ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 23 della  legge
 11  marzo  1988,  n.  67 (Disposizioni per la formazione del bilancio
 annuale e pluriennale dello Stato), promosso con ordinanza emessa  il
 2 maggio 1995 dal pretore di Catania - sezione distaccata di Giarre -
 nel procedimento civile vertente tra Corbo Mariangela e Ministero del
 lavoro  ed  altri,  iscritta  al n. 501 del registro ordinanze 1995 e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale   della Repubblica n.  38,  prima
 serie speciale, dell'anno 1995;
   Visto  l'atto di costituzione di Corbo Mariangela nonche' l'atto di
 intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
   Udito nell'udienza pubblica del 23 gennaio 1996 il giudice relatore
 Fernando Santosuosso;
   Udito l'avvocato Massimo D'Antona per Corbo Mariangela e l'avvocato
 dello Stato Alessandro De Stefano per il Presidente del Consiglio dei
 Ministri.
                            Ritenuto in fatto
   1. - Nel corso di un giudizio proposto da Mariangela Corbo  per  il
 riconoscimento  del  proprio  diritto  a  fruire  della indennita' di
 maternita' in seguito ad interdizione ed astensione obbligatoria  dal
 rapporto  di  lavoro instaurato, ai sensi dell'art. 23 della legge 11
 marzo 1988, n. 67, con la cooperativa Noemi, il Pretore  di  Catania,
 sezione  distaccata di Giarre, con ordinanza emessa il 2 maggio 1995,
 ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e  37  della  Costituzione,
 questione  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 23 della citata
 legge nella parte in cui esclude la configurabilita' del rapporto  di
 lavoro  de quo come di natura subordinata e, comunque, nella parte in
 cui non prevede l'applicabilita' alla fattispecie degli artt.  4, 5 e
 15  della  legge  30  dicembre  1971,  n.  1204  sulla  tutela  delle
 lavoratrici madri.
   Il giudice a quo, dopo aver premesso che l'interessata ha svolto la
 propria  attivita' lavorativa in condizione di subordinazione, rileva
 che la norma impugnata, nel qualificare il rapporto come "rapporto di
 lavoro non subordinato", determinerebbe la violazione degli artt.   3
 e  37  della  Costituzione  in  quanto  la  lavoratrice  non potrebbe
 usufruire della previdenza a favore delle lavoratrici  madri  di  cui
 agli  artt.    4,  5  e  15  della  legge  30 dicembre 1971, n. 1204,
 diversamente da quanto stabilito in favore delle altre  categorie  di
 lavoratrici subordinate e in dispetto dei fondamentali principi posti
 a tutela della donna e della maternita'.
   A sostegno delle censure il giudice rimettente richiama la sentenza
 n. 121 del 1993 di questa Corte, in base alla quale non e' consentito
 al   legislatore   negare   la  qualificazione  giuridica  di  lavoro
 subordinato a rapporti che tale natura rivestono ove da cio' consegua
 l'inapplicabilita'  di  norme  inderogabili  a  tutela   del   lavoro
 subordinato, e la circolare dell'Assessorato del lavoro della Regione
 Siciliana  n.  1553  del 28 giugno 1993 secondo cui anche al rapporto
 ibrido di cui all'art.  23 della legge n. 67 del 1988  devono  essere
 applicate le norme poste a tutela delle lavoratrici madri.
   2.   -  Nel  giudizio  davanti  alla  Corte  costituzionale  si  e'
 costituita  la  parte   privata   chiedendo,   in   via   principale,
 l'accoglimento  della sollevata questione di costituzionalita', ed in
 via subordinata una declaratoria di non  fondatezza  della  questione
 interpretando  le  norme  impugnate  nel  senso  di  non escludere la
 sussistenza di un rapporto di  lavoro  subordinato  ove  il  rapporto
 oggetto del giudizio a quo presenti contenuti e modalita' proprie del
 rapporto di lavoro subordinato.
   3. - E' anche intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri,
 rappresentato   e   difeso   dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,
 concludendo  per  la  inammissibilita'  o  per  l'infondatezza  della
 proposta questione.
   La  difesa erariale rileva in primo luogo che la questione andrebbe
 dichiarata inammissibile per una serie di considerazioni; il  giudice
 rimettente  avrebbe  infatti  omesso  di  valutare  pregiudizialmente
 l'ammissibilita' del ricorso  innanzi  a  lui  proposto,  non  avendo
 considerato  che  la  domanda  di  corresponsione  dell'indennita' di
 maternita'  e'  stata  formulata  nei  confronti  di   soggetti   non
 legittimati    passivamente    quali   il   Ministero   del   lavoro,
 l'Assessoratoal lavoro della Regione siciliana, l'Ufficio provinciale
 del lavoro e la cooperativa Noemi, mentre non risulta la chiamata  in
 causa  dell'INPS cui compete il pagamento della provvidenza invocata.
 Da cio' conseguirebbe, rileva  l'Avvocatura,  l'inammissibilita'  del
 ricorso introduttivo e la irrilevanza del dubbio di costituzionalita'
 sollevato.
   Dall'ordinanza  di  rimessione,  inoltre,  non  emergerebbe in modo
 chiaro se il rapporto di lavoro, che si assume di natura subordinata,
 sia intercorso con il Comune di Riposto  ovvero  con  la  cooperativa
 Noemi,  e  quindi  se  si  sia  in presenza di un rapporto di impiego
 pubblico o privato. In  proposito,  osserva  la  difesa  che  ove  il
 giudice  a  quo  avesse  ritenuto la ravvisabilita' di un rapporto di
 impiego   pubblico,   sussisterebbe   un    ulteriore    motivo    di
 inammissibilita'   risultando   la   questione  di  costituzionalita'
 sollevata da un giudice giurisdizionalmente incompetente.
   Ove invece si volesse dare prevalenza alla astratta definizione del
 rapporto di lavoro fornita  dalla  norma  impugnata,  l'ordinanza  di
 rimessione sarebbe carente di motivazione avendo il rimettente omesso
 di  considerare  se  il  diritto all'indennita' di maternita' potesse
 essere  riconosciuto sulla base della legge 29 dicembre 1987, n. 546,
 che ha esteso la sfera dei soggetti beneficiari della tutela a  nuove
 categorie di lavoratrici.
   In  altri  termini, non risulterebbe dimostrata la tesi secondo cui
 il  riconoscimento  del  diritto  invocato  sarebbe  impedito   dalla
 qualificazione   del   rapporto  di  lavoro  effettuata  dalla  norma
 impugnata.
   Nel merito, osserva l'Avvocatura che, essendo l'art. 23 della legge
 n. 67 del 1988 finalizzato alla realizzazione di iniziative a livello
 locale temporalmente limitate e  di  utilita'  collettiva  attraverso
 l'impiego  di giovani disoccupati, la precisazione che tale attivita'
 lavorativa non comporta l'instaurazione  di  un  rapporto  di  lavoro
 subordinato  appare  coerente  con gli obiettivi della legge e con la
 natura e le modalita' di espletamento delle prestazioni richieste.
   4. - In prossimita' dell'udienza  la  difesa  della  ricorrente  ha
 presentato memoria insistendo per l'accoglimento delle gia' formulate
 conclusioni.
   Inoltre  la  difesa  ha  osservato  che la sopravvenuta legge della
 Regione Siciliana 21 dicembre 1995,  n.  85,  la  cui  incidenza  nel
 giudizio  di  merito  andrebbe rimessa alle valutazioni del giudice a
 quo, conferma la fondatezza  delle  sollevate  questioni,  in  quanto
 inquadra  nell'ambito  del  lavoro subordinato quel medesimo rapporto
 che, in base alla legislazione previgente applicata nel giudizio    a
 quo,  non  potrebbe  assumere  tale  natura per espressa disposizione
 normativa.
   Conclude pertanto la  difesa  chiedendo,  in  via  principale,  una
 declaratoria   di   incostituzionalita'  della  norma  impugnata;  in
 subordine, una sentenza interpretativa di rigetto secondo la quale la
 norma impugnata  dovrebbe  interpretarsi  nel  senso  della  sua  non
 applicabilita'  ai  rapporti  di  lavoro  piu' volte prorogati; ed in
 ulteriore subordine,  una  pronuncia  di  rimessione  degli  atti  al
 giudice  a  quo affinche' valuti la persistenza della rilevanza della
 questione alla stregua dello  ius  superveniens  rappresentato  dalla
 legge regionale 21 dicembre 1995, n. 85.
                         Considerato in diritto
   1.  -  E'  stata sollevata questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 23 della legge 11 marzo 1988, n. 67  (Disposizioni  per  la
 formazione  del  bilancio  annuale  e pluriennale dello Stato), nella
 parte in cui esclude la configurabilita' di  un  rapporto  di  lavoro
 subordinato   e,   comunque,   nella   parte   in   cui  non  prevede
 l'applicabilita' alla fattispecie delle  previdenze  a  favore  delle
 lavoratrici madri di cui agli artt. 4, 5 e 15 della legge 30 dicembre
 1971, n. 1204.
   In  particolare il giudice a quo lamenta la violazione dell'art.  3
 della Costituzione  in  quanto  a  fronte  di  uguali  condizioni  di
 subordinazione   lavorativa   di  fatto  verrebbero  discriminate  le
 lavoratrici assunte ai sensi dell'art. 23 della legge n. 67 del 1988;
 dell'art.  37  della  Costituzione  in  quanto   l'esclusione   delle
 previdenze  in  favore  delle  lavoratrici  madri  determinerebbe  la
 violazione  dei  principi  posti  a  tutela  della  donna   e   della
 maternita'.
   2.  -  Preliminarmente  devono  essere  esaminate  le  eccezioni di
 inammissibilita' della questione sollevate  dall'Avvocatura  generale
 dello Stato.
    La  difesa  della  Presidenza del Consiglio dei ministri eccepisce
 che   il   giudice   rimettente   avrebbe    omesso    di    valutare
 pregiudizialmente l'ammissibilita' del ricorso innanzi a lui proposto
 per  non essere stata la domanda di corresponsione dell'indennita' di
 maternita' formulata nei confronti  dell'INPS  quale  unico  soggetto
 passivamente   legittimato.   Per   respingere   tale   eccezione  e'
 sufficiente osservare, come piu'  volte  affermato  da  questa  Corte
 (sentenze   nn.   468   e  173  del  1994),  che  la  verifica  della
 legittimazione delle parti e il  riscontro  dell'interesse  ad  agire
 sono  rimessi  alla  valutazione  del  giudice  rimettente e non sono
 soggetti a controllo nel giudizio di costituzionalita'.
    Rileva  inoltre  l'Avvocatura  che   l'ordinanza   di   rimessione
 difetterebbe  di motivazione in punto di rilevanza, non emergendo con
 chiarezza se il rapporto di lavoro in questione fosse intercorso  con
 il  Comune  di Riposto ovvero con la cooperativa Noemi e quindi se si
 trattasse di impiego di natura pubblica  o  privata  con  conseguente
 difetto di giurisdizione del giudice a quo nel primo caso.
   In proposito, va osservato che, secondo il costante orientamento di
 questa  Corte,  stante  l'autonomia del giudizio di costituzionalita'
 rispetto a quello dal  quale  proviene  la  questione  sollevata,  la
 Corte,  in  sede  di  verifica  dell'ammissibilita', puo' rilevare il
 difetto di giurisdizione o di competenza del giudice rimettente  solo
 ove questo appaia tanto evidente che nessun dubbio possa aversi sulla
 sussistenza di quel vizio (sentenze nn. 349 e 288 del 1993). Nel caso
 di   specie  non  ricorrono  tali  estremi;  che'  anzi  la  ritenuta
 giurisdizione discende dalla stessa qualificazione data  dal  giudice
 al rapporto in questione come di natura privata perche' intercorrente
 con  la  cooperativa  Noemi,  cui  l'interessata  aveva comunicato la
 propria  volonta'  di  astenersi  dal   lavoro   per   maternita'   e
 successivamente richiesto il pagamento della relativa indennita'.
   3.  -  Osserva  ancora  l'Avvocatura  dello Stato che il rimettente
 avrebbe  omesso  di  considerare  se  il  diritto  all'indennita'  in
 questione   potesse   essere   riconosciuto   sulla   base  di  altre
 disposizioni, quali quelle contenute nella legge 29 dicembre 1987, n.
 546, che ha esteso la sfera dei soggetti beneficiari della  tutela  a
 nuove  categorie  di lavoratrici; in altri termini, non sarebbe stata
 sufficientemente dimostrata la tesi - sostenuta dal giudice a  quo  -
 secondo  cui il riconoscimento del diritto invocato e' impedito dalla
 qualificazione legislativa del  rapporto  di  lavoro  espressa  nella
 norma sospettata di incostituzionalita'.
   Questa   eccezione   appare   sostanzialmente   fondata,   pur   se
 l'inammissibilita'  della  questione  va  ravvisata  anche  in  altre
 ragioni che saranno ora precisate.
   4. - Va premesso che l'impugnato art. 23 della legge n. 67 del 1988
 aveva  previsto  per  gli  anni 1988, 1989 e 1990 il finanziamento di
 iniziative a  livello  locale  "temporalmente  limitate"  consistenti
 nello  svolgimento  di  "attivita'  di  utilita' collettiva" mediante
 l'impiego, a tempo parziale,  di  giovani  privi  di  occupazione  ed
 iscritti nella prima classe delle liste di collocamento.
   Allo  scadere  del triennio considerato dalla normativa statale, la
 Regione Siciliana ha emanato una serie di  provvedimenti  legislativi
 con  i  quali  ha  esteso  la durata massima dei progetti di utilita'
 collettiva di cui all'art. 23  della  legge  statale  richiamata.  Ed
 invero,  la  durata dei progetti e' stata portata dapprima fino al 30
 giugno 1992 con la legge regionale n. 27 del 1991, quindi fino al  31
 dicembre  1993  con la legge n. 5 del 1992, ed infine fino al gennaio
 del 1996 con la legge n. 25 del 1993; inoltre con la legge  regionale
 n.  85  del  1995  sono  state  adottate misure per l'inserimento dei
 giovani impegnati nei progetti di utilita'  collettiva,  precisandosi
 che  l'impiego  dei  giovani  nei "nuovi" progetti avverra' in base a
 contratti di diritto privato a tempo determinato e/o parziale.
   5. - Dalla descritta sequenza normativa risulta che  la  fonte  del
 rapporto  di  lavoro in questione non puo' piu' essere considerata la
 norma statale impugnata, avendo essa esaurito i  propri  effetti  nel
 triennio  1988-1990.  D'altra  parte  le successive disposizioni (cui
 peraltro non viene riferita alcuna censura)  delle  leggi  regionali,
 pur  estendendo  di  volta in volta la durata massima dei progetti di
 utilita'  collettiva,  non  hanno  previsto   alcuna   qualificazione
 legislativa   del   rapporto   ne'   potevano   ovviamente  protrarre
 l'efficacia di tutte le disposizioni della legge dello Stato.  E  dal
 momento  che  l'evento maternita' si e' verificato nell'anno 1993, la
 norma statale impugnata appare in ogni caso insuscettibile di trovare
 applicazione nel caso concreto.
   Pertanto, non potendo applicarsi nella specie la normativa  di  cui
 all'impugnato  art.  23  della  legge  n. 67 del 1988, che secondo il
 giudice a quo non consentirebbe il riconoscimento del  diritto  della
 lavoratrice  alla  indennita'  di  maternita' (che e' previsto da una
 serie  di  altre  norme),  la  questione   deve   essere   dichiarata
 inammissibile per difetto di rilevanza.