IL PRETORE Nel corso del giudizio direttissimo promosso a carico di Castaldi Stefano e Taccola Francesco, iscritto ai nn. 4700/95 r.g.n.r. e 968/95 r.g. dib., la difesa dei prevenuti ha avanzato richiesta di sospensione del giudizio e di remissione dello stesso alla Corte costituzionale, deducendo la illegittimita' costituzionale dell'art. 34, secondo comma, c.p.p. nella parte in cui non prevede la incompatibilita' a celebrare il dibattimento del giudice che abbia adottato una misura cautelare personale all'esito del giudizio di convalida. Ha rilevato infatti la difesa che il pretore, chiamato a decidere sulla convalida dell'arresto in flagranza degli imputati in ordine ai reati previsti dagli artt. 110, 624, 625 n. 1 e 614, ultimo comma, c.p., accogliendo la richiesta del pubblico ministero ha disposto la misura cautelare degli arresti domiciliari, rinviando la celebrazione del giudizio direttissimo a seguito di richiesta di termine a difesa ex art. 566, settimo comma, c.p.p. Ha richiamato, a tal fine, la recentissima sentenza 6-15 settembre n. 432 con la quale la Corte ha dichiarato la illegittimita' costituzionale dell'art. 34, secondo comma, c.p.p. nella parte in cui non prevede l'incompatibilita' a partecipare al dibattimento del giudice per le indagini preliminari che abbia applicato una misura cautelare personale nei confronti dell'imputato. Ha ritenuto infatti la difesa che le medesime ragioni sottese a detta pronuncia avrebbero dovuto estendersi anche al caso di specie, nel quale lo stesso giudice chiamato a decidere sulla responsabilita' degli imputati a seguito del giudizio direttissimo, ha in precedenza applicato una misura cautelare personale all'esito del giudizio di convalida. Ritiene il pretore rilevante e non manifestamente infondata la questione. Non v'e' dubbio, innanzitutto, che la disposizione della quale si contesta la conformita' a costituzione sia destinata, nel suo attuale contenuto, ad essere applicata nel presente giudizio, trattandosi di disposizione a contenuto processuale che regola tutti i casi di incompatibilita' del giudice persona fisica. Quanto al paradigma della non manifesta infondatezza, risulta inevitabile il richiamo alla recente giurisprudenza della Corte che si adisce, cosi' come indicato dalla difesa. Con la sentenza n. 432/1995, invero, la Corte, investita nuovamente della questione di conformita' a Costittizione dell'art. 34, secondo comma, c.p.p. nell'ambito del piu' generale profilo della compatibilita' tra cognizione del merito cautelare e cognizione nel giudizio - approdando ad un esito differente rispetto a quello che gia' ebbe a formare oggetto dei precedenti dicta (sentt. 502/1991, 516/1991, 124/1992, nei quali aveva escluso che la valutazione operata dal giudice nel subprocedimento cautelare implicasse una anticipazione del giudizio sul merito della res iudicata) - ne ha dichiarato la illegittimita' costituzionale nella parte in cui non prevede la incompatibilita' a partecipare al giudizio del giudice per le indagini preliminari che abbia in precedenza disposto una misura cautelare personale. Valorizzando il mutato quadro normativo emergente dalla legge 8 agosto 1995, n. 332 che ha introdotto profili di maggiore incisivita' dell'accertamento imposto al giudice nell'adozione di misure de libertate, la Corte e' pervenuta alla conclusione che il positivo apprezzamento dello stesso circa la sussistenza dei "gravi indizi di colpevolezza" (art. 273, comma primo, c.p.p.) necessari come condizione generale di applicabilita' delle misure, finisca per determinare "un'anticipazione del giudizio suscettibile di minare l'imparzialita' del giudice". In altri termini, l'ordinanza di applicazione di una misura cautelare implicherebbe l'attivita' valutativa di una serie di elementi tali da indurre a ritenere che lo scrutinio operato da giudice si modelli non gia' su parametri di mera legittimita', sibbene di merito, sia pure prognostico o allo stato degli atti. Ritiene il giudicante che la medesima ratio decidendi della pronuncia sopra citata possa estendersi al caso in oggetto, nel quale il giudice, all'esito della convalida dell'arresto, su richiesta del pubblico ministero ha applicato la misura cautelare personale degli arresti domiciliari, concedendo termine a difesa per la celebrazione del giudizio dibattimentale. Non ignora il pretore che, nell'ambito del giudizio direttissimo, l'applicazione di una misura cautelare personale coercitiva e' ipotesi meramente eventuale, essendo il presupposto per l'instaurabilita' di detto rito speciale identificato (tra gli altri), nella convalida dell'arresto in flagranza (art. 566, quinto comma), ovvero nella prestazione del consenso delle parti in caso di mancata convalida (artt. 566, sesto comma, c.p.p.). Del resto, la stessa Suprema Corte, ponendo fine ad un contrasto di indirizzi, ha ritenuto l'ordinanza di convalida titolo idoneo al mantenimento dell'imputato arrestato in flagranza nello status detentionis per tutta la durata del giudizio direttissimo, fino all'eventuale emanazione di una misura cautelare (Cass. ss.uu. 16 novembre 1991, Simioli). Tuttavia e' da ritenere che laddove la difesa dell'imputato invochi la concessione del termine defensionale di cui all'art. 566 settimo comma c.p.p., il necessario rinvio dell'udienza dibattimentale imponga di assumere in detta fase le eventuali determinazioni in ordine allo status libertatis - atteso che risulterebbe fuori sistema riconoscere all'ordinanza di convalida effetti custodiali ultrattivi - per modo che il giudice dovra' decidere utilizzando il materiale fino a quel momento acquisito, sostanzialmente coincidente con le risultanze del giudizio di convalida. Se cio' e' vero, appare evidente che le argomentazioni poste dalla Corte a fondamento della sentenza n. 432/95 risultano ancora piu' aderenti all'ipotesi prospettata in questa sede. Se, infatti, le valutazioni operate dal giudice per le indagini preliminari per l'adozione di una misura cautelare personale, pur implicando un accertamento prognostico del merito della res iudicanda, possono nondimeno intervenire in una fase del procedimento nella quale puo' non risultare ancora definito il quadro delle indagini, e conseguentemente incompleto e' il materiale destinato ad essere trasfuso, secondo legge, in sede dibattimentale, nel rito direttissimo l'assenza di indagini preliminari e la stretta contiguita' cronologica tra convalida e giudizio implica una sostanziale aderenza valutativa da parte del giudice del dibattimento alle risultanze emerse nel corso della convalida. Ne' sembrano potersi ricavare argomenti in contrario dal fatto che e' lo stesso legislatore - il quale ha previsto che il pubblico ministero o la polizia giudiziaria presentino l'arrestato in flagranza al giudice "per la convalida ed il contestuale giudizio" (artt. 449, primo comma, 566, primo comma, c.p.p.) - ad aver modellato tale rito implicando una inevitabile preventiva conoscenza da parte del giudice della convalida degli stessi fatti oggetto dell'imputazione nel successivo giudizio di merito. Appare infatti agevole osservare che l'accertamento svolto in sede di convalida dell'arresto in flagranza e' funzionalmente e strutturalmente diverso da quello finalizzato all'applicazione di una misura cautelare, involgendo profili inerenti la sussistenza del titolo del reato, il fumus commissi delicti (elemento diverso dai "gravi indizi di colpevolezza") e, in generale, i presupposti di legittimita' formale della misura (Cass. 25 gennaio 1993, Antuofermo, 19 aprile 1993, Romano). Tale diversita' pertanto esclude possano estendersi agli apprezzamenti operati a tal fine dal giudice le medesime argomentazioni valevoli invece per il caso in cui all'esito della convalida, o comunque prima dell'inizio della fase dibattimentale, il giudice applichi una misura cautelare personale. In detta ipotesi, la mancata previsione normativa della incompatibilita' con le funzioni di giudice del dibattimento e' idonea a determinare un vulnus agli artt. 3, comma primo; 24, comma secondo, e 101, comma secondo Cost. parametro, quest'ultimo, richiamabile nella misura in cui l'accertamento della responsabilita' dell'imputato verrebbe a risultare condizionato, come la stessa Corte riconosce "da quella naturale tendenza a mantenere un giudizio gia' espresso o un atteggiamento gia' assunto in altri momenti decisionali dello stesso procedimento", e non gia' dal solo dettato legislativo. Va, quindi, ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale della norma censurata dalla difesa dei prevenuti.