
 Costituzione   anche   nell'ambito   dell'esercizio   della  potesta'
 sanzionatoria.
   Il rispetto di tali canoni  dell'azione  amministrativa  esige  che
 l'organo cui e' attribuita la potesta' sanzionatrice sia dotato di un
 requisito  di  "terzieta'"  rispetto agli interessi, anche economici,
 coinvolti nella vicenda, dovendosi escludere che detto  organo  possa
 essere portatore di un interesse proprio al pagamento della sanzione:
 dal  sistema  della  legge n. 689 del 1981, si desume che la funzione
 del soggetto investito del potere deve essere calibrata  secondo  una
 verifica     imparziale    della    legittimita'    dell'accertamento
 dell'infrazione  e  deve  tendere  all'applicazione  della   relativa
 sanzione,  dopo  aver  accertato la responsabilita' del trasgressore,
 secondo  i  criteri  -  di impronta penalistica - dettati nella legge
 stessa, graduando altresi' la sanzione tra un minimo ed un massimo in
 base ad una valutazione complessa che tiene conto della gravita'  del
 fatto,   dell'opera   susseguente   dell'autore  e  delle  condizioni
 economiche di questi.
   I requisiti di imparzialita' fanno difetto, ad avviso del  Pretore,
 nel  caso  in esame. L'azienda speciale ha, in base all'art. 23 della
 legge n. 142 del 1990, l'obbligo di informare la propria attivita'  a
 criteri  di  "efficacia,  efficienza  ed  economicita'"  giacche'  e'
 vincolata  all'obiettivo  di  pareggio  di  bilancio,  da  perseguire
 attraverso  l'equilibrio  fra  costi  e  ricavi. Siffatti obblighi di
 risultato economico si pongono oggettivamente  in  contrasto  con  la
 necessaria imparzialita' dell'esercizio del potere sanzionatorio; non
 si  vede  ad  esempio  come si possa effettivamente tener conto delle
 condizioni economiche del trasgressore in  presenza  dell'obbligo  di
 pareggio del bilancio.
   L'inconciliabilita'  risulterebbe  ancor  piu'  marcata  quando  si
 consideri che l'art. 6 della legge regionale n. 4 del 1987, anch'esso
 impugnato, devolve alle imprese che gestiscono il servizio pubblico i
 proventi  delle  sanzioni  amministrative  concernenti   l'infrazione
 dell'uso  del mezzo di trasporto pubblico senza titolo di viaggio; il
 che costituisce un indice normativo esplicito  della  sussistenza  di
 uno specifico interesse dell'organo al pagamento della sanzione, anzi
 al  massimo della sanzione applicabile, onde utilizzare i proventi in
 discorso per garantire l'economicita'  di  gestione.  Non  a  caso  -
 conclude  il  Pretore  -  le ordinanze-ingiunzioni emesse dall'A.T.C.
 recano  prestampato  l'importo  edittale  massimo   della   sanzione,
 evidentemente  richiesto  abitualmente dall'azienda senza tener conto
 di ciascun caso concreto, e non contengono alcuna  motivazione  sulla
 quantificazione cosi' operata.
   2.  -  E'  intervenuta  nel  giudizio  cosi'  promosso  la  Regione
 Emilia-Romagna, chiedendo una declaratoria di inammissibilita'  o  di
 infondatezza della questione.
   2.1.  - Preliminarmente la Regione intervenuta deduce un profilo di
 difetto di rilevanza del quesito.  A  tale  riguardo,  muove  da  una
 puntuale  disamina  dei  fatti del procedimento a quo, quali riferiti
 nella stessa parte narrativa dell'ordinanza di rinvio.
   Risulta da questa  che  l'opponente  ha  eccepito  di  non  essersi
 trovato affatto a Bologna il giorno della contestata infrazione; che,
 in  base  a  questo rilievo, e' stata verificata la carta d'identita'
 quale annotata dall'agente accertatore all'atto della  redazione  del
 verbale,  e  si  e'  appurato  presso  gli  uffici  competenti che il
 documento in questione, recante le  generalita'  dell'opponente,  non
 era mai stato rilasciato a questi.
   Si  e'  dunque accertato che il reale trasgressore ha utilizzato un
 documento falso,  e  che  non  sussiste  percio'  alcun  elemento  di
 identificazione dell'autore dell'infrazione; in questa situazione, il
 giudice    a    quo    avrebbe    dovuto    semplicemente   annullare
 l'ordinanza-ingiunzione, devolvendo a chi di dovere  la  ricerca  del
 responsabile  del  falso.    L'interveniente  eccepisce  pertanto  il
 difetto di rilevanza della questione, sollevata in  un  giudizio  che
 non  puo'  concludersi  se  non con l'annullamento dell'ordinanza per
 l'estraneita' del ricorrente rispetto al fatto contestatogli.
   2.2.  - Nel merito, la Regione ritiene infondate le censure dedotte
 dal Pretore, sotto ogni profilo.
   Quanto al parametro dell'art. 117 della  Costituzione,  la  Regione
 osserva  che il senso - e la finalita' - della disposizione dell'art.
 17 della legge n. 689 del 1981, assunta a principio generale, e' solo
 quello di "tracciare  un  confine"  tra  le  sanzioni  di  competenza
 statale,  per  le quali il rapporto va inviato all'ufficio periferico
 individuato dalle leggi dello Stato,  e  le  sanzioni  di  competenza
 delle  regioni,  per  le  quali  e'  la  regione  di  volta  in volta
 interessata a stabilire a  quale  ufficio  debba  essere  inviato  il
 rapporto;  l'espressione  "ufficio  regionale  competente" che appare
 nella norma di principio non ha dunque il significato di  un  vincolo
 per la regione nel senso della necessaria attribuzione della funzione
 ad un ufficio regionale in senso stretto, ma ha il senso di assegnare
 alla  regione  il  compito  di  individuare  l'ufficio competente nel
 complessivo sistema regionale.
   Che questo sia il senso della norma, del resto, e' confermato dallo
 stesso giudice a quo, che, nella censura riferita all'art. 118  della
 Costituzione,  presuppone evidentemente che la regione possa indicare
 uffici e organi degli enti locali territoriali; se  il  principio  ex
 art.  17 della legge n. 689 del 1981 fosse la "regionalita'" in senso
 stretto dell'organo, anche una delega agli enti locali  comporterebbe
 la violazione di quel principio.
   Se   invece   e'  ammessa  -  come  si  deve  ammettere  sul  piano
 costituzionale - la delega agli enti locali, la portata  della  norma
 di  principio  viene  ad  essere delimitata nel senso di riportare la
 competenza "all'interno del  sistema  regionale",  spettando  poi  al
 legislatore    regionale   di   individuare   puntualmente   l'organo
 competente.
   2.3. - Anche la censura riferita all'art. 118 della Costituzione e'
 infondata, ad avviso della Regione.  La  formulazione  del  parametro
 invocato  non  implica  che  la  regione  non possa affidare funzioni
 rientranti nelle materie regionali ad enti diversi dagli enti locali,
 esprimendo solo  una  condizione  "normale"  di  esercizio  di  dette
 funzioni  attraverso  delega,  appunto,  agli  enti locali. Ma, se la
 materia lo richiede, e' indubbio che la regione puo' affidare proprie
 funzioni ad enti diversi dagli enti locali.
   Ne sono esempi - prosegue la Regione - i casi in cui e' proprio  lo
 stesso  legislatore  statale  che,  nell'ambito  di una disciplina di
 principio, impone una delega in tal senso; anche le leggi statali che
 cosi'  dispongono  dovrebbero   considerarsi   incostituzionali   per
 contrasto con l'art. 118 della Costituzione se questo parametro fosse
 da interpretare cosi' come proposto dal giudice a quo.
   2.4.  -  Del  pari  infondati sono, per la Regione, i profili della
 questione incentrati sul parametro della ragionevolezza, ex art.    3
 della Costituzione. La relativa censura si basa sulla non-coincidenza
 tra  le  previsioni  della  legge  regionale  generale sulle sanzioni
 amministrative n. 21 del 1984  e  le  disposizioni  impugnate.  Cosi'
 prospettata,  la  questione  finisce per rappresentare una arbitraria
 negazione dello stesso principio  di  specialita',  perche'  se  ogni
 disciplina  speciale  fosse illegittima solo perche' in contrasto con
 previsioni di carattere generale, allora non potrebbe mai darsi una -
 legittima - disciplina speciale.
   "Arbitrario" - prosegue la Regione - e' invece proprio il richiamo,
 a  sostegno  della  tesi,  alla  sentenza n. 375 del 1993 della Corte
 costituzionale;   con   questa   decisione   era   stata   dichiarata
 incostituzionale  una disposizione regionale che violava un principio
 generale sulla competenza territoriale dell'autorita' sanzionante,  e
 che  introduceva  con  cio'  anche  un elemento di contraddittorieta'
 nella legislazione; dove il fondamento dell'"incongruita'" risiedeva,
 appunto, nella violazione di un  principio  generale  concernente  la
 competenza territoriale.
   Ne'  maggior  pregio  puo'  accordarsi  all'ulteriore deduzione del
 giudice a quo circa la parzialita' dell'intervento  derogatorio;  non
 si  vede infatti perche' la deroga avrebbe dovuto riguardare l'intera
 procedura di accertamento della violazione anziche'  i  soli  profili
 per  cui  e'  ragionevole  ed opportuno derogare alle norme generali;
 qui, la  competenza all'accertamento dell'infrazione e la  competenza
 a ricevere il rapporto e ad emanare l'ordinanza-ingiunzione.
   2.5.  -  Infondato  e',  da ultimo, il quesito riferito all'art. 97
 della Costituzione.
   Il requisito della "terzieta'", reputato necessario dal  giudice  a
 quo,  risulta  smentito  dalla  stessa legge statale n. 689 del 1991,
 che, all'art. 17, quarto comma, individua i destinatari del  rapporto
 per   le   violazioni   dei   regolamenti   comunali  e  provinciali,
 rispettivamente,  nel  presidente  della  giunta  provinciale  o  nel
 sindaco; in nessuno di questi due casi puo' parlarsi di "terzieta'".
   Sul  piano  legislativo  non  trova  dunque  fondamento  l'idea che
 l'autorita'  amministrativa  non  possa  sanzionare  i  comportamenti
 lesivi  di  interessi,  economici o meno, dei quali essa e' titolare;
 piu' in generale,  la  "terzieta'"  e'  un  connotato  personale  del
 titolare  dell'organo,  ma  non  anche dell'istituzione rispetto agli
 interessi perseguiti attraverso l'agire amministrativo. Rileva quindi
 la regione che, per questo aspetto, il  giudice  remittente  confonde
 l'azione  amministrativa  con il controllo giurisdizionale: nell'una,
 e' assicurata l'imparzialita' istituzionale  ma  non  la  "terzieta'"
 rispetto   agli  interessi  coinvolti  dalle  scelte  amministrative,
 proprio come - ed in quanto - nell'altro viene  accordata  la  tutela
 degli  interessati  ad  opera  di  un  "terzo" in senso pieno. Questa
 profonda  differenza  tra  amministrazione  -  anche   in   sede   di
 applicazione   di   sanzioni  -  e  giurisdizione  esclude  il  vizio
 prospettato rispetto all'art. 97 della Costituzione.
   La  Regione  Emilia-Romagna  conclude  osservando  che  la   scelta
 effettuata con le norme impugnate e' del tutto ragionevole, mirando a
 combattere  il  fenomeno  (diffuso  e  finanziariamente negativo) del
 mancato pagamento del biglietto di viaggio, in una con l'obiettivo di
 snellire le procedure applicative pertinenti.
   Ne' possono rilevare in senso diverso le negative  valutazioni  del
 Pretore  circa  le  concrete  modalita'  con cui e' stata irrogata la
 sanzione (il modulo prestampato, il difetto di motivazione); a questi
 difetti  puo'  e  deve  ovviare   proprio   il   giudice   ordinario,
 nell'esercizio della funzione giurisdizionale.
   3. - Medesima questione, concernente pero' i soli artt. 4 e 5 della
 legge  regionale  n.  4  del  1987, e' stata sollevata dal Pretore di
 Bologna con ordinanza  del  31  maggio  1995  (R.O.  484  del  1995).
 Nell'ordinanza  di  rinvio  il  giudice a quo sottolinea, quanto alla
 rilevanza della  questione,  l'ininfluenza  della  circostanza  della
 mancata   comparizione   dell'opponente   all'udienza.   Nel  merito,
 l'ordinanza  sviluppa  le  stesse argomentazioni della precedente, in
 riferimento agli stessi parametri costituzionali.
   4. - Anche nel giudizio cosi' instaurato e' intervenuta la  Regione
 Emilia-Romagna,  che  ha preliminarmente eccepito l'irrilevanza della
 questione:  stante  la  mancata  comparizione   dell'opponente,   non
 giustificata  da  un legittimo impedimento, il giudice avrebbe dovuto
 limitarsi ad applicare l'art. 23, quinto comma, della  legge  n.  689
 del  1981,  convalidando  il  provvedimento  contestato.  Il giudizio
 principale,  quindi,  dovrebbe  esaurirsi   in   base   all'accennata
 previsione,  senza  applicare  disposizioni  statali  o  regionali in
 materia di sanzioni amministrative. Nel merito, la regione  contrasta
 le  censure  di  incostituzionalita' con osservazioni e deduzioni del
 medesimo contenuto di quelle  piu'  sopra  riferite,  sviluppate  con
 l'atto di intervento nel primo giudizio dinanzi a questa Corte.
   5.  -  Con  ordinanza  del 24 luglio 1995, emessa in un giudizio di
 opposizione a ordinanza-ingiunzione, il Giudice di pace di Bologna ha
 sollevato questione di legittimita' costituzionale degli artt.  4,  5
 e  6  della  legge  regionale  dell'Emilia-Romagna  n. 4 del 1987, in
 riferimento agli artt. 3, 97, 117 e 118 della Costituzione, svolgendo
 argomentazioni in larga parte corrispondenti a quelle  formulate  dal
 Pretore  di  Bologna,  cui e' aggiunta, in relazione all'art. 3 della
 Costituzione, la censura di eguale trattamento di situazioni diverse:
 l'applicazione indiscriminata del massimo  della  sanzione  per  ogni
 violazione accertata da parte dell'A.T.C. di Bologna - a mezzo moduli
 prestampati  -  determina  l'equiparazione  di  vicende  e situazioni
 diverse, varie e mutevoli  essendo  le  condizioni  soggettive  e  le
 ragioni della mancanza del titolo di trasporto.
   6.  -  Nei giudizi promossi con le ordinanze del Pretore di Bologna
 (r.o. nn. 450 e 484/95) la Regione Emilia-Romagna ha  depositato  due
 memorie  di  identico  contenuto. Nelle memorie si sottolinea come le
 argomentazioni gia' svolte negli atti di intervento siano  suffragate
 da  una decisione della Corte di cassazione che ha ritenuto legittima
 la delibera di un comune con cui, in base ad una legge regionale,  il
 direttore  di  una  azienda  tramviaria e' stato delegato ad emettere
 l'ordinanza-ingiunzione di pagamento  della  sanzione  amministrativa
 relativa   al  viaggio  su  mezzo  di  trasporto  pubblico  senza  il
 prescritto  titolo.  La  Regione  rimarca  l'analogia  tra  il   caso
 affrontato  dal  giudice  di legittimita' e la disciplina posta dalla
 normativa regionale impugnata, che risponde alla medesima esigenza  e
 perviene  allo stesso risultato. Un'esigenza di snellimento del resto
 illustrata nella relazione di accompagnamento al  progetto  di  legge
 regionale,  dove  si  mettono  in  risalto le "rimostranze degli enti
 locali oberati di nuovi e  imprevisti  compiti  di  dettaglio  in  un
 settore   gia'   prima   demandato   alla   realta'   subcomunale   e
 subprovinciale", e  cioe'  alle  aziende  pubbliche  e  alle  imprese
 concessionarie   di   servizi.   La   Regione  insiste  quindi  nelle
 conclusioni gia' formulate con gli atti di intervento.
                         Considerato in diritto
   1. - La questione posta a questa Corte dal Pretore e dal Giudice di
 pace  di  Bologna,  nell'ambito  di  tre  giudizi  di  opposizione  a
 ordinanze-ingiunzioni  amministrative,  a  norma  dell'art.  23 della
 legge 24 novembre  1981,  n.  689,  e'  se  siano  costituzionalmente
 legittime, rispetto al principio di ragionevolezza e di imparzialita'
 amministrativa  (articoli  3  e  97 della Costituzione), nonche' alla
 stregua  della  ripartizione costituzionale delle competenze statali,
 regionali e locali (articoli 117 e 118 della Costituzione), le  norme
 degli  articoli 4, 5 e 6 della legge regionale dell'Emilia-Romagna 29
 gennaio 1987, n. 4 (Applicazione di sanzione amministrativa a  carico
 dei  viaggiatori  dei  servizi pubblici di linea sprovvisti di valido
 documento di viaggio) secondo  le  quali  il  direttore  dell'Azienda
 trasporti  consorziali  -  ATC  di  Bologna  -  azienda  speciale che
 gestisce il servizio di trasporto nello svolgimento del quale  si  e'
 avuta   l'infrazione   dell'utente,   consistente  nell'utilizzo  del
 servizio di trasporto pubblico  senza  valido  titolo  di  viaggio  -
 riceve  il  relativo rapporto ed emette l'atto che irroga la sanzione
 amministrativa, i cui proventi sono devoluti  alla  medesima  azienda
 speciale.
   2.  -  Le  tre  ordinanze pongono la medesima questione. I relativi
 giudizi possono essere riuniti,  per  essere  definiti  con  un'unica
 pronuncia.
   3.   -   La   difesa   della   Regione   Emilia-Romagna   eccepisce
 preliminarmente l'irrilevanza di entrambe le questioni sollevate  dal
 Pretore  di Bologna.  In un caso, nel giudizio di opposizione sarebbe
 stata accertata l'erroneita' dell'identificazione  del  trasgressore,
 dovuta  all'esibizione  da  parte  di quest'ultimo di un documento di
 riconoscimento falso. Nell'altro caso, data la  mancata  comparizione
 dell'opponente,  non  giustificata  da  un  legittimo impedimento, il
 Pretore  non  avrebbe  potuto   fare   altro   che   convalidare   il
 provvedimento  contestato,  applicando l'art. 23, quinto comma, della
 legge n. 689 del 1981.
   Ne' la prima, ne' la seconda eccezione appaiono  tuttavia  fondate:
 non la prima, perche' non spetta alla Corte costituzionale, di fronte
 a  un'ordinanza  che  -  come  nella  specie  - motiva in ordine alla
 rilevanza della questione proposta, entrare in  una  valutazione  sui
 fatti di causa che e' propria del giudice rimettente; non la seconda,
 poiche'  l'esame  della  legittimita'  costituzionale della norma che
 fonda  il  potere  sanzionatorio  amministrativo  in   questione   e'
 pregiudiziale   alla   pronuncia   in   ordine   alla  convalida  del
 provvedimento oggetto dell'opposizione, convalida  che  non  potrebbe
 evidentemente   essere  disposta  per  il  sol  fatto  della  mancata
 (ancorche' ingiustificata) comparizione dell'opponente se  il  potere
 sanzionatorio contestato venisse privato della sua base legale da una
 decisione  di  illegittimita'  costituzionale  (ipotesi evidentemente
 parallela a quella decisa da questa Corte, nella sentenza n. 534  del
 1990,    ove   trattavasi   di   illegittimita'   del   provvedimento
 sanzionatorio risultante dalla documentazione  allegata  all'atto  di
 opposizione, nonche' a quella decisa con la sentenza n. 507 del 1995,
 in   cui   si   e'   ulteriormente   ampliato  lo  spazio  valutativo
 dell'illegittimita'  dell'atto  anteriormente  alla   convalida   per
 mancata comparizione).
   4.  -  Nel  merito,  le  questioni sollevate davanti a questa Corte
 devono essere esaminate alla luce dello sviluppo della  legislazione,
 rispettivamente  dello  Stato  e  della Regione Emilia-Romagna, nella
 materia principale dei trasporti pubblici locali  e  in  quella,  che
 alla prima accede, delle sanzioni amministrative connesse. Per quanto
 qui di interesse, tale sviluppo e' quello descritto di seguito.
   4.1.  -  La  legge  quadro  sui trasporti pubblici locali 10 aprile
 1981, n. 151, all'art. 1, terzo comma,  stabilisce  che  "le  regioni
 delegano,  di  norma, agli enti locali e a loro consorzi, l'esercizio
 delle  funzioni  amministrative"  loro  trasferite,  in  materia   di
 trasporti pubblici. L'art. 4 della medesima legge prevede le forme di
 esercizio  dei  servizi di trasporto e, tra queste, indica le aziende
 speciali.
   La figura giuridica delle aziende speciali e' prevista in generale,
 come  modo  di  gestione  di  servizi  di  rilevanza   economica   ed
 imprenditoriale,  dall'art.  22,  comma  3, lettera c), della legge 8
 giugno 1990, n.   142 ed e' delineata  dall'art.  23  della  medesima
 legge. L'azienda speciale e' ente strumentale dell'ente locale dotato
 di  personalita' giuridica, di autonomia imprenditoriale e di proprio
 statuto, approvato dal  consiglio  dell'ente  locale  di  riferimento
 (comune o provincia).  L'ordinamento e il funzionamento delle aziende
 speciali sono disciplinati, nell'ambito della legge, dal loro statuto
 e   dai   regolamenti.  Organi  dell'azienda  sono  il  consiglio  di
 amministrazione, il presidente e il direttore, al  quale  compete  la
 responsabilita'   gestionale.  Gli  amministratori  sono  nominati  e
 revocati secondo le modalita' stabilite  dallo  statuto.  L'attivita'
 dell'azienda  e'  informata  a  criteri  di  efficacia, efficienza ed
 economicita', nonche' all'obbligo del pareggio di bilancio, obiettivo
 da  perseguire  attraverso  l'equilibrio  dei  costi  e  dei  ricavi,
 compresi  i  trasferimenti. L'ente locale, a sua volta, conferisce il
 capitale di  dotazione;  determina  le  finalita'  e  gli  indirizzi;
 approva  gli  atti  fondamentali;  esercita  la vigilanza; verifica i
 risultati della gestione e provvede alla  copertura  degli  eventuali
 costi sociali.
   Sulla  base  della  predetta  legislazione  nazionale,  la  Regione
 Emilia-Romagna ha emanato la legge regionale  16 giugno 1984,  n.  33
 (Adeguamento  della  legislazione  regionale  concernente i trasporti
 pubblici locali alle norme di principio poste dalla legge  10  aprile
 1981,  n. 151 e riordinamento delle relative funzioni amministrative)
 che, all'art.   1, primo comma, conferma  l'azienda  speciale,  quale
 modo  di  gestione  dei  servizi  pubblici  di linea per trasporto di
 persone di interesse regionale e locale; all'art. 1,  settimo  comma,
 prevede  che,  per  i  servizi  gestiti  mediante azienda speciale di
 pertinenza di  ente  locale  territoriale,  l'atto  deliberativo  che
 istituisce  il  servizio  ne  regolamenta  contestualmente  anche  le
 modalita' di esercizio; all'art. 12, infine,  prevede  che  l'impresa
 che  esercita  servizi di trasporto pubblico di linea deve dotarsi di
 un responsabile di esercizio.
   La medesima legge, inoltre, all'art.  36  determinava  le  sanzioni
 amministrative  per i viaggiatori sprovvisti di regolare documento di
 viaggio, rinviando, per l'applicazione, alla legge 24 novembre  1981,
 n.  689  e  alla  normativa  regionale  di  disciplina delle sanzioni
 amministrative di competenza della Regione  stessa;  una  disciplina,
 quest'ultima,  successivamente  posta con la legge regionale n. 4 del
 1987 oggetto del presente giudizio (che  ha  abrogato  l'art.  36  in
 discorso)  e  poi,  ulteriormente, con la legge regionale 2 settembre
 1991, n. 23 e con la legge regionale 19 agosto 1994, n. 36.
   4.2. - La disciplina  generale  delle  sanzioni  amministrative  e'
 contenuta  nella  suddetta  legge n. 689 del 1981, anche per quel che
 riguarda le competenze sanzionatorie  delle  regioni.  Rispetto  alla
 competenza  legislativa  regionale  in  materia,  essa opera da legge
 contenente i principi fondamentali.
   All'art. 17 (nelle sentenze n. 115 del 1995 e nn. 375 e 60 del 1993
 di  questa  Corte  riconosciuto norma di principio fondamentale della
 materia), detta legge stabilisce che il rapporto  del  funzionario  o
 dell'agente  che  ha accertato l'illecito amministrativo deve - salvo
 che vi sia connessione con un fatto di  reato  -  essere  indirizzato
 all'ufficio  statale periferico competente ovvero al prefetto, per le
 violazioni in materie  di  competenza  dello  Stato  (commi  primo  e
 secondo);  all'ufficio  regionale  competente,  per  le violazioni in
 materie di competenza propria o delegata delle regioni (terzo comma);
 al  presidente  della  giunta  provinciale  o  al  sindaco,  per   le
 violazioni  dei  regolamenti  provinciali  o comunali (quarto comma).
 L'art.  18  prevede  e  disciplina  il  potere  di  determinare,  con
 ordinanza  motivata,  la somma dovuta da chi ha commesso l'illecito e
 di ingiungerne il pagamento, potere attribuito ai  medesimi  soggetti
 ai quali e' indirizzato il rapporto, a norma dell'art. 17 predetto.
   In  base alla suddetta legge dello Stato, la Regione Emilia-Romagna
 ha provveduto, con la legge regionale   28  aprile  1984,  n.  21,  a
 disciplinare   in   via   generale   l'applicazione   delle  sanzioni
 amministrative di sua competenza. L'art. 4, primo  comma,  stabilisce
 che  l'applicazione  delle  sanzioni amministrative per violazioni di
 norme nelle materie di competenza regionale compete agli enti che,  a
 norma  dell'art.    118 della Costituzione, esercitano le funzioni di
 amministrazione attiva cui esse accedono e che, di conseguenza, salva
 diversa espressa disposizione, in caso di delega  o  sub-delega  alle
 province,  ai comuni e alle comunita' montane di determinate funzioni
 amministrative, si intende delegata loro anche  l'applicazione  delle
 eventuali  sanzioni amministrative connesse; l'art. 5, poi, determina
 per gli enti locali  suddetti,  gli  organi  competenti  e  cioe'  il
 presidente  della  giunta  regionale  per  le  sanzioni  direttamente
 applicate dalla regione; il sindaco  e  il  presidente  della  giunta
 provinciale  e  della  comunita'  montana, per le sanzioni connesse a
 funzioni  attribuite  o  delegate  rispettivamente  ai  comuni,  alle
 province  e alle comunita' montane; l'art. 18, infine, stabilisce che
 la devoluzione dei proventi delle sanzioni  amministrative  segua  la
 competenza  ad  irrogarle, secondo il criterio gia' previsto dal'art.
 29 della legge statale.
   La Regione Emilia-Romagna ha infine approvato la legge regionale 29
 gennaio  1987,  n.  4,  relativa  alla  "applicazione   di   sanzione
 amministrativa a carico dei viaggiatori dei servizi pubblici di linea
 sprovvisti  di  valido  titolo di viaggio". Questa legge, che si pone
 come speciale rispetto a quella  generale  sopra  indicata,  relativa
 alle  sanzioni  amministrative di competenza della Regione, e' quella
 sottoposta al vaglio di costituzionalita', nei suoi articoli 4,  5  e
 6.  L'art.  4 prevede che il rapporto circa la violazione riscontrata
 debba essere inoltrato al direttore dell'impresa, pubblica o privata,
 che gestisce il servizio nello  svolgimento  del  quale  e'  avvenuta
 l'inadempienza  dell'utente.  L'art.  5  attribuisce la competenza ad
 emettere  l'ordinanza-ingiunzione  al   responsabile   di   esercizio
 dell'impresa  oppure  ai  direttori delle aziende speciali. L'art. 6,
 infine, stabilisce che i proventi delle sanzioni sono  devoluti  alle
 imprese, pubbliche o private, che gestiscono i rispettivi servizi.
   5.  -  I  giudici  rimettenti dubitano innanzitutto che le norme da
 ultimo menzionate violino l'ordine  costituzionale  delle  competenze
 statali,  regionali  e  locali,  come  previste dagli artt. 117 e 118
 della Costituzione, secondo le indicazioni della  legge  n.  689  del
 1981.  Mentre  la  legge  regionale impugnata prevede la competenza a
 ricevere  il  rapporto  e  a  irrogare  la  sanzione  del   direttore
 dell'azienda  speciale, l'art. 17, terzo comma, della citata legge n.
 689  -  norma  di  principio,  alla  stregua  dell'art.   117   della
 Costituzione   -  con  riguardo  alle  violazioni  nelle  materie  di
 competenza (propria o  delegata)  delle  regioni,  affida  il  potere
 sanzionatorio  a  un "ufficio regionale competente", mentre la delega
 che  la  regione  eventualmente  volesse  disporre  potrebbe   essere
 conferita,  secondo  l'art.  118  della  Costituzione, oltre che alle
 province, ai comuni o "ad altri enti locali".
   La censura non e' fondata.
   La legge n. 689 del 1981 deve intendersi alla luce  del  principio,
 numerose  volte affermato anche nella giurisprudenza di questa Corte,
 secondo il quale  la  competenza  sanzionatrice  non  attiene  a  una
 materia a se', ma accede alle materie sostanziali rispetto alle quali
 svolge   una   funzione  rafforzatrice  dei  precetti  stabiliti  dal
 legislatore (sentenze n. 115 del 1995; n. 60 del 1993; nn. 401 e  123
 del  1992;  n.  365  del  1991;  nn. 1034 e 740 del 1988). Per questa
 ragione,  che  riguarda  la  configurazione  delle  competenze  tanto
 legislative  che amministrative, e' pienamente giustificata, anche se
 non dovuta in linea generale, la scelta  del  legislatore  regionale,
 che  i  giudici  rimettenti  contestano, di determinare la competenza
 amministrativa (accessoria) sulle sanzioni amministrative conseguenti
 alla violazione delle norme sul trasporto pubblico in coincidenza con
 la  competenza  all'esercizio  delle  funzioni   di   amministrazione
 (principali) relative.
   Pertanto,  la  norma  dell'art. 17, terzo comma, della legge n. 689
 del 1981 che attribuisce la competenza  sanzionatoria,  nel  caso  di
 materie  di competenza propria o delegata delle regioni, "all'ufficio
 regionale competente", non deve essere intesa in modo rigido, tale da
 escludere la possibilita' di delega di tale competenza,  analogamente
 alla  delegabilita'  -  prevista  dall'art.  118,  terzo comma, della
 Costituzione -  delle  funzioni  amministrative  primarie.  In  altri
 termini,  la  prescrizione dell'art. 17 deve intendersi dettata per i
 casi in cui la funzione  sanzionatoria  acceda  ad  una  funzione  di
 amministrazione  esercitata  dalla  regione,  mantenendosi  cosi'  la
 corrispondenza, sul piano delle competenze, tra  azione  e  sanzione:
 medesima  corrispondenza che viene assicurata dalle norme della legge
 regionale  impugnata,  in   ordine   alle   funzioni   amministrative
 concernenti i trasporti e alle relative sanzioni.
   Quanto  poi  alla  censura,  secondo  la  quale  - anche ammessa la
 delegabilita'  delle  funzioni  sanzionatorie  in  questione   -   la
 determinazione  della  delega  a  favore  del  direttore dell'azienda
 speciale violerebbe lo schema costituzionale delineato dall'art. 118,
 terzo comma, della Costituzione, che prevede come destinatari solo  i
 comuni,  le  province  e  gli  altri  enti  locali,  e' da rilevarsi,
 indipendentemente dalla disputa circa l'esatta  determinazione  della
 nozione di "ente locale", che l'azienda speciale, pur essendo entita'
 giuridicamente distinta dall'ente territoriale di riferimento, e' con
 esso  collegata - secondo le citate norme della legge n. 142 del 1990
 nonche' del "regolamento delle aziende di  servizi  dipendenti  dagli
 enti locali" approvato con d.P.R. 4 ottobre 1986, n. 902 - da vincoli
 cosi'  stretti, sul piano della formazione degli organi, del rispetto
 degli indirizzi, del controllo e della  vigilanza,  da  dover  essere
 considerata  elemento  del  sistema  di  amministrazione  che fa capo
 all'ente territoriale (nel nostro caso,  il  comune).  Stante  questa
 appartenenza,   che  si  manifesta  attraverso  gli  incisivi  poteri
 riconosciuti all'ente locale territoriale, il quale resta comunque il
 soggetto al quale le funzioni amministrative fanno  capo  e  del  cui
 esercizio  esso  e'  responsabile nei confronti della comunita' degli
 amministrati, oltre che, nel caso di azioni o di omissioni  contrarie
 alla   legge,   di  fronte  agli  organi  di  controllo  e  a  quelli
 giurisdizionali, non si puo' dire alterato lo schema di rapporto  tra
 la  regione, le province, i comuni e gli altri enti locali, tracciato
 dall'art. 118 della Costituzione.
   6. - Le norme considerate  della  legge  regionale  impugnata  sono
 altresi' sospettate d'incostituzionalita' per violazione dei principi
 organizzativi  della pubblica amministrazione di imparzialita' e buon
 andamento, previsti  dall'art.  97  della  Costituzione.  Secondo  le
 ordinanze  dei giudici rimettenti, il direttore dell'azienda speciale
 non sarebbe collocato in condizione di  "terzieta'"  e  imparzialita'
 rispetto  agli  interessi  coinvolti  nella  vicenda  applicativa  di
 sanzioni amministrative, terzieta' e imparzialita' che, ad avviso dei
 rimettenti, derivano come  conseguenza  del  precetto  costituzionale
 invocato.  Tale  organo,  in applicazione dell'art. 11 della legge n.
 689, in relazione all'art.   1  della  legge  impugnata,  oggetto  di
 successive modificazioni nella misura della sanzione (legge regionale
 2  settembre 1991, n. 23 e legge regionale 19 agosto 1994, n. 36), e'
 chiamato a determinare la sanzione amministrativa pecuniaria entro un
 limite minimo e uno massimo, in modo da tener  conto  della  gravita'
 della  violazione,  dell'opera  eventualmente svolta per eliminarne o
 attenuarne le conseguenze, della  personalita'  del  trasgressore  e,
 infine, delle sue condizioni economiche. Tutto cio' richiederebbe dal
 direttore  dell'azienda  una visione imparziale dei casi che gli sono
 sottoposti. Ma la sua posizione di parte  interessata  lo  renderebbe
 istituzionalmente  inidoneo  a svolgere il compito affidatogli, tanto
 piu' che egli e' al vertice di un ente, l'azienda speciale,  che  per
 legge  (art. 23 della legge n. 142 del 1990) e' tenuta all'obbligo di
 pareggio del bilancio, da  perseguire  "attraverso  l'equilibrio  dei
 costi e dei ricavi".
   Anche  questa  prospettazione della questione d'incostituzionalita'
 e' infondata.
   E' nella logica della "depenalizzazione" operata con  la  legge  n.
 689  del  1981  che  le  sanzioni  amministrative, un tempo di natura
 penale e quindi di competenza dell'autorita'  giudiziaria,  essa  si'
 collocata  in  posizione disinteressata di "terzieta'", siano oggi di
 competenza dell'autorita' amministrativa alla quale, per definizione,
 non e' estraneo l'interesse al rafforzamento, tramite  l'applicazione
 delle  sanzioni,  delle  prescrizioni  alla  cui  osservanza  essa e'
 preposta.  Il concetto stesso di "terzieta'", tipico della  posizione
 del    giudice,    non   e'   dunque   bene   evocato   a   proposito
 dell'amministrazione,  quand'anche  essa  sia   chiamata   ad   agire
 nell'ambito   di   procedimenti   strutturati   secondo   regole   di
 contraddittorio (come accade nella  specie,  a  norma  dell'art.  18,
 secondo comma, della legge n. 689). La garanzia insita nell'esistenza
 di   un'istanza   "terza"   non  viene,  del  resto,  sottratta  agli
 interessati, potendosi essi rivolgere, in sede  di  opposizione  alle
 determinazioni     dell'autorita'    amministrativa,    all'autorita'
 giudiziaria, a norma degli articoli 22 e 23 della stessa legge.
   Cio' che conta, ai fini dell'imparzialita' e del buon andamento, e'
 che il soggetto titolare della potesta' sanzionatrice debba  operare,
 secondo  la  legge,  al  solo  fine  del  perseguimento  del pubblico
 interesse, senza mescolanze o indebite interferenze di  interessi  di
 natura  privatistica.    Non  si  giustificano  percio'  i  dubbi  di
 costituzionalita' sollevati nel caso in esame,  in  relazione  a  una
 azienda  speciale  che,  pur  agendo  con criteri imprenditoriali, e'
 predisposta pur sempre alla cura esclusiva  di  interessi  di  natura
 pubblicistica.  D'altro  canto,  i  penetranti  poteri  di indirizzo,
 controllo e vigilanza - che possono incidere perfino sulla permanenza
 in carica  degli  amministratori  -  di  cui  dispone  l'ente  locale
 territoriale  di  riferimento (la cui eventuale competenza in materia
 di  sanzioni  amministrative  non  potrebbe  essere  in  nessun  modo
 sospettata  d'illegittimita')  confermano l'appartenenza dell'azienda
 speciale a quella medesima area di interessi pubblicistici di  natura
 obiettiva,  i  quali  bastano  a giustificare l'idea che essa rivesta
 natura imparziale, dal punto di vista dei  requisiti  previsti  dalla
 Costituzione   in   ordine   all'amministrazione.   E,  infine,  deve
 considerarsi  -  ai  fini  dell'apprezzamento  dell'idoneita'   della
 legislazione   regionale   in   materia   a  superare  il  vaglio  di
 costituzionalita' - il gia' richiamato art. 12 della legge  regionale
 Emilia-Romagna  n.    33  del 1984 il quale, prevedendo la figura del
 "responsabile  di  esercizio"  (figura  coincidente  con  quella  del
 direttore  dell'azienda  speciale),  conferma  il  rilievo  dato alle
 esigenze di buon andamento e  imparzialita'  nell'organizzazione  dei
 servizi pubblici di trasporto locale.
   Ne'  queste  valutazioni  sono destinate a mutare in considerazione
 del fatto che i proventi delle  sanzioni  sono  devoluti  all'azienda
 medesima  (art. 6 della legge impugnata) e questa e' tenuta dall'art.
 23, comma 4, della legge n. 142 del 1990 all'obbligo del pareggio del
 bilancio "da perseguire  attraverso  l'equilibrio  dei  costi  e  dei
 ricavi",  formula che consente di considerare rilevante, come ricavo,
 il recupero del prezzo del documento di viaggio ma  non  il  provento
 della sanzione pecuniaria irrogata.
   Non  si  nega  che,  in  pratica,  possano darsi abusi, come quelli
 denunciati nelle ordinanze di rimessione (utilizzazione di routine di
 documenti gia' predisposti e applicazione costante del massimo  della
 sanzione).      Ma   questi  abusi,  per  quanto  gravi  e  privi  di
 giustificazione,   restano   comunque    violazioni    della    legge
 riconducibili  a  comportamenti  propri  dell'autorita' agente e come
 tali devono essere contrastati davanti ai giudici,  nelle  forme  che
 l'ordinamento  consente  di attivare. Essi, costituendo per l'appunto
 violazioni di fatto della legge, non possono convertirsi di  per  se'
 in vizio della legge stessa.
   7.  -  Quanto  infine  alla  pretesa  violazione  dell'art. 3 della
 Costituzione, nella sua  accezione  di  imperativo  di  razionalita',
 affacciata sulla considerazione che la legge impugnata deroga, per il
 caso  particolare  dei  trasporti pubblici, alla disciplina regionale
 generale sulle sanzioni amministrative prevista nella legge regionale
 28  aprile  1984,  n.  21,  e'  sufficiente  dire  che,   a   seguire
 l'argomentazione  dei  giudici  rimettenti,  nessuna  legislazione di
 specie sarebbe da ammettersi, mentre  e'  evidente  che  l'opera  del
 legislatore  consiste in classificazioni legate tra loro dal rapporto
 genere-specie,  norme  generali-norme  speciali.   L'art.   3   della
 Costituzione e il canone della ragionevolezza che su di esso e' stato
 elaborato richiedono che ogni deroga possa appoggiarsi su una ragione
 giustificatrice  non  arbitraria,  ma  non la impediscono affatto. La
 sentenza n. 375  del  1993  di  questa  Corte,  evocata  dai  giudici
 rimettenti, e' su questa linea, avendo giudicato incostituzionale una
 legge  regionale  derogatoria di altra legge regionale, non in quanto
 tale, ma in quanto "incongruamente derogatoria".
   Nel caso in esame, la  scelta  del  legislatore  regionale  non  e'
 certamente  arbitraria.  Basta,  in proposito, considerare le ragioni
 generali che giustificano l'unione della competenza  sanzionatrice  a
 quella  amministrativa cui la prima accede, nonche' l'opportunita' di
 non gravare su altre autorita' amministrative,  accollando  loro  una
 attivita'  certamente  onerosa  sul  piano  organizzativo  e, data la
 separazione dalle funzioni amministrative  primarie,  non  facilmente
 raccordabile con esse.
   8.  -  Da  quanto sopra esposto risulta che la scelta organizzativa
 contenuta  negli  articoli  4,  5   e   6   della   legge   regionale
 dell'Emilia-Romagna   29  gennaio  1987,  n.  4  -  pur  non  essendo
 costituzionalmente dovuta, come conferma la notevole  varieta'  delle
 soluzioni  adottate  in  materia  dalla  legislazione  delle  diverse
 regioni - non e' in contrasto con la Costituzione.