IL PRETORE Sciogliendo la riserva contenuta nel verbale di udienza del 28 novembre 1995; Osserva L' I.N.P.S. ha eccepito la decadenza di parti attrici dall'azione proposta, ex art. 4 d.-l. n. 384 del 1992, convertito, con modificazioni, nella legge n. 438 dello stesso anno. Secondo tale norma, infatti, che ha sostituito i commi secondo e terzo dell' art. 47 d.P.R. n. 639 del 1970, opera la decadenza triennale per le controversie in materia di trattamenti pensionistici, a decorrere: a) dalla data di comunicazione della decisione del ricorso pronunziata dai competenti organi dell'istituto; b) dalla data di scadenza del termine stabilito per la pronunzia della predetta decisione; c) dalla data di scadenza dei termini prescritti per l'esaurimento del procedimento amministrativo, computati a decorrere dalla data di presentazione della richiesta di prestazione. Ebbene, nelle ipotesi di specie e' accaduto che al momento di entrata in vigore del decreto citato (che gia' prima della legge di conversione conteneva le regole predette) siffatto termine fosse appunto decorso. Da un lato, infatti, i ricorsi amministrativi non erano stati proposti (la proposizione e' infatti avvenuta pacificamente il 24 novembre 1992 per Andreetta, e il 9 agosto 1993 per Franceschetti); da un altro lato, come pure e' previsto nelle regole stesse, erano ampiamente scaduti i termini (300 giorni) per l'esaurimento del procedimento amministrativo, computati, sempre secondo le stesse a decorrere dalla data di presentazione della richiesta presentazione (rispettivamente, 25 settembre 1986 e 21 marzo 1989). Ne' d'altra parte, puo' applicarsi alla specie la deroga prevista dall'ultimo comma dell' art. 4, cit. per i procedimenti instaurati anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto stesso e ancora in corso alla medesima data: siffatti procedimenti, pur se intesi come amministrativi secondo quanto ritenuto dal giudice delle leggi (che nell'interpretazione della regola ha tenuto conto del "ricorso amministrativo proposto anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto": Corte cost. 3 febbraio 1994 n. 20, par. 6), erano appunto gia' esauriti a tale momento; se intesi come giudiziari, non erano ancora stati instaurati. Si pone pero' il problema della legittimita' costituzionale della normativa prima richiamata, naturalmente sotto il profilo del criterio della non manifesta infondatezza. La questione e' infatti sicuramente rilevante nel caso in esame. Ed invero, l'art. 6, primo comma, d.-l. n. 103 del 1991, convertito con modificazioni nella legge n. 166 dello stesso anno recita testualmentente: "1. - I termini previsti dall'art. 47, commi secondo e terzo, del decreto del Presidente della Repubblica 30 aprile 1970, n. 639, sono posti a pena di decadenza per l'esercizio del diritto alla prestazione previdenziale. La decadenza determina l'estinzione del diritto ai ratei pregressi delle prestazioni previdenziali e l'inammissibilita' della relativa domanda giudiziale. In caso di mancata proposizione di ricorso amministrativo, i termini decorrono dall'insorgenza dei singoli ratei". E Corte cost. 20 maggio 1992 n. 246, Foro it., 1992, I, 2601, nel dichiarare non fondata la questione di legittimita' costituzionale della norma, sollevata con riferimento agli artt. 3 e 38 cost., l'ha interpretata sottolineando che la estinzione ivi prevista colpisce il diritto ai ratei maturati, non quello alla pensione. Del resto, il prevalente e piu' recente indirizzo ha sostenuto che il termine di cui all'art. 47 cit. aveva semplicemente la funzione di delimitare l'efficacia temporale della condizione di procedibilita' della domanda giudiziale: cfr., da ult. Cass. 26 aprile 1993 n. 4864, Dir. e pratica lav., 1993, 1844, (m.). Con la precedente normativa, quindi, i diritti vantati dalla parte ricorrente nell'ambito del decennio precedente la istanza, non sarebbero estinti, mentre lo sarebbero per effetto dell'eccezione preliminare di decadenza sollevata dall'istituto. Di qui la rilevanza della questione (la ricorrente all'epoca non aveva superato i limiti di reddito di cui a Corte cost. 10 giugno 1994 n. 240, Foro it., 1994, I, 2016). Passando allora all'esame del requisito della non manifesta infondatezza, il pretore ritiene che la nuova disciplina sia in collisione con l'art. 24 cost.. Essa, infatti, si risolve, in questo caso, nel sacrificio di diritti che sino al giorno della sua entrata in vigore esistevano e potevano essere azionati. In sostanza, la modifica legislativa, che prevede un regime transitorio limitatissimo (v. antea) e non comprendente situazioni come quella in questione - certo peraltro le piu' numerose - viene a comportare una sorta di espropriazione di diritti patrimoniali, per di piu' di valenza costituzionale (art. 38, secondo comma, Cost.). Dubbio non manifestamente infondato di costituzionalita' si pone quindi anche con riferimento a tale norma. Diverso, naturalmente, sarebbe stato se la legge avesse stabilito un regime transitorio diverso per le vecchie situazioni, che non solo non sopprimesse i diritti, ma ne rendesse non eccessivamente difficoltoso l'esercizio attraverso il giudizio. In definitiva, il pretore ritiene di sollevare d'ufficio, per essere non manifestamente infondata, la questione di costituzionalita' dell'art. 4 d.-l. n. 384 del 1992, convertito, con modificazioni, nella legge n. 438 dello stesso anno, in riferimento agli artt. 24 e 38, secondo comma, Cost.