Ricorso per  la  provincia  autonoma  di  Trento,  in  persona  del
 presidente   della   Giunta   provinciale   pro-tempore  dott.  Carlo
 Andreotti, autorizzato con deliberazione della Giunta provinciale  n.
 1258  del  9 febbraio 1996 (all. 1), rappresentata e difesa - come da
 procura speciale del 13 febbraio 1996  (rep.  n.  61795)  rogata  dal
 notaio  dott.  Pierluigi  Mott  del  Collegio  notarile  di  Trento e
 Rovereto (all. 2) - dagli avvocati Giandomenico Falcon  di  Padova  e
 Luigi  Manzi  di  Roma, con domicilio eletto in Roma presso lo studio
 dell'avv.  Manzi,  via  Confalonieri  5,  contro  il  Presidente  del
 Consiglio   dei  Ministri  per  la  dichiarazione  di  illegittimita'
 costituzionale degli articoli 4; 5; 7, comma quarto; della  legge  11
 gennaio  1996,  n. 23, Norme per l'edilizia scolastica, pubblicata in
 Gazzetta Ufficiale n. 15 del 19 gennaio 1996,  per  violazione  degli
 articoli  97,  comma primo e 116 della Costituzione; e degli articoli
 8, n. 1, n. 17 e n. 28; nonche' 16 dello Statuto e relative norme  di
 attuazione;  degli  artt. 2 e 4 del d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266; del
 Titolo VI dello Statuto e dell'art. 5 della legge 30  novembre  1989,
 n.  386,  nonche' dell'art. 12   del d.lgs. 16 febbraio 1992, n. 268;
 del principio di leale collaborazione e delle altre regole e principi
 costituzionali relativi ai rapporti tra Stato e Regioni, anche  e  in
 particolare  in relazione all'esercizio della funzione di indirizzo e
 coordinamento; per i profili e nei modi di seguito illustrati.
                                 Fatto
   La  riccorrente  provincia  e'  titolare  di  potesta'  legislativa
 primaria   e  di  potesta'  amministrativa  in  materia  di  edilizia
 scolastica, previste dagli articoli 8, n.  28)  e  16,  comma  primo,
 dello  Statuto  speciale  di autonomia. D'altronde, tale attribuzione
 specifica affianca una generale competenza  primaria  in  materia  di
 lavori  pubblici  di interesse provinciale, prevista dal n. 17) dello
 stesso art. 8. Alle competenze  statutarie  in  materia  di  edilizia
 scolastica  e'  stata data piena attuazione sin dal d.P.R. n. 687 del
 1973, in base al quale "sono esercitate dalle provincie di  Trento  e
 di  Bolzano,  per  il  rispettivo  territorio,  le attribuzioni degli
 organi centrali e periferici  dello  Stato  in  materia  di  edilizia
 scolastica"  (art.  5,  comma  primo). E nell'esercizio della propria
 potesta' legislativa la provincia di Trento ha emanato una  ampia  ed
 organica  legislazione,  in particolare con le ll.pp. n. 18 del 1972,
 n. 36 del 1974, n. 48 del 1975, n.  36 del 1976, n. 29 del  1986.  La
 provincia    ha    inoltre    autonomia    finanziaria,   comprensiva
 dell'autonomia nelle modalita'  e  procedure  di  spesa,  secondo  le
 disposizioni statutarie e secondo le disposizioni del Titolo VI dello
 Statuto,  dell'art. 5 della legge 30 novembre 1989, n. 386, dell'art.
 12 delle norme di attuazione emanate con d.lgs.  n. 268 del 1992.
   Inoltre, sul piano generale dei rapporti tra legge statale e  legge
 provinciale,   e   sulla   autonomia   provinciale   nelle  attivita'
 amministrative valgono altresi' le speciali garanzie attuative  dello
 Statuto  disposte  dall'art.  2  e  dall'art. 4 del d.lgs. n. 266 del
 1992.
   Nella  materia  dell'edilizia  scolastica  interviene  ora le legge
 statale qui impugnata n. 23 del 1996. Tale legge - approvata mediante
 il procedimento per commissione deliberante dalla Commissione cultura
 della Camera e dalla Commissione pubblica  istruzione  del  Senato  -
 contiene  (articoli  1  - 7) una disciplina complessiva, in relazione
 alle finalita', agli interventi da realizzare, alle competenze  degli
 enti  locali,  alla  programmazione  e  procedura di attuazione, alla
 normazione tecnica,  all'Osservatorio  e  all'Anagrafe  dell'edilizia
 scolastica.
   La   stessa   legge   contiene   altre  disposizioni,  relative  al
 trasferimento  degli  immobili  e  degli  oneri  ed  alla   copertura
 finanziaria (articoli 8 - 10).
   L'art.  11  riguarda  specificamente  la posizione delle Regioni (e
 delle province  autonome).  Esso  si  intitola  (in  modo  del  tutto
 riduttivo) Norme integrative regionali e riguarda fondamentalmente le
 Regioni   a  statuto  ordinario,  chiamate  a  dare  attuazione  alle
 secifiche disposizioni della legge. Per quanto  riguarda  le  regioni
 speciali  e  le  provincie  autonome, invece, il legislatore appare a
 prima vista pienamente rispettoso  delle  competenze  costituzionali,
 dal momento che nella legge si precisa, al comma secondo dello stesso
 art.  11,  che  tali  istituzioni  "provvedono  alle  finalita' della
 presente legge in base allo statuto speiciale  di  autonomia  e  alle
 relative norme di attuazione, nel rispetto della normativa vigente in
 materia di lavori pubblici".
   Tale  disposizione,  infatti,  fa  salve le regole statutarie delle
 autonomie speciali, ed in definitiva  in  larga  misura  le  eccettua
 dalla disciplina generale della legge.
   Ed  e'  chiaro  che  la  "salvezza" non investe soltanto i soggetti
 regioni  speciali  e  provincie  autonome,  ma  riguarda  invece  gli
 ordinamenti giuridici e i fasci di competenze che ad esse fanno capo:
 e  dunque  anche  il  sistema  di relazioni con gli enti locali nelle
 diverse materie, ed in questo caso nell'edilizia scolastica.
   Se dunque la legge n. 23 del  1996  limitasse  a  tali  disposti  i
 propri  riferimenti alle provincie autonome, essa le rinvierebbe alle
 regole costituzionali, statutarie e attuative sopra enunciate, e  non
 vi  sarebbe ragione alcuna di impugnazione. Il fatto e' pero' che nel
 corpo della legge n. 23 vi sono  altre  disposizioni,  rispetto  alle
 quali  e'  impossibile  l'applicazione  della  clausola  generale  di
 salvezza delle  loro  attribuzioni  (e  l'applicazione  delle  regole
 statutarie),  perche' tali disposizioni espressamente e letteralmente
 si riferiscono anche alle autonomie  speciali,  e  segnatamente  alla
 provincia autonoma di Trento.
   Si  tratta  del comma nono dell'art. 4, del comma secondo dell'art.
 5, del comma quarto dell'art. 7. Da tali specifici  commi  appare  in
 modo  inequivocabile che gli articoli di legge che li contengono sono
 destinati, nell'intenzione del legislatore, ad applicarsi anche  agli
 enti  territoriali  trentini  ed  alla  stessa  provincia autonoma di
 Trento.
   Sennonche',  tali  disposizioni  inseriscono  la  provincia  in  un
 sistema   finanziario,   normativo   e   amministrativo   del   tutto
 incompatibile con le accennate regole statutarie, e percio'  appaiono
 violare   le  corrispondenti  autonomie  ad  essa  costituzionalmente
 garantite, per le seguenti ragioni di
                                Diritto
   1. Illegittimita' costituzionale dell'art. 4. In via principale:
     a) In quanto si applica alla provincia autonoma di Trento ed agli
 enti   territoriali   trentini.   Come  ricordato  in  narrativa,  la
 ricorrente provincia non solo ha nella materia  potesta'  legislativa
 primaria  e  potesta'  amministrativa,  ma gode altresi' di autonomia
 finanziaria nei termini assicurati dallo Satuto di autonomia e  dalla
 normativa attuativa.
   In  particolare,  l'art.  5  comma secondo, della legge 30 novembre
 1989, n. 386, dispone che "i finanziamenti recati da qualunque  altra
 disposizione  di  legge  statale,  in  cui  sia previsto il riparto o
 l'utilizzo a favore delle  regioni,  sono  assegnati  alle  provincie
 autonome   ed   affluiscono  al  bilancio  delle  stesse  per  essere
 utilizzati,   secondo   normative   provinciali,   nell'ambito    del
 corrispondente  settore".  Ed  il  comma  terzo dello stesso articolo
 precisa che "per l'assegnazione e l'erogazione dei finanziamenti  ...
 si  prescinde  da  qualunque  adempimento previsto dalle stesse leggi
 (cioe': le leggi statali che li dispongono) ad  eccezione  di  quelli
 relativi all'individuazione dei parametri o delle quote di riparto".
   Giovera'  ricordare  che,  nonostante si tratti di legge ordinaria,
 tali disposizioni hanno "carattere di norma  di  attuazione",  e  non
 possono  essere  modificate  al  di fuori dell'apposito procedimento,
 secondo quanto stabilito da codesta Ecc.ma Corte  costituzionale  con
 sentenza n. 165 del 1994.
   D'altronde,  la  normativa  in  questione  e'  stata  espressamente
 confermata dalla norma di attuazione di cui all'art. 12 del d.lgs. n.
 268 del 1992, che ha precisato che "le disposizioni  in  ordine  alle
 procedure  e  alla  destinazione  dei  fondi di cui all'art. 5, commi
 secondo e terzo, della legge 30 novembre 1989, n. 386, si  applicano,
 con  riferimento alle leggi statali di intervento ivi previste, anche
 se le stesse non sono richiamate". Ed il  comma  terzo  ulteriormente
 ribadisce  che  le  somme cosi' assegnate "sono erogate in una o piu'
 soluzioni, prescindendo da qualunque altro adempimento".
   Il quadro ora descritto risulta  confermato  e  rafforzato,  su  un
 piano  piu' generale, dall'art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992: in base
 al quale in nessun caso la  disciplina  provinciale  di  una  materia
 viene  sostituita  da  una  sopravvenuta  legislazione statale, ma il
 rapporto  tra  le  due  fonti  si  pone  in  termini  di  obbligo  di
 adeguamento  entro  termini   stabiliti. Vi sono, e' vero,' eccezioni
 che le stesse norme di attuazione prevedono  al  regime  generale  di
 inapplicabilita',  ma  tali  eccezioni  riguardano  soltanto le leggi
 costituzionali, le norme internazionali e comunitarie    direttamente
 applicabili,  le leggi in materia di potesta' legislativa integrativa
 o solo delegata alle province, le  ordinanze amministrative  in  casi
 di  eccezionale  necessita' ed urgenza. Ed e' evidente che nessuna di
 tali eccezioni ricorre nel presente caso.
   Ancora, le norme di attuazione espressamente interdicono allo Stato
 lo svolgimento di  qualunque  attivita'  amministrativa  statale,  in
 particolare  prescrivendo  che  "le amministrazioni statali, comprese
 quelle autonome, e  gli  enti  dipendenti  dallo  Stato  non  possono
 disporre   spese   ne'   concedere,  direttamente  o  indirettamente,
 finanziamenti o contributi per attivita' nell'ambito  del  territorio
 regionale o provinciale" (art. 4 comma terzo).
   Si  ricordi  poi,  per completezza, che il divieto di diretta spesa
 dello Stato completa e non contraddice il dovere di  trasferire  alla
 provincia  i  fondi  per  le specifiche azioni delle leggi di settore
 (cfr. sent. n. 165 del 1994).
   Con  tali  disposizioni  contrastano  irrimediabilmente  molteplici
 disposizioni  dell'art.  4  (relativo  a Programmazione, procedure di
 attuazione  e  finanziamento  degli  interventi),  in   quanto   sono
 applicabili alla provincia.
   Conviene  precisare  che la contestazione non riguarda quella parte
 del comma terzo nella quale si dispone che entro il termine  indicato
 "il   Ministro  della  pubblica  istruzione,  sentita  la  Conferenza
 permanente per i rapporti tra lo Stato,  le  regioni  e  le  province
 autonome  di  Trento  e di Bolzano, con proprio decreto, stabilisce i
 criteri per la ripartizione dei fondi fra le regioni" ed  "indica  le
 somme disponibili nel primo triennio".
   Sinche'  infatti si parli di ripartizione dello stanziamento tra le
 regioni, la disposizione puo' apparire conforme alla Costituzione  ed
 allo   Statuto,   ed   anzi   costituire   la   necessaria   premessa
 dell'applicazione dell'art. 5, comma secondo, della legge 30 novembre
 1989, n. 386 (secondo il quale, come detto, "i  finanziamenti  recati
 da qualunque altra disposizione di legge statale, in cui sia previsto
 il  riparto  o l'utilizzo a favore delle regioni, sono assegnati alle
 province autonome ed affluiscono al bilancio delle stesse per  essere
 utilizzati,    secondo   normative   provinciali,   nell'ambito   del
 corrispondente settore".
   Sin qui, dunque, il combinato  disposto  della  specifica  legge  e
 delle   disposizioni  generali  potrebbe  produrre  il  risultato  di
 assegnare le  somme  disponibili  per  la  provincia  di  Trento  per
 l'edilizia  scolastica al bilancio provinciale, per essere utilizzate
 nell'ambito della normativa provinciale di settore.
   Sennonche' il comma nono, disposta la "perentorieta'"  dei  termini
 di  cui  ai commi quarto, quinto, settimo e ottavo (termini assegnati
 sia alle regioni  che  agli  enti  locali  territoriali),  stabilisce
 altresi'  che  in  caso  di mancato tempestivo adempimento degli enti
 territoriali  "provvedono  automaticamente  in  via  sostitutiva   le
 regioni o le province autonome di Trento e di Bolzano", e che inoltre
 "decorsi trenta giorni, in caso di inadempienza delle regioni o delle
 province autonome di Trento e di Bolzano, provvede automaticamente in
 via sostitutiva il commissario del Governo".
   Tali  disposizioni  comportano  dunque inopinatamente l'inserimento
 della  provincia  autonoma  di  Trento  nel  meccanismo  normativo  e
 finanziario  costituito  dall'art.  4 della legge n. 23 del 1996: sia
 quanto ai  termini  di  elaborazione  degli  atti,  sia  quanto  agli
 adempimenti  procedimentali,  sia, quanto alla stessa articolazione e
 contenuti specifici dei diversi piani e  programmi,  sia  infine  (ed
 esplicitamente)  nell'assoggettamento  al  meccanismo  sostitutivo da
 parte del Commissario del Governo.
   Ma tale assoggettamento comporta con evidenza:  la  violazione  del
 principio secondo il quale i fondi di cui leggi statali di intervento
 settoriale prevedono l'utilizzo da parte delle regioni sono acquisiti
 (per  la  parte  di  competenza)  al bilancio provinciale per esservi
 spesi in base alla disciplina provinciale  (art.  5,  comma  secondo,
 della legge 30 novembre 1989, n. 386, e art. 12 del d.lgs. n. 268 del
 1992), essendo palese che applicando l'art. 4 della legge n.  23/96 i
 finanziamenti in questione verrebbero utilizzati secondo la normativa
 statale e non secondo quella provinciale; la violazione del principio
 dell'operativita'  delle leggi statali nelle materie provinciali solo
 attraverso la legislazione provinciale (art. 2 d.lgs.    n.  266  del
 1992),  per  la  stessa  ragione;  la violazione del divieto di spesa
 statale diretta o attraverso enti o aziende statali  nei  settori  di
 attivita'  amministrativa  provinciale  (art.  4  d.lgs. n.   266 del
 1992).
   Dunque, commisurata al sistema formato dallo statuto e dalle  norme
 di  attuazione,  l'inserimento degli enti territoriali e della stessa
 provincia autonoma di Trento nel meccanismo  normativo  ed  operativo
 della  legislazione  statale  appare di per se' lesivo ed illegittimo
 per contrasto con norme di rango costituzionale ed attuativo.
   La  ricorrente  chiede   percio'   una   pronuncia   che   dichiari
 l'illegittimita' del comma nono in quanto si riferisce alla provincia
 autonoma  di  Trento, e sancisca di conseguenza la piena applicazione
 dei meccanismi statutari, nei termini sopra esposti;
     b) Ulteriore illegittimita' dello stesso comma  nono,  in  quanto
 prevede  per  le regioni e province autonome l'obbligo di intervenire
 automaticamente in via sostitutiva degli enti territoriali.  Oltre  a
 determinare  l'applicazione  alla  provincia  dell'intero  meccanismo
 dell'art. 4, il comma  nono  prevede  un  obbligo  sostitutivo  delle
 regioni  e  province  autonome  per  il  caso di mancato rispetto dei
 termini (rispettivamente di 180 e 120 giorni) dati agli  enti  locali
 territoriali  per  la progettazione esecutiva e per l'affidamento dei
 lavori. Si dispone infatti che "qualora  gli  enti  territoriali  non
 provvedano   agli   adempimenti   di   loro   competenza,  provvedono
 automaticamente  in  via  sostitutiva  le  regioni  e   le   province
 autonome".
   In sostanza, le regioni e province autonome devono attivarsi in via
 sostitutiva  rispetto  agli  enti  territoriali  dopo  il decorso dei
 termini loro concessi: termini anch'essi "perentori", che  comportano
 l'"automatica" sostituzione.
   Questo meccanismo, che obbliga alla sostituzione, impedendo loro di
 valutare  quale  nel  caso  e  nella situazione specifica sia il modo
 migliore e piu' rapido,  e  collegando  tale  obbligo  all'automatico
 decorrere  di  un  termine perentorio, contraddice anch'esso in primo
 luogo la speciale autonomia assegnata alla provincia di Trento,  come
 sopra  gia'  illustrato.  Ma  accanto  a  cio',  esso  risulta lesivo
 altresi' del principio di buon andamento dell'amministrazione di  cui
 all'art.  97 Cost.
   In  realta',  non  e'  detto  affatto  che  in tutti i casi il modo
 migliore di rimediare all'inerzia sia lo spostamento della competenza
 verso l'amministrazione provinciale, potendo darsi (ed  anzi  essendo
 probabile) il caso che l'ente locale sia in grado di provvedere entro
 pochi  giorni  dalla  scadenza  del  termine,  se  solo  diffidato ed
 eventualmente in cio' assistito. Ma cio' non puo' valutarsi altro che
 con una flessibilita' che la legge statale non consente;
     c) Specifica illegittimita' costituzionale della parte finale del
 comma nono in quanto assegna  un  potere  sostitutivo  automatico  al
 Commissario  del  Governo  in  funzioni  amministrative  provinciali.
 Sempre in via principale  va  rilevata  la  specifica  illegittimita'
 costituzionale  della parte finale del comma nono, ove si dispone che
 "decorsi trenta giorni, in caso di inadempienza delle regioni o delle
 province autonome di Trento e di Bolzano, provvede automaticamente in
 via sostitutiva il commissario del Governo".
   L'illegittimita'  costituzionale  appare macroscopica sotto diversi
 profili. Intanto tale  disposizione  comporterebbe  essa  stessa  una
 diretta  attivita' amministrativa statale nella provincia autonoma di
 Trento, il che e' gia' escluso dalle disposizioni sopra ricordate.
   In secondo luogo, la previsione di un potere sostitutivo statale da
 un  lato  espressamente  definito   come   "automatico",   dall'altro
 collegato  ad  un  termine  assurdamente  breve  appare  solo percio'
 costituzionalmente illegittimo. Da un lato infatti l'automatismo  non
 consente  quel  dialogo tra Stato e regioni e province autonome sulle
 ragioni  del  ritardo  e  sui  tempi  necessari,  in  violazione  del
 principio  di  leale  collaborazione.    Dall'altro  non  si puo' non
 considerare che secondo la  legge  le  regioni  e  province  autonome
 avrebbero  trenta  giorni  per  fare,  in  una situazione di evidente
 difficolta', cio' che gli enti territoriali direttamente  interessati
 non  sono  riusciti  a fare in 180 o 120 giorni. Anche in questo caso
 sembra   evidente   la    lesione    dell'autonomia    amministrativa
 costituzionalmente  garantita  a  tali enti, nonche' del principio di
 buon andamento dell'amministrazione. La lesione  sarebbe  poi  ancora
 piu'  enorme se il potere sostitutivo statale dovesse intendersi come
 riferito non solo all'inerzia regionale e provinciale nel sostituirsi
 a propria  volta  agli  enti  territoriali,  ma  anche  all'eventuale
 ritardo regionale nell'approvazione dei piani di cui al comma quarto.
   Infine, del tutto evidente e' l'illegittimita' costituzionale della
 attribuzione della competenza sostitutiva al Commissario del Governo.
 E'  pacifico  infatti  nella  giurisprudenza costituzionale che - nel
 vigente quadro posto dalla  Costituzione  -  poteri  sostitutivi  nei
 confronti  delle  attivita'  amministrative  di  competenza regionale
 "possono essere attribuiti soltanto ad organi di Governo" e che "tali
 non sono i Commissari" (sent. n. 342  del  1994,  con  richiamo  alle
 sentt. 43/1992, 386/1991, 117/1988).
   2.  -  Ulteriori specifiche illegittimita' costituzionali dell'art.
 4 in relazione al suo contenuto. In via subor-dinata.
   Altre censure relative all'art. 4 investono direttamente i  singoli
 meccanismi  da esso stabiliti. Poiche' l'interesse della provincia si
 fonda sulla loro applicabilita' anche ad essa, e tale  applicabilita'
 verrebbe  meno in caso di accoglimento della censura principale, essi
 sono qui formulati in via subordinata, ove  in  denegata  ipotesi  la
 censura principale non risultasse accolta.
   a)  Illegittimita'  costituzionale  del  comma  terzo in quanto, in
 violazione del principio di legalita' sostanziale demanda  un  potere
 generale di indirizzo al Ministro della pubblica istruzione.
   Secondo  il  comma  terzo  dell'art.  4  il Ministro della pubblica
 istruzione, entro 30 giorni dall'entrata in vigore della legge (ma il
 termine non ha carattere perentorio)  provvede  con  proprio  decreto
 (sentita  la Conferenza Stato-regioni) a fissare "gli indirizzi volti
 ad  assicurare  il  coordinamento  degli  interventi  ai  fini  della
 programmazione scolastica nazionale".
   Ora,   tale   disposizione   da  un  lato  viola  il  principio  di
 collegialita' governativa degli atti  di  indirizzo  e  coordinamento
 delle  attivita'  amministrative  delle regioni, principio codificato
 dall'art. 2, comma terzo, lett. d) della legge n. 400  del  1988,  in
 attuazione  di  "un  principio  desumibile  dalla Costituzione" (come
 stabilito nella sent. n. 124  del  1994,  punto  17  in  diritto),  e
 vincolante  lo  stesso  legislatore statale; come dall'altro viola il
 principio  di  legalita'  sostanziale  degli  atti  di  indirizzo   e
 coordinamento   piu'  volte  riconosciuto  da  codesta  ecc.ma  Corte
 costituzionale a partire dalla sentenza n.  150 del 1982.
   La disposizione in esame, infatti, non contiene nessuna indicazione
 sul contenuto  possibile  o  necessario    dell'atto,  limitandosi  a
 riportarne  in  modo generico e tautologico la finalita' (indirizzo a
 fini di coordinamento  programmatorio).
   Puo' essere fatto qui richiamo alla  decisione  di  codesta  ecc.ma
 Corte n. 355 del 1993, che ha sancito l'illegittimita' costituzionale
 di  una  disposizione  che  nel  disporre  un potere di indirizzo "si
 limita a definire gli oggetti che dovranno essere  disciplinati",  ma
 "non  determina  affatto  i  principi  o  gli orientamenti di massima
 destinati a delimitare la discrezionalita' del Governo nell'esercizio
 della funzione" (punto 21 in diritto). Si puo'  solo  aggiungere  che
 nel  presente  caso la disposizione legislativa non definisce neppure
 gli oggetti dell'atto di indirizzo, e che  certamente  i  vizi  della
 disposizione  non  possono  considerarsi  corretti  dal  mero obbligo
 procedurale di "sentire" la conferenza Stato-regioni.
   b)  Illegittimita'  del  comma   nono,   in   quanto   prevede   la
 perentorieta'  del  termine dato alle regioni e province autonome per
 l'approvazione  e  trasmissione  al  Ministero  dei  piani   generali
 triennali  per  l'edilizia  scolastica  e in quanto prevede un potere
 sostitutivo automatico dello Stato, assegnato inoltre al  Commissario
 del Governo.
   Il  comma quarto dell'art. 4 prevede che "le regioni, entro novanta
 giorni dalla data di pubblicazione" del decreto ministeriale  per  la
 ripartizione  dei  fondi,  "approvano e trasmettono al Ministro della
 pubblica istruzione i piani generali triennali contenenti i  progetti
 preliminari,  la  valutazione  dei  costi  e l'indicazione degli enti
 territoriali competenti per i singoli interventi". Si dispone inoltre
 che "entro la stessa  data  le  regioni  approvano  i  piani  annuali
 relativi  al  triennio"  (cioe', sembra, i piani annuali per l'intero
 triennio).   Ed il comma nono dello  stesso  articolo  stabilisce  il
 carattere perentorio di tale termine.
   Ora,  risulta  del  tutto  evidente  che si tratta di una attivita'
 programmatoria ampia e complessa, che necessita di raccordi  tra  una
 pluralita'  di  diversi  enti  ed  amministrazioni, la quale non puo'
 affatto - senza  violazione  dell'autonomia  amministrativa  e  dello
 stesso  art.  97  Cost.,  essere  compressa nel termine perentorio di
 novanta giorni.
   L'illegittimita' costituzionale sarebbe poi aggravata se si dovesse
 intendere che il potere sostitutivo previsto dallo stesso comma nono,
 disponendo che "decorsi trenta giorni, in caso di inadempienza  delle
 regioni  o  delle provincie autonome di Trento e di Bolzano, provvede
 automaticamente in via sostitutiva il  commissario  del  Governo"  si
 applica non, o non solo, all'attivita' regionale da compiersi in caso
 di  inerzia  degli enti locali, ma alla stessa attivita' regionale di
 programmazione.
   Per  vero,   tale   interpretazione   sembra   contraddetta   dalla
 consecutivita'   della   frase  ora  riportata  rispetto  all'obbligo
 regionale e provinciale di subentrare in via  sostitutiva  agli  enti
 locali,   ed  anche  dalla  previsione  del  termine  di  30  giorni:
 previsione che ha un senso (pur essendo  comunque  insufficiente)  se
 riferito all'inerzia delle regioni e province autonome nel provvedere
 in  via sostitutiva, ma non ha senso alcuno se riferito all'attivita'
 di cui al comma quarto, dato che  comunque  le  regioni  e  provincie
 autonome  non  potrebbero  provvedere  dopo  la  scadenza del termine
 perentorio.
   Si noti pero' che, escluso il potere sostitutivo statale, l'inutile
 decorso  del  termine   "perentorio"   determinerebbe   la   paralisi
 dell'intera  legge,  e  la  completa  frustrazione  del  suo intento.
 Evidenti  risultano  dunque  in  ogni  modo  l'incostituzionalita'  e
 l'irrazionalita' della legge.
   In  ogni  modo, sia il potere sostitutivo in se' considerato che la
 sua concreta disciplina appaiono lesivi  dell'autonomia  provinciale,
 nei termini gia' sopra illustrati.
   3. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 5 in quanto assoggetta
 la   provincia   autonoma   a   cosiddette  "norme  tecniche  quadro"
 costituenti in realta' una anomala forma di  indirizzo  e  in  quanto
 consente  agli  enti  territoriali  la provvisoria sostituzione della
 legislazione regionale con precedenti e superati indici ministeriali.
   Secondo  l'art.  5,  comma  primo,  il  Ministro   della   pubblica
 istruzione  (di concerto con quello dei lavori pubblici, tenuto conto
 delle proposte dell'Osservatorio per l'edilizia scolastica)  "adotta,
 con  proprio decreto, le norme tecniche-quadro, contenenti gli indici
 minimi e massimi di funzionalita' urbanistica, edilizia  e  didattica
 indispensabili  a  garantire  indirizzi  progettuali  di  riferimento
 adeguati ed omogenei sul territorio nazionale".
   Che tali indici siano destinati ad operare anche per la  ricorrente
 provincia risulta chiaro dal comma secondo, ove si stabilisce che "le
 regioni  e  le  province  autonome  di  Trento  e  di  Bolzano, entro
 centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto di cui
 al  comma  primo,  approvano  specifiche  norme   tecniche   per   la
 progettazione esecutiva degli interventi".
   La ricorrente provincia e' ben consapevole che codesta ecc.ma Corte
 costituzionale  con costante giurisprudenza ha ammesso poteri statali
 di  coordinamento  tecnico,  esonerandoli  dai   rigorosi   requisiti
 elaborati per gli atti di indirizzo e coordinamento.
   Il  fatto  e'  tuttavia che sotto la veste di norme tecniche-quadro
 (dizione gia' da se'  contraddittoria,  dato  che  se  una  norma  e'
 tecnicamente  vincolata non puo' avere carattere di "quadro", ma deve
 avere carattere strettamente oggettivo, valevole ovunque in virtu' di
 regole tecniche) e' qui prevista una sorta  di  normativa  quadro  di
 carattere   urbanistico   ed   edilizio,   in   sovrapposizione  alle
 corrispondenti normative regionali e provinciali.
   D'altronde, a riprova che tali  normative  fanno  pienamente  parte
 della   competenza   costituzionale   della  provincia  autonoma,  si
 consideri che essa gia'  con  decreto  del  presidente  della  Giunta
 provinciale  9  agosto  1976, n. 17-69 ha approvato le Norme relative
 agli indici di funzionalita' didattica, ai diversi modelli edilizi  e
 alle  componenti  costruttive per i diversi tipi di scuola, norme che
 vengono applicate oramai da circa venti  anni,  e  che  perfettamente
 corrispondono  alle  esigenze  specifiche del territorio provinciale:
 sicche' un sistema  normativo  da  tempo  stabilito  e  perfettamente
 "funzionante  verrebbe  sconvolto  da  normative  nazionali del tutto
 avulse dal contesto locale.
   Un  intervento statale sul punto dovrebbe avere piuttosto carattere
 orientativo, rivolto a mettere a disposizione di tutte le regioni  le
 esperienze  piu'  significative,  vincolante semmai nei risultati che
 devono essere conseguiti, nella logica degli atti di indirizzo, senza
 pero' produrre un sistema normativo autonomo e sostitutivo di  quello
 provinciale attualmente in vigore.
   Si  noti  poi che il comma terzo dell'art. 5 stabilisce che in sede
 di prima applicazione e fino all'approvazione delle  norme  regionali
 di  cui  al  comma  secondo,  possono  essere assunti quali indici di
 riferimento quelli contenuti nel  decreto  del  Ministro  dei  lavori
 pubblici 18 novembre 1975".
   Ora,  se il legislatore avesse statuito che nell'attesa delle nuove
 norme, si puo' fare  riferimento  a  quelle  sinora  vigenti  non  vi
 sarebbe  alcun  problema.  Ma  nella  sua  formulazione  letterale la
 disposizione  statale  impone  di  fare  riferimento  allo  specifico
 decreto  del Ministro dei lavori pubblici 18 novembre 1975: ovvero ad
 una normativa che, in provincia di Trento, non e'  piu'  vigente  sin
 dal  1976,  essendo  stata  superata  - in diritto e in fatto - dalla
 successiva normativa cui si e' ora fatto riferimento.  Ed  e'  palese
 l'assurdita'  e  l'incongruenza  di consentire agli enti territoriali
 trentini (o addirittura costringerli)  a  ritornare  alla  precedente
 normativa,  la  cui inadeguatezza attuale e' in sostanza riconosciuta
 dallo stesso articolo di cui si tratta, ponendo irragionevolmente  ed
 illegittimamente nel nulla la specifica normativa trentina.
   4.  -  Illegittimita'  costituzionale  dell'art. 7 comma quarto, in
 connessione con il  comma  primo,  in  quanto  impone  alle  province
 autonome   di   realizzare   articolazioni   dell'Anagrafe  nazionale
 dell'edilizia   scolastica   in   base    ad    indirizzi    definiti
 dall'Osservatorio per l'edilizia scolastica.
   L'art.  7  prevede  la  realizzazione  di  una  anagrafe  nazionale
 dell'edilizia scolastica. Tale anagrafe si articola per  regioni,  ed
 il  comma  quarto  impone  ad  esse,  ed  alle  province autonome, di
 realizzare "le rispettive articolazioni dell'anagrafe nazionale... in
 base  agli  indirizzi  definiti  dall'Osservatorio   per   l'edilizia
 scolastica".
   E'  opportuno  precisare  che  la ricorrente provincia non contesta
 affatto la realizzazione  di  una  anagrafe  nazionale  dell'edilizia
 scolastica, intesa come insieme di elementi conoscitivi diretti, come
 afferma  il comma primo "ad accertare la consistenza, la situazione e
 la  funzionalita'  del  patrimonio  edilizio  scolastico".   Ne'   la
 provincia  contesta  il  dovere di fornire i dati relativi al proprio
 territorio secondo "la metodologia e  le  modalita'  di  rilevazione"
 determinata  dal Ministro ai sensi del comma secondo: essendo ovvio e
 da condividere che la rilevazione  e  l'elaborazione  dei  dati  puo'
 condurre  a  risultati  significativi  soltanto  sulla  base  di  una
 metodologia unitaria. Nella  determinazione  delle  metodologie  puo'
 infatti  vedersi  la manifestazione di un vero coordinamento tecnico,
 quale ritenuto ammissibile da codesta  ecc.ma  Corte  costituzionale,
 con  riferimento  alle  metodologie statistiche, con sent. n. 139 del
 1990.
   Cio' che invece, ad avviso della ricorrente, viola  le  prerogative
 assicurate  dalla  Costituzione  e  dallo  Statuto  di  autonomia  e'
 l'interferenza  con   l'organizzazione   degli   uffici   provinciali
 determinata    dall'obbligo    di   istituire   una   "articolazione"
 dell'anagrafe, e di organizzarla "in  base  agli  indirizzi  definiti
 dall'Osservatorio".
   In   primo   luogo   deve   contestarsi   l'obbligo  di  costituire
 l'articolazione   locale   dell'anagrafe   nazionale,   obbligo   che
 contraddice   la  liberta'  organizzativa  della  provincia.  Con  la
 sentenza n. 139 del 1990, in tema di uffici  di  statistica,  codesta
 ecc.ma  Corte  ha  statuito  che il vincolo alla costituzione in ogni
 regione di  tale  ufficio  poteva  giustificarsi  sulla  base  di  un
 interesse  infrazionabile  ed imperativo, dato che "non puo' darsi un
 sistema statistico integrato su base  nazionale,  ne'  comunque  puo'
 pensarsi  che  esso  possa  funzionare  adeguatamente, in mancanza di
 uffici statistici operanti al livello delle regioni o delle  province
 autonome  (punto 2 in diritto). Solo percio' tale vincolo ha superato
 "quel rigoroso scrutinio che legittima la compressione dell'autonomia
 costituzionalmente garantita alle regioni".
   Nel caso delle articolazioni dell'anagrafe dell'edilizia scolastica
 non si puo' certo dire altrettanto. Del  tutto  assenti  sono  quella
 complessita',  capillarita'  e costanza delle rilevazioni che rendono
 necessario il contatto  quotidiano  tra  struttura  centrale  e  nodi
 periferici  del servizio di statistica, e prima ancora l'esistenza di
 questi nodi come stabile interfaccia della struttura centrale.
   Evidente risulta invece che l'anagrafe dell'edilizia scolastica  e'
 semplicemente  un archivio centrale di dati, costituito sulla base di
 informazioni locali.
   A riprova si consideri che la legge n. 109 del  1994,  in  tema  di
 lavori  pubblici,  ha  bensi' costituito un apposito Osservatorio, ma
 non ha affatto previsto un sistema integrato basato su uffici statali
 e uffici  regionali  sezionalmente  unificati,  ma  ha  correttamente
 previsto  (art. 4, comma quindicesimo) che esso opera in collegamento
 con analoghi sistemi di osservazione delle altre amministrazioni,  ed
 in particolare delle regioni.
   Sembra  palese  che  il  sottosistema dell'edilizia scolastica, per
 quanto importante possa essere, non ha alcuna ragione di organizzarsi
 in  ordinamento  sezionale  paragonabile  a   quello   del   Servizio
 statistico nazionale. D'altronde, mentre l'ufficio di statistica puo'
 organizzarsi in forma relativamente autonoma e separata nell'apparato
 amministrativo  provinciale,  l'articolazione  dell'anagrafe  non  lo
 potrebbe per evidenti ragioni dimensionali, e si tradurrebbe soltanto
 in una forma di codipendenza di  uffici  provinciali,  in  violazione
 della  piena  ed  esclusiva capacita' della Provincia di disporre del
 proprio ordinamento degli uffici, sancita dall'art. 8,  n.  1)  dello
 Statuto.
   A  maggior  ragione risulta poi illegittimo l'obbligo di costituire
 le articolazioni dell'anagrafe realizzare  "in  base  agli  indirizzi
 definiti  dall'Osservatorio  per  l'edilizia scolastica". Si noti che
 tali    indirizzi     non     possono     avere     che     carattere
 amministrativo-organizzativo,  dato  che  tutto  quanto  riguarda  le
 metodologie e le modalita' di rilevazione e' oggetto  di  autonomo  e
 diverso potere ministeriale.
   Evidente  e'  dunque la lesivita' di un simile potere di indirizzo,
 che non sarebbe ammissibile neppure  se  attribuito  agli  organi  di
 Governo,  neppure  se  fossero  specificati  (di  nuovo  in  base  al
 principio di legalita' sostanziale) l'oggetto degli  indirizzi  ed  i
 criteri  cui  attenersi.  Qui  invece  manca  la  ragione,  manca  la
 legittimazione   dell'organo   investito,   manca   la    definizione
 dell'oggetto e mancano i criteri di esercizio.