IL TRIBUNALE
   Ha pronunciato la  seguente  ordinanza  sull'istanza  proposta  dai
 difensori  di  Mansueto  Michele,  Piserchia  Leonardo,  Trisciuoglio
 Federico  e  Mangino  Rocco,  di  promozione   della   questione   di
 legittimita'  costituzionale,  in  riferimento  agli  artt.  3, primo
 comma, e 24, secondo comma, della Costituzione, dell'art. 34, secondo
 comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede
 l'incompatibilita' a svolgere le funzioni di giudice del dibattimento
 del giudice che, quale componente del tribunale  del  riesame,  abbia
 concorso  ad  emettere  o  abbia  confermato  ex  art. 309 del codice
 procedura penale l'ordinanza di custodia cautelare;
   Ritenuto in  fatto che nel processo penale n. 54/94 r.g.t. a carico
 dei predetti imputati per il reato di cui agli artt. 110, 629  c.p.v.
 del  codice penale il presidente del collegio giudicante e' lo stesso
 magistrato che,  quale  componente  del  tribunale  del  riesane,  ha
 concorso  ad  emettere  l'ordinanza con la quale veniva confermata la
 sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto  di
 estorsione aggravata ascritto ai pervenuti;
     che  all'udienza del 7 novembre 1995, fissata per la discussione,
 i difensori degli imputati, facendo riferimento alla sentenza n.  432
 del 6-15 settembre 1995 della Corte costituzionale,  hanno  sollevato
 questione  di legittimita' costituzionale del citato art. 34, secondo
 comma, del codice procedura penale, in relazione agli artt.  3  e  24
 Cost.,  nella parte in cui non prevede l'incompatibilita' al giudizio
 del   giudice che ha partecipato al  procedimento  di  riesame  della
 misura cautelare;
   Considerato che nella succitata sentenza si sottolinea il principio
 che  il  giudice,  il  quale  si e' pronunciato sulla sussistenza dei
 gravi indizi di colpevolezza al fine dell'applicazione di una  misura
 cautelare  personale,  esprime  un  giudizio di merito in ordine alla
 responsabilita' dell'imputato tale  da  rendere  o  far  apparire  la
 valutazione  conclusiva sulla responsabilita' dell'imputato, da parte
 dello stesso  giudice,  condizionata  dalla  cosiddetta  forza  della
 prevenzione,  e  cioe'  da  quella  naturale  tendenza a mantenere un
 giudizio gia' espresso o  un  atteggiamento  gia'  assunto  in  altri
 momenti  decisionali  dello stesso procedimento: cio', evidentemente,
 in quanto il giudice il quale applica una misura custodiale affronta,
 in  termini  sia  pure  probabilistici,  questioni   riflettenti   la
 responsabilita'    della  persona  nei  cui  confronti e' avanzata la
 richiesta del provvedimento coercitivo;
   Ritenuto che la questione appare rilevante ai fini del  giudizio  e
 non  manifestamente  infondata  in quanto dall'eventuale accoglimemto
 della stessa ne potrebbe discendere  l'incompatibilita'  di  uno  dei
 componenti  il  Collegio  a partecipare al giudizio, incompatibilita'
 per la quale sussiste l'obbligo di astensione  del  giudice  ex  art.
 36,  primo  comma,  lett.  g),  codice  procedura penale. Identica e'
 infatti la ratio tra la presente situazione e quella presa  in  esama
 dalla  Corte  con  la  sentenza  n.  432  del  1995, per cui vi e' da
 ritenere  che  se  la  questione fosse stata posta in quella sede non
 dissimile sarebbe stata la conclusione;
   Ritenuto, pertanto, che la questione va rimessa al  giudizio  della
 Corte  costituzionale  con  contestuale  sospensione del processo nei
 confronti degli imputati;