IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 386/1995 proposto dal sig. Scandurra Angelo rappresentato e difeso dall'avv. Domenico Condorelli presso il cui studio e' elettivamente domiciliato, in Catania, via Parramuto n. 24; contro il Comitato regionale di controllo sugli Enti locali, sezione centrale di Palermo, in persona del presidente pro-tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Catania, presso i cui uffici e' ope legis domiciliato; per l'annullamento del provvedimento del 6 dicembre 1994 (n. 16743 r.d.) con cui la Sezione centrale del CO.RE.CO. di Palermo ha annullato la deliberazione del consiglio comunale di Valverde n. 57 del 27 ottobre 1994 che stabiliva l'indennita' di carica del sindaco; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visti tutti gli atti di causa; Designato relatore per la camera di consiglio del 21 aprile 1995 il referendario dott.ssa Paola Puliatti; Uditi l'avv. D. Condorelli per il ricorrente, nonche' l'Avvocato dello Stato Attilio Bubini per l'Amministrazione intimata; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue. F a t t o Il ricorrente, dipendente comunale eletto alla carica di sindaco dello stesso comune di Valverde, postosi in aspettativa senza assegni, al fine di rimuovere la causa di ineleggibilita', impugna l'atto negativo di controllo relativo alla delibera consiliare con cui viene determinata l'indennita' di carica spettantegli, ai sensi della legge 27 dicembre 1985, n. 816, come recepita dalla l.r. 24 giugno 1986, n. 31. Deduce che l'atto impugnato e' affetto dal vizio di legittimita' per: 1. - Violazione e falsa applicazione dell'art. 3, comma 2, della legge 27 dicembre 1985, n. 816 e dell'art. 31, lett. a) della legge 25 marzo 1993, n. 81, in relazione all'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 e all'art. 2 commi 2 e 3, della legge 23 aprile 1981, n. 154, cosi' come intesi con dichiarazione di illegittimita' costituzionale dalla Corte costituzionale con sentenza 23-31 marzo 1994, n. 111. La delibera controllata, n. 57 del 1994, e' stata adottata sul presupposto che l'interpretazione conforme alla Costituzione della norma applicabile (l'art. 3 della legge n. 816/l985) sia quella che consente di raddoppiare l'indennita' di carica in favore del dipendente eletto sindaco, costretto a rinunciare alla retribuzione per il posto di lavoro senza possibilita' di optare per il mantenimento in servizio con fruizione di permessi retribuiti, a prescindere dal limite dei diecimila abitanti del comune, previsto nella norma, per poter dar luogo al raddoppio dell'indennita'. Una diversa interpretazione presta il fianco alla censura di incostituzionalita', per contrasto con gli artt. 36, 3 e 51 della Costituzione, o dell'art. 2, comma settimo, della legge 23 aprile 1981, n. 154, secondo cui l'aspettativa e' concessa senza assegni o, piu' plausibilmente, dell'art. 3, secondo comma, della legge 27 dicembre 1985, n. 816, nella parte in cui prevede che il raddoppio dell'indennita' mensile di carica per i sindaci sia limitato ai comuni con popolazione superiore ai diecimila abitanti, laddove i sindaci come lavoratori dipendenti scelgano di essere collocati in aspettativa senza assegni, senza tenere conto del caso in cui la possibilita' di scelta circa la conservazione dell'attivita' lavorativa e della retribuzione non e' data al cittadino. 2. - Violazione e falsa applicazione dell'art. 17, comma terzo, della l.r. 3 dicembre 1991, n. 44. Mentre la sezione del CO.RE.CO. di Catania nel rimettere l'esame della delibera di cui trattasi alla sezione centrale dell'organo di controllo ha ampiamente motivato, non cosi' la sezione centrale che avrebbe dovuto, viceversa, affrontare la questione come "questione di massima di particolare importanza". In fase di esame della domanda cautelare, il tribunale disponeva con ordinanza di sospendere il giudizio e sollevare questione di costituzionalita' dell'art. 3 della legge n. 816/1985 come recepito in Sicilia con l.r. n. 31/1986. D i r i t t o Entrambi i motivi prospettati dal ricorrente appaiono destituiti di fondamento, cosicche' assume rilevanza la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma secondo, della legge 27 dicembre 1985, n. 816, sollevata in seno al primo motivo, che riveste carattere effettivamente e direttamente pregiudiziale rispetto alla materia controversa dedotta in giudizio. Difatti, la norma sospettata di incostituzionalita' e' l'unica di cui ha fatto applicazione il CO.RE.CO nel provvedimento negativo impugnato, sicche' la dichiarazione di incostituzionalita' renderebbe accoglibile il ricorso. L'art. 3 della legge 27 dicembre 1985, n. 816, applicabile nella regione siciliana in forza dell'art. 1 della l.r. 24 giugno 1986, n. 31, dispone che ai sindaci e' corrisposta una indennita' di carica, deliberata dal consiglio comunale, entro i limiti previsti per ciascuna classe di comuni nella tabella A) allegata alla stessa legge; detti limiti sono raddoppiati per i sindaci dei comuni con popolazione superiore a diecimila abitanti che svolgono attivita' lavorativa non dipendente o che, quali lavoratori dipendenti, siano collocati in aspettativa non retribuita. La norma non prevede che detti limiti possano essere raddoppiati, a prescindere dalla dimensione abitativa del comune, anche in favore di coloro che, dipendenti dello stesso ente presso il quale aspirano a ricoprire la carica pubblica, per poter rimuovere la causa di ineleggibilita', debbano "necessariamente" essere collocati in aspettativa senza assegni, senza poter optare per il mantenimento del rapporto di servizio, e, percio' della retribuzione, ed il contestuale godimento di permessi, per l'assolvimento del mandato elettorale (come previsto, invece, per i dipendenti statali e degli enti pubblici, nonche' per i lavoratori privati dall'art. 2 della legge 12 gennaio 1966, n. 1078, nonche' dagli artt. 31 e 32 della legge 20 maggio 1970, n. 300 e dall'art. 9 della legge 26 aprile 1974, n. 169). Difatti, dal combinato disposto dell'art. 9, comma primo, n. 7 e comma terzo, della l.r. 24 giugno 1986, n. 31 e dell'art. 3, comma primo, della l.r. 26 agosto 1992, n. 7, si evince che il dipendente comunale rimuove la causa di ineleggibilita' alla carica di sindaco purche' cessi dalle funzioni per dimissioni non oltre il giorno fissato per la presentazione delle candidature. Alla luce della sentenza della Corte costituzionale 31 marzo 1994, n. 111, che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma terzo, della legge 23 aprile 1981, n. 154, e' lecito interpretare l'espressione "cessazione dalle funzioni" non come fatto che comporta la rinuncia al posto di lavoro, ma come fatto che comporta il mero collocamento in aspettativa del dipendente comunale, sufficiente a rimuovere la causa di ineleggibilita'. Appare, allora, non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale del citato art. 3, primo e secondo comma, della legge n. 816/1985 con riferimento all'art. 3 della Costituzione, in quanto discrimina irragionevolmente il dipendente comunale eletto presso il comune di appartenenza, rispetto agli altri dipendenti pubblici, che siano tutti eletti in un comune con popolazione non superiore a diecimila abitanti. La norma appare illegittima nella parte in cui non prevede per il dipendente comunale, "costretto" a collocarsi in aspettativa senza assegni per rimuovere la causa di ineleggibilita', un trattamento economico adeguato e sufficiente a garantire, quantomeno, il mantenimento del tenore di vita in precedenza goduto per effetto della retribuzione percepita e "necessariamente" rinunciata, mediante, ad es. l'integrazione dell'indennita' di carica, prevista per la classe cui appartiene il comune, con un assegno che copra la differenza tra la retribuzione gia' in godimento e l'ammontare dell'indennita' spettante. Ogni altro dipendente pubblico, che sia eletto alla carica pubblica nei comuni della medesima dimensione abitativa, ha la possibilita', comunque, di conservare il trattamento economico di cui godeva anteriormente, avendo l'opportunita' di permanere in servizio e percepire la relativa retribuzione. La necessita' di rimuovere la causa di ineleggibilita' non giustifica di per se' le differenti conseguenze sul piano economico che ne derivano per le due categorie di soggetti, dovendo essere posti tutti i cittadini in condizione di uguaglianza per quanto riguarda la possibilita' di accedere alle cariche pubbliche, senza che la soluzione prescelta per la rimozione della causa di ineleggibilita' debba risolversi a detrimento del tenore di vita del candidato. Il contrasto sussisterebbe, anche, rispetto all'art. 51, primo comma, e all'art. 3, secondo comma, della Costituzione, perche', sostanzialmente, i dipendenti comunali "non abbienti" troverebbero ostacolo all'accesso alla carica di sindaco, e sarebbero scoraggiati dal candidarsi rispetto a tutti gli altri cittadini, a causa della perdita di reddito, connessa al necessario collocamento in aspettativa senza assegni, qualora, come nella specie, l'indennita' di carica rappresenti una modifica in pejus del trattamento economico stipendiale gia' in godimento al dipendente eletto, cosicche' sarebbe violato il principio che vuole l'accesso alle cariche pubbliche non limitato dalle condizioni economiche degli eleggibili. Sostenere che il dipendente deve accollarsi il rischio della perdita del tenore di vita garantito dalla retribuzione in precedenza percepita, vuol dire mantenere in piedi, sostanzialmente, la causa di ineleggibilita'. Sotto altro profilo, appare violato l'art. 3, primo comma, della Costituzione, perche' la norma denunciata discrimina irragionevolmente la situazione del dipendente comunale eletto alla carica di sindaco in un comune con numero di abitanti inferiore a diecimila, com'e' nella specie il comune di Valverde, rispetto a quella del dipendente comunale eletto in comune con popolazione superiore a diecimila abitanti, entrambi "costretti" a collocarsi in aspettativa senza assegni. Solo nel secondo caso, in virtu' della dimensione del comune e della perdita del guadagno derivante dall'attivita' lavorativa, la norma consente la maggiorazione dell'indennita' di carica, fino al raddoppio. Ritiene il collegio che non puo' ragionevolmente ancorarsi alla diversa dimensione abitativa del comune la misura dell'indennita' di carica spettante al sindaco. Non avendo natura retributiva, l'indennita' di carica non puo' essere commisurata alla complessita' delle funzioni ne' al tempo necessario all'espletamento delle stesse, che si presumono maggiori nel comune di piu' vaste dimensioni abitative, ma deve tendere esclusivamente ad assicurare il libero accesso alle cariche pubbliche, si' da non condizionare l'elettorato passivo alle diverse condizioni economiche dei cittadini. Non appare giustificata, pertanto, la mancata previsione del raddoppio dell'indennita' in favore di tutti i cittadini eletti, che vengano a perdere un guadagno dall'attivita' lavorativa a causa della elezione alla carica pubblica, a prescindere dalla dimensione del comune.