IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul  ricorso proposto dai
 sigg.ri Anna Paola Biordi, Maurizio Centi, Giuseppe  Cicioni,  Milena
 Cirillo,  Marilena  De  Ciantis, Marisa De Santis, Maria D'Innocenzo,
 Marino Federici, Rosa Fisichella, Giovanni  Leone,  Bruno  Mandolini,
 Rita  Franca  Massaro,  Maria  Concetta Milone, Maria Assunta Piroli,
 Domenica Priore,  Alessandro  Quintiliani,  Alberta  Sabatini,  Nando
 Taccone,  Scolastica  Trombetta,  Carlo  Vaccarelli,  rappresentati e
 difesi  dall'avv.    Giulio  Cerceo,  elettivamente  domiciliati   in
 l'Aquila, contro la segreteria del Tribunale amministrativo regionale
 Abruzzo;
    Contro:
     il Consiglio di Stato, in persona del presidente pro-tempore;
     il  Tribunale  amministrativo per l'Abruzzo, l'Aquila, in persona
 del presidente pro-tempore;
     la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona  del  legale
 rappresentante  pro-tempore,  rappresentata  e difesa dall'avvocatura
 distrettuale dello Stato dell'Aquila; per l'accertamento del  diritto
 a  vedersi  computata  nella  base  di calcolo delle ritenute e delle
 contribuzioni  da  versare  per  il  trattamento  di   quiescenza   e
 l'indennita'  di buonuscita, l'indennita' giudiziaria di cui all'art.
 1,  legge  n.  51/1989,  e  per   la   conseguente   condanna   delle
 amministrazioni  di appartenenza alla regolarizzazione delle relative
 posizioni contributive presso il competente Istituto  di  previdenza,
 mediante versamento delle differenze dovute.
   Visto il ricorso con i relativi allegati;
   Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'avvocatura;
   Vista  la  memoria prodotta dalla parte a sostegno della rispettiva
 difesa;
   Visti gli atti tutti della causa;
   Relatore alla pubblica udienza del 12 aprile 1995 il cons.  Luciano
 Rasola  e  uditi,  altresi',  gli avv.ti Walter Pudaluco, delegato, e
 Arteno Coccoli (avv.to dello Stato);
    Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
                               F a t t o
   Con il ricorso proposto i ricorrenti, dipendenti in servizio presso
 la segreteria  di  questo  Tribunale  amministrativo  per  l'Abruzzo,
 lamentano che l'indennita' giudiziaria che essi percepiscono in forza
 dell'art.  1 della legge 15 febbraio 1989, n. 51, non sia a tutt'oggi
 computata  nella  base di calcolo dell'indennita' di buonuscita e del
 trattamento di quiescenza.
   Chiedono, pertanto, l'accertamento del loro diritto alla inclusione
 della  indennita'  in detta base di calcolo e del correlativo obbligo
 dell'amministrazione  al  versamento  delle  relative   contribuzioni
 presso  il competente Istituto previdenziale, atteso che l'emolumento
 in esame, corrisposto con carattere di continuita', ha trovato, da un
 canto, sempre, secondo  la  giurisprudenza,  la  sua  giustificazione
 nelle  funzioni  e  nei  compiti  di  collaborazione del personale di
 cancelleria con il personale di  magistratura,  dall'altro  e'  stato
 ritenuto  adeguabile  periodicamente  anche  per  il  personale delle
 cancellerie  e  segreterie  giudiziarie,   tra   cui   quello   delle
 magistrature amministrative. In tale situazione e' del tutto evidente
 come  l'indennita'  in  esame rappresenti un elemento costitutivo del
 trattamento retributivo  con  i  caratteri  della  fissita'  e  della
 continuita'  e  come  tale  debba  essere  ricompresa nel concetto di
 retribuzione  utile  ai  fini  del  calcolo  per  il  trattamento  di
 quiescenza.
   Si  e'  costitutita  in  giudizio  l'amministrazione  intimata  che
 eccepisce l'inammissibilita' del gravame per la sua  omessa  notifica
 all'Istituto previdenziale (INPDAP) competente in materia, mentre nel
 merito  eccepisce l'infondatezza del gravame, stante la espressamente
 dichiarata non pensionabilita' dell'indennita' in questione.
   La causa e' stata posta in decisione nell'udienza pubblica  del  12
 aprile 1995.
                             D i r i t t o
   Preliminarmente  deve  esaminarsi  e  disattendersi  l'eccezione di
 inammissibilita' del gravame per l'omessa sua  notifica  all'Istituto
 previdenziale competente (INPDAP), che - ad avviso del Collegio - non
 andava  evocato  in  giudizio  essendo  l'operato  di  tale  Istituto
 conseguente alla costituzione o meno, presso di  esso,  di  posizione
 contributiva  da  parte  del  datore  di  lavoro  pubblico,  nei  cui
 confronti, pertanto, e in via esclusiva, andava proposta l'azione  di
 accertamento   del   diritto   dei  ricorrenti  a  vedersi  computata
 l'indennita' giudiziaria di cui alla legge 15 febbraio 1989,  n.  51,
 nella  base  di  calcolo  per  l'indennita'  di  buonuscita  e per il
 trattamento    di    quiescenza    e    il    correlativo     obbligo
 dell'amministrazione al versamento delle relative contribuzioni.
   Cio' premesso, puo' esaminarsi il ricorso nel merito.
   I  ricorrenti,  tutti  dipendenti  in servizio presso la segreteria
 giudiziaria di questo Tribunale  amministrativo  regionale,  chiedono
 con  il ricorso proposto - come gia' accennato - che sia accertato il
 loro diritto a verdersi  computata  nella  base  di  calcolo  per  il
 trattamento   di   quiescenza   e   per  l'indennita'  di  buonuscita
 l'indennita' giudiziaria di cui all'art. 1 della  legge  15  febbraio
 1989, n. 51 - da essi percepita.
   Al  riguardo  si rileva che l'indennita' in questione, istituita in
 un primo tempo (ex legge 19  febbraio  1981,  n.  27)  a  favore  dei
 magistrati  dell'ordine  giudiziario  ed  estesa  ai  magistrati  non
 appartenenti all'ordine giudiziario e  agli  avvocati  e  procuratore
 dello  Stato  (ex art. 2 della legge 6 agosto 1984, n. 425), e' stata
 prevista, con legge 22 giugno  1988,  n.  221,  anche  a  favore  del
 personale    delle    cancellerie    e   segreterie   giudiziarie   e
 successivamente estesa al personale amministrativo del  Consiglio  di
 Stato  e  dei  Tribunali  amministrativi  regionali,  della Corte dei
 conti, dell'Avvocatura dello Stato e dei Tribunali militari, compreso
 un  limitato  contingente  di  personale  del  Ministero della difesa
 distaccato presso i Tribunali militari (legge 15  febbraio  1989,  n.
 51).  Detta  indennita',  definita  dell'art.    3  legge  n. 27/1981
 espressamente non pensionabile, ha subito una  evoluzione  delle  sue
 caratteristiche  iniziali  che  la  configurano  indennita'  speciale
 collegata agli oneri  che  i  magistrati  ordinari  incontrano  nello
 svolgimento  della  loro attivita' ed ha assunto, a seguito della sua
 estensione al restante personale di magistratura e al personale delle
 cancellerie  e   segreterie   giudiziarie,   natura   di   emolumento
 retributivo   non   provvisorio,   al   quale   da   tempo  ormai  la
 giurisprudenza ha riconosciuto carattere di  componente  normale  del
 trattamento  economico  del personale beneficiario. (C.S. Ad.Plen, 16
 dicembre 1983, n. 27; C.S., Sez. IV, 22 ottobre 1993, n. 923).
   In quanto, infatti, l'emolumento in questione trova giustificazione
 nel  fatto  oggettivo  della  peculiare  gravosita',  complessita'  e
 delicatezza    del    lavoro    svolto   nell'ambito   di   organismi
 giurisdizionali, e' indubbio che  esso  ha  assunto  la  connotazione
 tipica  di  una  entita'  economica  aggiuntiva con i caratteri della
 periodicita', continuita' e generalita' e in quanto tale, quindi,  da
 considerare  strettamente connessa allo stipendio di cui non puo' non
 ritenersi parte integrante.
   Ritiene, quindi, il  Collegio  che  il  riconosciuto  carattere  di
 componente  del  normale trattamento economico del personale, proprio
 dell'indennita' in questione, sia idoneo a farla ritenere computabile
 nella base  di  calcolo  per  il  trattamento  di  quiescenza  e  per
 l'idennita'  di buonuscita, per cui non appare giustificato il regime
 speciale cui la stessa e'  sottoposta  e  che  comporta  la  sua  non
 pensionabilita',  la  quale  non puo' essere esclusa dal fatto che e'
 prevista la sua corresponsione nei periodi di congedo  straordinario,
 di  aspettativa  per  qualsiasi  causa,  di  assenza  obbligatoria  o
 facoltativa prevista negli artt. 4 e 7 della  legge  1204/1971  e  di
 sospensione dal servizio per qualsiasi ragione.
   La  disciplina particolare di detto compenso, che rende evidente la
 sua univoca relazione con la effettiva prestazione  del  servizio  al
 fine   di   valorizzare   il   concreto   svolgimento  dell'attivita'
 giudiziaria, non puo' far  venir  meno  la  sua  natura  di  elemento
 costitutivo  della  retribuzione  ai  fini della sua inclusione nella
 base  da  considerare   per   la   determinazione   dei   trattamenti
 previdenziali.
   La  non  pensionabilita',  pertanto,  dell'indennita'  in questione
 finisce col vulnerare l'art.  38  della  Costituzione,  dal  quel  si
 desume  il  principio  che,  al  pari della retribuzione percepita in
 costanza del rapporto di  lavoro,  di  cui  tratta  l'art.  36  della
 Costituzione,   anche   il   trattamento  di  quiescenza,  che  della
 retribuzione costituisce  un  prolungamento  ai  fini  previdenziali,
 dev'essere   proporzionato  alla  qualita'  e  quantita'  del  lavoro
 prestato e deve, in ogni caso, assicurare al lavoratore  e  alla  sua
 famiglia mezzi adeguati alle esigenze di vita per un'esistenza libera
 e  dignitosa  (C.S. della Costituzione, sentenza 531/1988 e 96/1991).
 Questo Tribunale non ignora che a proposito dell'art. 3, primo comma,
 della legge 19 febbraio 1981, n. 27,  la  Corte  costituzionale,  con
 sentenza n. 119/1991, ha affermato che i principi di proporzionalita'
 e di adeguatezza del trattamento di quiescenza non comportano che sia
 garantita  in ogni caso l'integrale corrispondenza fra retribuzione e
 pensione, ma, pur potendo  cio'  costituire  un  obiettivo  ottimale,
 esigono  una  commisurazione del trattamento di quiescenza al reddito
 percepito in costanza del rapporto di lavoro fondata  su  criteri  di
 ragionevole  bilanciamento  del  complesso  degli interessi coinvolti
 nell'attuazione graduale  dei  principi  desumibili  dalle  ricordate
 norme costituzionali.
   La  scelta compiuta dal legislatore con l'esclusione della predetta
 indennita' dalla base retributiva computabile ai  fini  previdenziali
 non  e'  stata  ritenuta  dalla  Corte  costituzionale manifestamente
 incongrua  o  irragionevole  alla  luce  del  complesso   di   valori
 costituzionali  coinvolti  nella  suddetta  scelta,  compresi  quelli
 connessi ai mezzi finanziari per fronteggiare la spesa derivante.
   A riguardo e' peraltro da osservare  che  la  discrezionalita'  del
 legislatore  va  esercitata in conformita' e nell'ambito dei principi
 costituzionali, la cui attuazione non puo'  essere  subordinata  ogni
 volta  a  scelte  del legislatore ritenute ragionevoli sol perche' si
 fanno  carico  di  contemperare  il  complesso  dei  valori  e  degli
 interessi  costituzionalmente  coinvolti  nell'attuazione graduale di
 quei principi, anche perche' la nozione di "attuazione graduale", che
 pur in se' il  riconoscimento  dell'obbligo  di  attuare  i  principi
 stessi, e' nozione vaga e indefinita che consente, in ipotesi, di non
 rendere mai concretamente operativi gli stessi.
   Il  concetto  di  "attuazione  graduale",  d'altro canto, non trova
 scopo  un  puntuale  riscontro  nella   Carta   costituzionale,   che
 nell'affermazione di determinati diritti e valori fondamentali, quale
 quello  in  esame,  non  parla  di  linee di tendenza o di attuazione
 ispirata  a  prudenti  criteri  di  gradualita',  per  cui,   se   il
 legislatore  ha  ritenuto di introdurre un emolumento con i caratteri
 della periodicita', continuita' e  generalita'  per  una  determinata
 categoria,   non   puo'   poi   ragionevolmente   stabilirne  la  non
 pensionabilita' senza vulnerare il  principio  di  cui  all'art.  38,
 secondo comma, della Costituzione.
    Se,  infatti, i trattamenti di quiescenza hanno natura retributiva
 e  costituiscono  un  prolungamento  a   fini   previdenziali   della
 retribuzione  goduta  in  costanza  di  lavoro, le conseguente che si
 devono trarre da tale premessa sono che:
    a) il trattamento pensionistico  deve  essere  proporzionato  alla
 quantita'  e qualita' del lavoro prestato durante il servizio attivo,
 per cui non si  comprende  la  non  pensionabilita'  di  un  elemento
 retributivo  periodicamente  adeguato e aggiunto proprio in relazione
 agli oneri e alla gravosita' complessiva dell'attivita' giudiziaria;
    b) il trattamento di quiescenza deve assicurare  al  lavoratore  e
 alla  sua  famiglia  mezzi  adeguati  alle  loro  esigenze  di  vita,
 adeguatezza che e' concetto piu' ampio di soddisfazione  dei  bisogni
 elementari  e vitali, essendo in esso ricompresi anche i mezzi idonei
 a realizzare le esigenze relative al tenore di  vita  conseguito  dal
 lavoratore in rapporto al reddito ed alla posizione sociale raggiunta
 in  seno  alla  categoria  di appartenenza per effetto dell'attivita'
 lavorativa svolta (Corte  costituzionale  n.  173/1986),  valutazione
 questa  che  ben  puo'  condurre  a  determinazioni quantitativamente
 diversificate delle prestazioni previdenziali  secondo  categorie  di
 lavoratori (Corte costituzionale n. 31/1986);
    c)  il  livello del trattamento pensionistico dovrebbe raggiungere
 il traguardo della coincidenza con la  retribuzione  goduta  all'atto
 della  cessazione  dal servizio, obiettivo questo ottimale con cui il
 legislatore dovrebbe gradualmente tendere  (Corte  costituzionale  n.
 92/1975  e  n.  26/1969)  e dal quale certamente le leggi in esame si
 discostano  rendendo  non  pensionabile  l'indennita'  in  questione,
 atteso,  peraltro, il divario gia' in atto esistente tra retribuzione
 e trattamento pensionistico.
   Per le ragioni che precedono la scelta del legislatore  di  rendere
 non pensionabile l'indennita' in questione non appare - ad avviso del
 Collegio  -  ragionevole,  per cui permane il sospetto del contrasto,
 per tale aspetto, delle norme che la prevedono con dette modalita'  e
 che  con  le  stesse  modalita'  l'hanno estesa ad altre categorie di
 personale, tra cui i  ricorrenti  (art.  3,  primo  comma,  legge  19
 febbraio  1981,  n. 27; art. 1, primo comma, legge 22 giugno 1988, n.
 221 e art. 1, primo comma, legge 15 febbraio 1989, n. 51); con l'art.
 38, secondo comma, della Costituzione.
   In  ordine  alla  rilevanza  della  questione   di   illegittimita'
 costituzionale  cosi'  delineata  delle  norme  sopra  richiamate non
 appare possano esservi dubbi, perche' dalla  sua  risoluzione  in  un
 senso o nell'altro dipende l'esito del giudizio.