ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 60  della  legge
 24  novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), promossi con
 ordinanze emesse:
     1) il 17 novembre 1994 dal pretore  di  Torino  nel  procedimento
 penale  a  carico di Quaglia Silvana, iscritta al n. 132 del registro
 ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 11, prima serie speciale, dell'anno 1995;
     2) l'8 febbraio 1995 dal tribunale  di  Pesaro  nel  procedimento
 penale  a  carico  di  Farsetti Luca, iscritta al n. 166 del registro
 ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 13, prima serie speciale, dell'anno 1995;
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito  nella  camera  di  consiglio  del 10 gennaio 1996 il giudice
 relatore Giuliano Vassalli;
   Ritenuto che nel corso del processo  penale  a  carico  di  persona
 imputata del delitto di falsa testimonianza commesso antecedentemente
 alla  sostituzione dell'art. 372 del codice penale ad opera dell'art.
 11 del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito dalla legge  7
 agosto  1992,  n.  356, il pretore di Torino ha, con ordinanza del 17
 novembre  1994,  sollevato,   in   riferimento   all'art.   3   della
 Costituzione,  questione  di  legittimita' dell'art. 60, primo comma,
 della  legge  24  novembre  1981,  n.  689,  "nella  parte in cui non
 consente di applicare le sanzioni sostitutive previste dalla medesima
 legge al reato di cui all'art. 372 c.p. cosi' come previsto nella sua
 originaria formulazione relativamente alla pena edittale";
     che il giudice a quo, richiamate le sentenze n. 249 del 1993 e n.
 254  del  1994,  osserva  che,  avendo  l'art.  11,  comma   1,   del
 decreto-legge  n.  306  del  1992,  convertito dalla legge n. 356 del
 1992,  introdotto  il  delitto  di  false  informazioni  al  pubblico
 ministero,  punito con la reclusione da uno a cinque anni, senza che,
 in relazione a tale  reato,  venga  predisposta  alcuna  prescrizione
 ostativa   quanto   all'applicabilita'  delle  sanzioni  sostitutive,
 l'operativita' delle dette sanzioni  in  ordine  al  reato  di  falsa
 testimonianza  previsto  dall'art.  372  del  codice penale nel testo
 originario  si  rivelerebbe  assolutamente  irrazionale,  venendo  in
 considerazione  precetti  che  tutelano uno stesso bene giuridico (il
 corretto funzionamento, cioe', dell'attivita' giudiziaria);
   Ritenuto, altresi', che nel corso del processo penale a  carico  di
 persona  imputata  di  reato  concernente  le  armi  punito  con pena
 detentiva non alternativa, il tribunale di Pesaro ha,  con  ordinanza
 dell'8  febbraio  1995,  sollevato,  in riferimento agli artt. 3 e 27
 della Costituzione, questione  di  legittimita'  dell'art.  60  della
 legge  24  novembre  1981,  n. 689, "nella sua interezza", ravvisando
 un'intrinseca irrazionalita' nelle singole previsioni di  divieto  di
 applicazione  delle  sanzioni  sostitutive  che  -  a  seguito  delle
 novazioni  normative  succedutesi  nel  tempo  -  hanno  finito   per
 coinvolgere  solo  i  "reati  piu' lievi"; un'irrazionalita' divenuta
 ancor piu' grave in conseguenza dell'elevazione dei livelli  di  pena
 sostituibili,  in  forza  del  decreto-legge  14 giugno 1993, n. 187,
 convertito dalla legge 12 agosto 1993, n. 296,  e  del  regime  della
 diminuzione di pena in caso di "patteggiamento";
     e  che, dunque, risulterebbero violati, non soltanto l'art. 3, ma
 anche l'art. 27 della Costituzione, "nella parte in cui  sancisce  il
 principio   di  proporzione  fra  quantita'  della  pena  e  gravita'
 dell'offesa";
     che, piu' in particolare, l'esclusione di  determinate  categorie
 di  reati  distinte  per  materia  preclude  in modo indiscriminato e
 generalizzato di applicare le sanzioni sostitutive, senza che  assuma
 alcun  rilievo  l'offensivita'  della  figura criminosa; un risultato
 particolarmente evidente proprio nella materia dei reati  concernenti
 le  armi da sparo, ove il legislatore ha mancato anche di considerare
 le circostanze che qualificano favorevolmente  la  condotta  (v.,  ad
 esempio, l'art.  5 della legge 2 ottobre 1967, n. 895);
     che,  mentre  nel  primo  giudizio  non si e' costituita la parte
 privata ne' ha spiegato intervento il Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri,  nel  secondo  giudizio  e'  intervenuto  il Presidente del
 Consiglio  dei  Ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
 generale  dello  Stato,  chiedendo  che  la  questione sia dichiarata
 inammissibile o comunque non fondata;
     che,   secondo   l'Avvocatura,   l'inammissibilita'   deriverebbe
 dall'avere  il  rimettente coinvolto l'art. 60 della legge n. 689 del
 1981 nella sua interezza, pur riferendosi il processo a  quo  ad  uno
 specifico  reato  concernente  le armi da sparo; l'infondatezza della
 questione  sarebbe,  invece,  ricavabile  dalle   statuizioni   della
 sentenza  n. 249del 1993, in quanto la ratio decidendi della parziale
 dichiarazione  d'illegittimita' della norma allora impugnata derivava
 dall'irrompere di un sistema normativo  che  impediva  l'applicazione
 delle  sanzioni  sostitutive  ad  un  reato  meno  grave,  mentre  la
 consentiva relativamente ad un reato piu' grave; in  piu'  precisando
 come   la   coerenza   interna  del  sistema  avrebbe  potuto  essere
 ripristinata  anche  mediante  un  intervento  del  legislatore   che
 collocasse  il  reato  piu' grave fra quelli esclusi dal regime delle
 sanzioni sostitutive;
     che, inoltre, l'intervenuta abrogazione dell'art. 54 della  legge
 n.  689 del 1981 ad opera dell'art. 5, comma 1-bis, del decreto-legge
 14 giugno 1993, n. 187, convertito dalla legge  12  agosto  1993,  n.
 296,  ha  scardinato  una delle originarie condizioni per accedere ai
 "benefici", cioe' l'appartenere il reato alla  competenza  pretorile:
 mutata poi la competenza del pretore in sede di riforma del codice di
 procedura  penale,  "il  sistema  non  e'  divenuto irrazionale in se
 stesso, ma solo in  relazione  ad  alcune  particolari  ipotesi",  in
 quanto,  abrogato  l'art.  54,  molti  altri  reati rientrano ora nei
 limiti di operativita' del beneficio;
     che il fatto che le esclusioni oggettive di cui all'art. 60 della
 legge  n.  689  del  1981  siano  rimaste  immutate  ha  creato   una
 inadeguatezza sia per eccesso sia per difetto: sotto il primo profilo
 sono  ammessi,  infatti,  al  regime delle sanzioni sostitutive anche
 reati piu' gravi di  quelli  che  restano  compresi  nell'elencazione
 delle  esclusioni;  sotto  il  secondo profilo, il beneficio e' stato
 progressivamente esteso a piu' gravi reati,  senza  alcun  intervento
 determinante nuove esclusioni;
     che,  comunque,  ad  un  "aggiornamento critico" della disciplina
 delle esclusioni oggettive - indubbiamente necessario - non  potrebbe
 pervenirsi   attraverso   l'intervento   della   Corte,   perche'  la
 restaurazione di un equilibrio sistematico  nella  materia  non  puo'
 essere che la risultante di un'attivita' legislativa, "anche in vista
 di  individuare  ed  applicare  una  chiara  "politica  legislativa",
 scegliendo tra una linea piu' permissiva, che  propone  l'abolizione"
 di  ogni esclusione oggettiva ed una linea piu' rigorosa, in vista di
 un aggiornamento di tali esclusioni;
   Considerato che i giudici a quibus  sollevano  questioni  analoghe,
 donde la riunione dei relativi giudizi;
     che  la  prima  questione e' manifestamente infondata, per essere
 assunte come termini di raffronto fattispecie non omogenee sul  piano
 sanzionatorio:  cioe',  da  un  lato,  la  falsa  testimonianza quale
 disciplinata antecedentemente alle innovazioni  che  hanno  coinvolto
 l'art.  372  del codice penale, in forza dell'art. 11, secondo comma,
 del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306,  convertito  dalla  legge  7
 agosto  1992,  n.  356,  da  cui e' scaturito un aumento della misura
 della pena edittale, originariamente prevista nella reclusione da sei
 mesi a tre anni (nel vigente sistema e', invece,  comminata  la  pena
 della  reclusione da due a sei anni), dall'altro lato, l'art. 371-bis
 introdotto dall'art.  11, comma 1, dello stesso decreto-legge n.  306
 del 1992, convertito dalla legge n. 356 del 1992, che prevede la pena
 della  reclusione  da  uno  a  cinque  anni  per  il  reato  di false
 informazioni al pubblico  ministero;  con  la  conseguenza  che,  per
 essere  soltanto  questi  ultimi i possibili termini di raffronto, la
 norma adesso denunciata non appare irrazionale e contrastante con  il
 principio  di  eguaglianza mancando fino al termine della vigenza del
 precetto  dell'originario  art.  372  del  codice  penale  il tertium
 comparationis indicato dal giudice a quo; il tutto  senza  che  venga
 vulnerato   il  principio  di  ragionevolezza  con  riferimento  alla
 esclusione della falsa testimonianza, sia nel  testo  previgente  sia
 nel testo "riformato", dal regime delle sanzioni sostitutive;
     che,   dunque,   non  informato  a  criteri  di  assoluto  rigore
 interpretativo appare il richiamo alle sentenze n. 249 del 1993 e  n.
 254   del   1994,   entrambe   riferite   a  fattispecie  coesistenti
 nell'ordinamento e rispetto alle quali le  esclusioni  oggettive  dal
 beneficio   delle   sanzioni   sostitutive  delle  ipotesi  di  reato
 contemplate dalle norme sottoposte al vaglio di legittimita' venivano
 a risultare arbitrarie, prevedendo l'art.  60 della legge 24 novembre
 1981, n. 689, nell'un caso l'impossibilita' di applicare le  sanzioni
 sostitutive  al  reato  di  lesioni  colpose  previsto dall'art. 590,
 secondo e terzo comma, del  codice  penale,  limitatamente  ai  fatti
 commessi   con  violazione  delle  norme  per  la  prevenzione  degli
 infortuni sul lavoro o relative all'igiene del  lavoro,  che  abbiano
 determinato  le conseguenze previste dal primo comma, numero 2, e dal
 secondo  comma  dell'art.  583  del  codice  penale,   sanzioni   che
 restavano,   invece,   applicabili   all'omicidio   colposo  previsto
 dall'art. 589 del codice penale, commesso con violazione delle stesse
 norme  (sentenza  n.  249   del   1993);   e   nell'altro   caso   la
 insostituibilita'  delle  pene per i reati previsti dagli artt.  21 e
 22 della legge 10 maggio 1976, n. 319  (Norme  per  la  tutela  delle
 acque dall'inquinamento), per la discrasia scaturente dall'assenza di
 analoghe  norme  di sbarramento nella stessa specifica materia, cosi'
 da farne derivare "la sopravvenuta irragionevolezza del permanere  di
 un  regime  preclusivo  rispetto a fattispecie di reato conformate in
 modo tale da provocare una disciplina ingiustificatamente piu' severa
 nonostante l'identita' dell'interesse protetto ed i giudizi di valore
 ancor piu' negativi espressi sotto  il  profilo  sanzionatorio  delle
 successive previsioni" (sentenza n. 254 del 1994);
   Considerato  altresi'  che la seconda questione, con la quale viene
 denunciato "nella sua interezza" l'art. 60 della  legge  24  novembre
 1981,  n.  689,  risulta  sprovvista  del  necessario requisito della
 rilevanza, essendo il giudice a quo chiamato  ad  applicare  solo  la
 norma   che  sancisce  il  divieto  di  operativita'  delle  sanzioni
 sostitutive per i reati in materia di armi da sparo;
      che, comunque,  l'esclusione  oggettiva  sancita  dall'art.  60,
 terzo  comma, della legge n. 689 del 1981, relativamente ai reati "in
 materia di armi da sparo, munizioni ed esplosivi quando per  i  detti
 reati  la  pena detentiva non e' alternativa a quella pecuniaria", si
 inserisce  in  un  contesto  normativo  nell'ambito  del   quale   le
 prescrizioni  sopravvenute  non  hanno inciso nella specifica materia
 all'esame del giudice a quo, e cio' in forza del tipo  di  esclusione
 derivante  dall'art.    60, terzo comma, della legge n. 689 del 1981,
 esclusione strutturata in termini generali e  riferibile  a  tutti  i
 casi   in  cui  la  pena  detentiva  non  sia  alternativa  a  quella
 pecuniaria;
     che, peraltro, come gia' e' stato puntualizzato nella  rammentata
 sentenza  n.  254  del  1994,  questa  Corte  non puo' fare a meno di
 stigmatizzare come il permanere del regime delle esclusioni oggettive
 quale delineato dall'art.  60  della  legge  n.  689  del  1981  puo'
 rivelarsi  fonte  di  incongruenze  e  disparita'  di trattamento non
 sempre  giustificate;  anche  considerando  che  il "decreto-legge 14
 giugno 1993, n. 187, convertito dalla legge 12 agosto 1993,  n.  296,
 mentre,  per  un  verso,  ha  ampliato l'ambito di operativita' delle
 sanzioni sostitutive, estendendo l'entita' della  pena  concretamente
 irrogata, per un altro verso, ha soppresso - coerentemente al decisum
 della  ricordata sentenza n. 249 del 1993 - ogni legame con le regole
 relative  alla  competenza;  con  una  diretta  incidenza   di   tali
 disposizioni  sul  regime  dell'applicazione  della pena su richiesta
 delle parti di cui agli artt. 444 e seguenti del codice di  procedura
 penale,  una  volta affermata la cumulabilita' delle due richieste, i
 cui conseguenti effetti deflattivi possono risultare consistentemente
 rafforzati";
   Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11  marzo  1953,  n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.